Viva la repubblica parlamentare, viva le elezioni indirette

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 1. Viva la repubblica parlamentare, viva la Costituzione del 1946, anche nei suoi aspetti più anacronistici: viva il conclave, viva le schede bianche e i franchi tiratori, viva le lunghe chiame mentre proseguono le trattative, viva tutte le manfrine mi-candido non-mi-candido. Date semplicemente un'occhiata ai risultati dal 1946 in poi: guardate quanti gentiluomini abbiamo mandato al Quirinale, assai migliori della media dei parlamentari che li eleggevano (e dei cittadini che eleggevano i parlamentari). Non sarà il miglior metodo possibile per eleggere un presidente, ma trovatemene uno meno peggiore. 


2. Però alla mediosfera non piace; giornalisti e opinionisti non capiscono perché non possa essere tutto più rapido e smart, come quelle misteriose elezioni americane in cui si capiva la notte stessa chi aveva vinto (anche se prendeva meno voti dell'altro candidato, eh vabbe' dettagli). A tal proposito avrei un suggerimento: facciamo a meno della mediosfera. Sul serio, io della Maratona-Mentana non ho visto un mezzo minuto e ieri ne sapevo già esattamente quanto Enrico Mentana. È tutta roba per un pubblico di mezza età maschile che non ha ancora scoperto Netflix – ma bisogna ammettere che Netflix non si impegna abbastanza per quel segmento, bisognerebbe inventarsi qualcosa, una serie ambientata in un talk show italiano di sessantenni maschi che cercano di impressionare la stagista con retroscena inventati in camerino, secondo me c'è mercato per questa cosa e forse avremmo anche trovato un mestiere per gente che davanti al video ormai ci sa stare, ma in parlamento non ha molto futuro.

3. Quando gente come Renzi o Salvini o la Meloni (che in parlamento ahinoi ci resteranno) manifestano la loro insofferenza per le ritualità parlamentari, ci credono davvero o stanno semplicemente cantando la canzone che piace ai giornalisti, che dopo un po' che la senti non puoi levartela dalla testa? O non è tutta una manfrina, e hanno capito benissimo che è solo il parlamentarismo a coprirli, a mantenerli nelle loro posizioni di tribuni del dissenso o aghi della bilancia o spostatori di assi di governo, senza mai vedere i loro bluff: le vinceresti, Salvini, le tue elezioni presidenziali? Non credo proprio: e tu, Matteo Renzi? In ballottaggio con Stalin, forse, purché Stalin risulti 100% morto. E allora perché insistono? Ricordano la determinazione suicida dei radicali, che raccoglievano l'1% dei voti e intanto chiedevano l'uninominale, il bipartitismo all'americana. D'accordo che un buon politico non dovrebbe pensare solo ai propri interessi, ma uno che passa tempo a tirarsi mazzate sulle mani risulta più credibile?

4. Prendi Matteo Renzi, che in questi giorni comprensibilmente si sbraccerà per ricordare a tutti che Mattarella al Quirinale ce l'ha portato lui. Ammesso che sia vero: in che modo Mattarella al Quirinale è mai stato un affare per Matteo Renzi? Quest'anno ricorre il settimo anniversario di quando litigò con Berlusconi per portarlo lì la prima volta. Senza dubbio in quel momento dimostrò al parlamento e agli italiani che lui contava più di Berlusconi, e poi cosa successe? Successe che Berlusconi ritirò il suo appoggio alla riforma costituzionale, rese necessario il referendum confermativo e mandò i suoi elettori a votare no, determinando la fine del governo Renzi e più in generale della popolarità del personaggio. Matteo Renzi è così: tra il vincere una battaglia e il vincere la guerra ha sempre preferito la prima cosa. 

5. Mattarella è un ottimo presidente: il suo ritorno al Quirinale non è un'ottima notizia. C'è un precedente e non è di buon augurio: la proroga di Napolitano era considerata sin dall'inizio un mandato a tempo. Napolitano II aveva una specie di missione da portare a termine (e non ci riuscì). Il contratto che oggi Mattarella firma è molto più vago: per quel che sappiamo potrebbe anche restare per un intero settennato. Oppure dimettersi appena Draghi avrà finito la sua incombenza a Palazzo Chigi: si tratterebbe di uno strappo istituzionale notevole, ma da Napolitano in poi la cosa sembra non dare più fastidio a nessuno. A giudicare da qui, non c'è un problema che il prolungamento di Mattarella risolva, non c'è una questione che non rimandi a un momento più propizio che a questo punto soltanto Mattarella, rassegnando le dimissioni, avrà la facoltà di scegliere. 

6. Le analisi del giorno dopo seguono invariabilmente lo schema "chi vince", "chi perde", il che involontariamente dimostra l'esatto contrario, ovvero che la politica non è uno sport, che solo con un'enorme semplificazione si possono estrarre vincitori e sconfitti, dopodiché l'anno prossimo si vota e nessun elettore di Salvini si porrà il problema dei disastri combinati da Salvini in questi giorni – probabilmente avranno più rilevanza i festini di Morisi. Il centrodestra appare favorito – ma perché insistiamo a dire "centro"? Cosa c'è di "centro" nella proposta politica di Salvini e Meloni? E cosa c'è in generale nella loro proposta, a parte la retorica del povero italiano assediato dai poteri forti e dai deboli del mondo intero? E quando il tuo mestiere consiste in questa retorica, ti conviene davvero governare a livello nazionale, mettere le tue facce con relativa mascherina tricolore su tutti i compromessi con la realtà e i guai che ne deriveranno, sperare di rimanere alti nei sondaggi speronando appena qualche barcone in più? 

7. Un solido governo di centrodestra, che abbia il placet degli industriali e che metta gli interessi della piccola-media impresa davanti al diritto alla salute, in Italia c'è già, c'è adesso: sta funzionando persino grazie ai voti dei principali concorrenti, non c'è nemmeno bisogno di sponsorizzarlo, addirittura la Meloni può concedersi il lusso di contrastarlo in parlamento. È chiaro che al governo prima o poi ci devono andare: ma chi glielo fa fare? Succederà, ma forse a questo punto ho più fretta che accada io che lei. Come è già successo al suo collega: prima sale, prima ridiscende. Questo ovviamente non significherà nulla di buono: toccherà a qualche altra grande promessa della politica, qualche altro brillante stratega col sole in tasca, eccetera eccetera. Io sto qui in riva a vederli passare ma ultimamente trovo la pesca più coinvolgente – solo ogni tanto mi ricordo di intonare un inno di ringraziamento: viva la repubblica parlamentare, viva la Costituzione del 1946. 

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Caro elettore (emiliano) di sinistra

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Ciao, come va? È da un po'.
Esatto, sì, sto per fare quella cosa.
(Sono più imbarazzato di te, credimi).

Domenica come senz'altro sai si vota in Emilia-Romagna, e la coalizione di Bonaccini (PD e altre liste di centrosinistra) potrebbe anche non farcela. Questo non sarebbe necessariamente la fine del mondo in regione: in Emilia-Romagna direi che dopo 50 anni un po' di alternanza potremmo anche permetterla, giusto il tempo di dimostrare l'incapacità del centrodestra locale. La vittoria della Lega salviniana però potrebbe innescare una reazione a livello nazionale, con conseguente crisi del governo e fine della legislatura proprio nel momento in cui finalmente in parlamento si cominciava a parlare di una legge elettorale proporzionale e decente (una legge che potrebbe riportare anche la sinistra in parlamento). E quindi?

E quindi, indovina: sto per chiedere il tuo voto utile. Lo so che Bonaccini non ti piace, e posso anche capire i motivi per cui, da una prospettiva di sinistra, non rappresenta quasi nulla che possa piacerti. Cioè non voglio neanche provare a indorarti la pillola, ok? Anzi, sinceramente considero la sua proposta di autonomia regionale una roba da leghisti, e forse invece di scrivere questo pezzo dovrei scriverne uno per convincere i leghisti a votare Bonaccini. Se avessi il bacino di utenza adatto lo farei. Ma è più facile che mi leggano a sinistra, e quindi caro lettore, eccomi in ginocchio da te: per favore, riflettici. Vale davvero la pena di regalare una chance a Salvini, e qualche anno di amministrazione regionale a chi fa campagna elettorale con le magliette su Bibbiano?

Non potrebbe essere l'occasione per stabilire che no, che questo tipo di campagne elettorali da Cronaca Vera non funzionano – perlomeno da noi? Pensa che precedente sarebbe, caro elettore di sinistra. Un tizio cerca di vincere le elezioni battendo ogni mercato, ogni stand gastronomico della regione con la sua scorta, senza argomenti che non siano recriminazioni e selfie, e malgrado ospiti televisivi e influencer non riescano a parlare di altro... perde. Non sarebbe già un risultato importante?

E se invece vince, non sarebbe un po' la fine della democrazia? Cioè una volta che hai dimostrato che le elezioni le vinci andando a disturbare la gente col citofono, che si fa?

E quindi caro elettore credo che dovresti davvero provarci, stavolta. Anche se.

Anche se sono il primo a trovare la cosa un po' sospetta. Ancora una volta uno scontro finale. Ancora una volta le forze del Male stanno per trionfare e l'unica speranza è spostare una manciata di voti sulle forze del Meno Peggio. È da più di vent'anni che funziona così – ieri era Berlusconi, oggi Salvini, c'è sempre un altro piccolo sforzo da fare, c'è sempre un cattivo da abbattere, c'è sempre un motivo per mettere da parte le proprie ragioni e le proprie necessità. E c'è sempre qualcuno (e a volte sono stato io) che ti chiede di metterti la mano sul cuore e di sacrificare le tue esigenze di elettore, sempre e solo le tue, e perché? Perché è in gioco qualcosa di più importante, il destino dell'Italia, dell'Unione, e del mondo, e vuoi sapere una cosa buffa? Ci credono.

(Io perlomeno sono abbastanza persuaso che l'ascesa di Salvini rappresenti un concreto peggioramento per l'Italia, per l'Unione Europea, e per tutto il quadro internazionale, e sarei veramente molto orgoglioso se la mia regione domani gli desse una spallata fatale – mentre al momento sono abbastanza inorridito dalla prospettiva che gli fornisca la spinta che gli manca).

Quindi mettiamo da parte ancora una volta le obiezioni, anche legittime, al nostro modello di sviluppo. Mettiamo da parte l'ambiente, le politiche per la casa, le rivendicazioni dei lavoratori anche quando sono represse dalla polizia, e quell'oscenità che sono i Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Insomma lasciamo da parte tutte le lotte sacrosante di una sinistra che osi ancora definirsi tale sul territorio, e concentriamoci sull'ennesima battaglia decisiva, che anche qualora si rivelasse davvero decisiva, non sarà comunque quella finale, no? Comunque non pensiamoci, c'è la possibilità di mandare Salvini nella polvere (o sugli altari), tutto il resto passa in secondo piano. Caro elettore di sinistra, a questo punto tu giustamente mi domanderai:

E se fosse solo un fantoccio, Salvini?

(Lo ammetto, anche a me il dubbio viene).

Una caricatura di nazista, un Mussolini versione farsa, un Berlusconi in sedicesimo perfino. Uno che in realtà il potere non lo vuole – quando gli è capitato, se n'è proprio liberato alla prima occasione – e che ora serve proprio come spauracchio per tenere uniti tutti quanti contro di lui. In tempi ancora di maggioritario, mentre tutti aspirano al 51%, forse l'obiettivo di Salvini è il 49%: quel che gli serve per essere sempre minaccioso, sempre sulla cresta dell'onda, sempre in tv e sui social, ospitate, libri, la scorta. Guarda, non escludo affatto che alla fine Salvini non sia che questo. Uno messo lì per catalizzare il malcontento e interpretarlo nella forma più trucida e impresentabile. È una possibilità. Ugualmente, preferirei che i suoi candidati non vincessero, domani.

Caro elettore di sinistra, dovrei tagliarla qui. Più scrivo, meno divento convincente. Ti faccio una proposta un po' più pratica: dà un'occhiata al programma di Emilia Coraggiosa, la lista pro Bonaccini di Elly Schlein (già europarlamentare con Possibile). Misura col tuo giudizio quanto sia meno di sinistra rispetto a quella, mettiamo, di Potere al Popolo. Poi vota per chi ti va, davvero. Ma se scegli di votare per una lista collegata a Bonaccini, e Bonaccini si ritrova per altri cinque anni in Regione, ti prometto che almeno da parte mia non saranno altri cinque anni passati a farmi i cazzi miei mentre il territorio si cementifica, l'ossigeno scompare, gli operai vengono processati perché scioperano. Ti sto chiedendo il mio voto? Ti offro il mio tempo e il mio spazio. Ogni volta che Bonaccini ti farà incazzare, potrai scrivermi e io mi preoccuperò, per quel che posso, di dare risonanza alle tue istanze e alle tue incazzature. Non è molto quel che posso offrirti – ma non è neanche molto quel che ti chiedo: una croce su un simbolo e su un candidato. E poi domenica vada come deve andare, una cosa buona è che almeno non ce lo troveremo più in piazza a spararsi selfie davanti a uno stand di salumi. È finita, almeno la campagna è finita. Ci vediamo.

PS: lascia stare il voto disgiunto, è una cabala.
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Cronache dalla campagna

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(Qui intorno era ancora tutta Emilia-Romagna, nell'anno del Signore 2020)


– Avrete notato che è da un po' che non ci sono terremoti in zona Cavezzo, né inondazioni dalle parti di Cavezzo; in compenso l'altro giorno è caduto un meteorite nella campagna di Cavezzo. Le possibilità di trovarlo erano abbastanza basse: e invece l'hanno trovato. È una pietra superficialmente molto nera, l'istituto astronomico ha detto che la chiamerà Cavezzo. Qualcosa del genere è probabilmente successo alla Mecca migliaia di anni fa.


– Il giorno dopo Matteo Salvini lascia detto che verrà a Modena, una città dove fin qui ha fatto un po' fatica a entrare. Andrà a prendere una birra in via Gallucci; gli scappa anche il nome della birreria ma forse non si era inteso bene con il suo impresario, qualcuno si era dimenticato di avvisare il gestore e forse nel nuovo cerchio magico manca un certo tipo di know how, sono bravissimi a pigolare su twitter ma non sanno come rapportarsi con gli esercenti modenesi, il che d'altronde non sorprende. La prima reazione del gestore in questione è infatti annunciare sui social: noi non facciamo politica, ma se viene Salvini siamo in ferie. Simpatég, eh? Il gestore, come chiunque non viva almeno tre ore al giorno sui social, sottovaluta il clima della campagna elettorale: dopo essere stato investito da commentatori ostili che minacciano il boicottaggio si ravvede, e alla fine Salvini ce la fa: entra nel locale, si fa un selfie con la birra in mano tra gli avventori – pochi, perché nel frattempo via Gallucci è stata blindata dalle forze di polizia, in stile corteo di Forza Nuova. Poi già che c'è entra anche in un altro pub, storicamente caro a me e a tutta la mia cerchia (ma ho smesso di bere il primo gennaio, quindi neanche posso boicottarlo): e anche qui selfie e sorrisoni coi gestori. Anche passando a Carpi del resto aveva fatto in modo di farsi trovare proprio davanti alle bancarelle della fiera del cioccolato.


– Il fatto che Salvini si faccia molto spesso inquadrare mentre mangia e beve ha fin qui generato più parodie che riflessioni (come qualsiasi altro fenomeno al mondo, sospetto, e questo malgrado sia più facile riflettere che scrivere battute divertenti). È un'intuizione che parte da lontano (anche Renzi veniva talvolta descritto come in preda a un'infantile bulimia) e si affina negli anni passati a fare campagna elettorale e poco altro. Senz'altro è un espediente efficace per ridurre la sua distanza col cittadino medio, ma è anche una conseguenza diretta del fatto che molto spesso la gente è già lì per bere e per mangiare, sennò Matteo Salvini neanche si scomoda. Poi certo, ogni tanto fa pure dei comizi, però in molti casi l'approccio di Salvini alla folla è parassitario: non è lui a radunarli, lui si fa trovare in un posto dove ci sono già, e siccome di solito sono lì per mangiare, Salvini deve mangiare. Nella maggior parte dei casi va tutto bene, al limite c'è da gestire qualche contestatore ma la maggior parte della folla è comunque contenta di trovarsi vicino a una celebrità, proprio come quando passa un calciatore o il tale che ha fatto un reality. A volte qualcosa va storto (a Modena, tipicamente) e allora o si molla l'osso, come a novembre, in cui si riparò fuori dal centro sardinizzato. Oppure si militarizza l'area, perché quel selfie col boccale in mano evidentemente è importante, chissà quanti voti pesa.

– Salvini le elezioni in Emilia-Romagna potrebbe anche vincerle. Lo dico, ovviamente, per dimostrarmi attento alla situazione e consapevole della distanza tra desideri e realtà: è il senso di ogni rituale scaramantico. Ma lo dico anche perché alla fine la possibilità c'è, e non ha a che vedere più di tanto con la fine del cosiddetto modello emiliano, che è in crisi già da anni, per motivi strutturali che sono gli stessi per cui è in crisi il modello padano, e l'Italia, e l'Europa il genere umano l'ecosistema. Salvini le elezioni in E-R potrebbe vincerle banalmente, perché ci tiene davvero, e non ha niente da fare tutto il giorno tranne battere la campagna, e soprattutto ci tengono i suoi fan, polarizzati e nervosi come non mai. Non è che siano la maggioranza (non in E-R, di certo), ma hanno una voglia di andare a votare che schizza da tutti i pori, mentre cinque anni fa il Pd di Bonaccini vinse con un'astensione altissima. Una tornata elettorale sui generis, in una stagione diversa dal solito, senza copertura sui media nazionali rischierebbe di premiare più le minoranze polarizzate che il famoso centro moderato. I salviniani hanno voglia di votare e sanno anche per chi voteranno; i grillini potrebbero davvero, quella domenica, svegliarsi depressi e restare in pigiama; le sardine sono state importanti da un punto di vista mediatico (sono state loro a comunicare al mondo che c'era un'elezione importante in arrivo), ma se da riempitori spontanei di piazze diventano testimonial di un partito preciso, rischiano di bruciarsi. Quanto agli elettori del PD, stanno semplicemente invecchiando. Salvini le elezioni in E-R potrebbe vincerle perché c'è gente che le perde da cinquant'anni e scalpita, e si venderebbe al diavolo purché fosse la volta buona. Dove "vendersi al diavolo" è una simpatica iperbole che temo non renda l'idea. Mettiamola così: è gente che pur di vincere voterebbe per Matteo Salvini.

– Il quale Salvini ormai non ha neanche nulla da promettere – nessuna promessa che non abbia già bruciato nei mesi di governo – toglierà le accise? uscirà dall'euro? chiuderà frontiere che peraltro non erano molto aperte neanche prima e non si sono aperte dopo? Nulla, non ha più nulla da promettere che non sia un altro anno fighissimo che passerà a spararsi selfie e streetfood. Berlusconi almeno era una figura aspirazionale, il milionario fatto da sé; Salvini è una figura tribale, un feticcio, nessuno spera di diventare come lui, è lui che si sforza di diventare come tutti noi. Mette le felpe, guarda i cantieri, mangia i panini, è un Checco Zalone senza ironia, il vicino di casa un po' scemo che mette allegria e anche quando la spara grossa sai che non lo fa per cattiveria, è il suo modo di reagire alle difficoltà, di tenersi a galla. Tutto questo non lo rende veramente un leader credibile, ma se per questo neanche Trump: evidentemente c'è gente disposta a credere a qualsiasi cosa, succede quando le prospettive sono molto brutte. Salvini a livello nazionale in realtà starebbe anche declinando: l'unico evento che potrebbe rimetterlo rapidamente in sella è una storica vittoria in Emilia-Romagna, e questo rende particolarmente surreali queste elezioni invernali – da una parte le forze del Caos, dall'altra Stefano Bonaccini. Che senso ha.

– Non ha nessun senso, io abolirei le regioni. Non si riesce a parlare di politica locale, non si riesce a valutare un'amministrazione, ci si riduce sempre a una specie di Risiko in cui l'importante è conservare o perdere un territorio. Come quella volta di Emilio Fede con le bandierine (quanto sono vecchio dio mio), o Renzi che diceva: dobbiamo vincere otto a due! e non era nemmeno più importante quali fossero le otto e quali le due, il Molise valeva quanto la Puglia, l'importante è il punteggio, la fatica che si fa a interpretare la realtà quando sei abituato per cultura e inclinazione a osservarla come un gioco, le cui regole arbitrarie diventano leggi fondamentali della natura e il Molise da bizzarria statistica si trasforma in ente reale, dotato di volontà politica e diritto a esprimere tot senatori. Salvini potrebbe vincere proprio perché se si tratta di giocare, non c'è avversario più temibile di un ragazzino con tanto tempo libero. Motivi per votare il centrosinistra: dal dopoguerra in poi ha espresso una classe dirigente che ha saputo amministrare il territorio, con alti e bassi, e inevitabili opacità e collusioni che è quello che succede quando per cinquant'anni nessuno ti scalza dalle posizioni di potere. Motivi per votare Salvini: stiamo arrivando! rrrrruspa! vi mandiamo a casa!

– Alcuni ne sono convinti. Ci sono intere categorie che si stanno radicalizzando, non credono nella fine dei tempi o nell'avvento del Califfato, ma nel secondo avvento di Matteo Salvini, con lui la piccola media impresa rifiorirà (pur restando piccola e media) e le partite Iva troveranno nel regno dei cieli un senso al loro lungo patire sulla terra. Non fosse un'elezione decisiva – l'ennesima elezione decisiva, l'ennesima ultima battaglia contro le forze del Caos – verrebbe voglia, davvero, di aprire la diga e amen, volete la bandierina? Tenete la bandierina. Giusto per offrirvi un'occasione in più per scoprire che non succede niente, nessuna diabolica coop rossa viene espulsa dal territorio, le strade rimangono storte e i fiumi non smettono di andare in piena. Che è successo a Parma quando ha vinto il centrodestra? Dopo un po' hanno dovuto commissariare il comune per banali questioni di tangenti, tutto qui. Che è successo a Bologna, a Ferrara? Le partite Iva stanno meglio? La camorra ha smesso di infiltrarsi? I nomadi hanno spostato il campo nomadi dall'altra parte di un canale di confine, il che qui da noi è molto spesso il modo in cui si risolve la terribile emergenza nomadi? Davvero, mi verrebbe da dire, mettiamoli alla prova, vediamo il loro bluff, dopo cinquant'anni sarebbe anche ora. Poi mi ricordo che se vincono stavolta casca il governo, l'Europa è a un bivio, il mondo fronteggia l'estinzione di massa. Nel frattempo mi arriva una notifica, a Cavezzo è caduto un meteorite. E quindi niente, andiamo avanti così. I salviniani d'Emilia e Romagna saranno pure ridicoli nella loro attesa messianica, ma prima o poi chi chiama l'apocalisse ci azzeccherà. Preferirei non essere io, ma
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Epifanio di Salamina e la castrazione semantica

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12 maggio – Epifanio di Salamina (315-403), dottore della Chiesa, blastatore di eretici


Epifanio un po’ lo invidio. Erano tempi un po’ più semplici, almeno per gli intellettuali: esistevano le Scritture, un po’ di patristica, qualche classico pagano ancora universalmente rispettato, e il resto erano fake news, sciocchezze, teorie del complotto da liquidare senza pietà. Non ci mettevi neanche molto: un versetto biblico assestato al momento giusto ti buttava giù tutto l’impianto gnostico, ammesso che gli gnostici avessero un impianto. Epifanio scrisse moltissimo (anche per questo lo invidio) e la sua opera che conosciamo meglio, diciamo pure la sua opera che conosciamo un po’, ha un titolo fantastico: Panarion. Lo trovate a volte tradotto come “Contravveleno”, e i latini preferivano chiamarlo col titolo generico “Adversus omnes haereses”, già appioppato a un Ireneo e a uno pseudotertulliano. Ma Panarion è molto più incisivo e pratico, Panarion era la cassetta del pronto soccorso, con le ampolline degli antidoti e le pinze, le tenaglie, i seghetti, tutto quello che poteva servire ai medici di quei tempi.

In libreria è disponibile
solo a puntate
(piuttosto costose).
Quando scriveva il Panarion, Epifanio non voleva soltanto debunkare gli eretici, ma anche fornire gli strumenti più pratici a chiunque si trovasse in una situazione d’emergenza, circondato da eretici da contrastare nel modo più rapido ed efficace possibile. Quindi ecco un prontuario di tutte le eresie, ramificate e catalogate come malattie, ed ecco un elenco di tutti gli argomenti che puoi usare contro di loro. Molti di questi argomenti – proprio come le medicine del tempo – erano più tossici delle eresie che contrastavano: per difendere la vera fede Epifanio non esita a mettere in giro contro i nemici le fantasie più nere raccattate chissà dove: deliri orgiastici e pranzi rituali a base di sangue di neonati che ritroveremo migliaia d’anni più tardi ancora sugli scaffali delle librerie dei nazisti. La messa nera come ce la immaginiamo oggi nei film dell’orrore forse l’ha descritta per primo Epifanio. Il quale da buon Padre della Chiesa un po’ si vergognava di allestire questi siparietti scandalistici, ma continuava ad avvertire il lettore che erano necessari. Qualsiasi gossip era necessario, contro il nemico. E i nemici erano dappertutto, per dire Epifanio era uno che se trovava in giro immagini religiose le strappava con sdegno, del resto la Bibbia era molto precisa su quel punto, per dire che anche papa Francesco sarebbe un eretico dal punto di vista di Epifanio.


Origene
Tra le voci che Epifanio contribuisce a diffondere, c’è quella contro Origene di Alessandria, il celebre teologo di due secoli prima. Anche dopo essere stato dichiarato eretico, Origene continuò ad avere ammiratori insospettabili tra cui Girolamo e Ambrogio. Epifanio invece non lo poteva soffrire e inveiva su di lui come Burioni sugli antivaccinisti, nel mentre che raccoglieva le voci più infamanti sui suoi seguaci. Origene, tra le altre turpi cose, si sarebbe evirato per evitare le tentazioni della carne: questa cosa perlomeno raccontavano su di lui i suoi detrattori da più di cent’anni, ed Epifanio non aveva nessun interesse a negarla. Nel Panarion però accoglie un’altra ipotesi, meno nota, e cioè che Origene, invece di tagliarselo, ricorresse a una pozione a base di erbe che otteneva lo stesso risultato: in pratica Origene avrebbe sperimentato su di sé la castrazione chimica e qui finisce il pezzo su Epifanio e comincia il vero pezzo che volevo scrivere, un pezzo sulla castrazione chimica.


In realtà è un pezzo che ho già scritto e mi piacerebbe migliorare, ma non ho tutto il tempo del mondo, come Epifanio, né posseggo la concentrazione di Origene. Inoltre, non so se avete notato come funziona il grande dibattito delle idee su internet: uno ha una serie di argomenti che amerebbe studiare, su cui amerebbe scrivere, ma chi se li leggerà? Chi è che una mattina qualsiasi potrebbe decidere di passare la pausa caffè a leggersi due cartelle sulla castrazione chimica? Nessuno. E così bisogna aspettare. Cosa? Che un politico tiri fuori l’argomento: di solito in campagna elettorale. In sostanza il politico è l’accattone con la fisarmonica, io l’orso che balla. Anche il dibattito politico del resto funziona così ormai, è una specie di contest tra dj che ci fanno ballare, non con le canzoni ma con gli argomenti. Uno tira fuori, che ne so, l’abolizione della povertà, e per due o tre giorni balliamo tutti ah ah ah, abbiamo davvero abolito la povertà? Poi ne arriva un altro con la flat tax (ma a tre aliquote), e ci mettiamo a ballare su quella. Vince il dj con la playlist di argomenti più ballabili, quello che li riesce a mixare eliminando i tempi vuoti – e va da sé che in questo periodo Salvini non ha rivali, è teso come una molla, non ti concede un secondo. Qualsiasi cosa succeda lui ha una soluzione pronta, una parolina magica che risolve: No euro! Flat tax! Educazione Civica e Grembiulini! Case chiuse! Chiudiamo i porti! Qualche giorno fa aveva anche Castrazione chimica, ed è appunto il momento in cui sono andato a riprendermi le mie due cartelle sull’argomento dal mio panarion personale.


Salvini
Quel che mi affascina delle formulette salviniane è che sono davvero promesse elettorali a costo zero: i porti sono già chiusi ai migranti, e Salvini non li ha veramente resi meno accessibili. L’educazione civica si fa già; i grembiulini alle primarie si indossano ancora; la flat tax a più aliquote esiste già; la prostituzione è già legale. E la castrazione chimica? Beh, in Italia la castrazione chimica sarebbe una relativa novità. Con un piccolo dettaglio: che non è una vera castrazione. Non condivide con la castrazione i dettagli che rendono la parola più vivida, più memorabile, più spendibile per un politico che voglia fare la voce grossa e restare in mente all’elettore: non è una mutilazione, non è irreversibile, non è sanguinosa, non è nemmeno una punizione. È una cura ormonale. Che probabilmente non funziona (non basta intervenire sugli ormoni per prevenire i comportamenti violenti), ma notate il paradosso: il tizio che si gonfia il torace proponendo di castrare i maniaci sessuali, in realtà sta dicendo che sono malati e che andrebbero curati (e non imprigionati). E noi che subito scattiamo sdegnati per dimostrare il nostro progressismo, ecco, forse ci facciamo fregare anche stavolta. Davvero saremmo contrari a una cura ormonale come alternativa alla detenzione?

Orwell
Quando usa la parola “castrazione” Salvini evoca nel suo pubblico le immagini violente di forbici, coltelli, tenaglie da norcino. Ce lo conferma il De Mauro Paravia: castrare significa “asportare o far atrofizzare gli organi della riproduzione di un animale”. Asportati o atrofizzati che siano, si dà per scontato che quegli organi siano irrecuperabili. Anche l’accostamento immediato con “chimica”, una bella parola moderna, asettica, non cambia molto il risultato; una mutilazione è una mutilazione anche se al posto della lama di coltello è praticata mediante capsule colorate. Sempre legge del taglione è, quella abolita non già grazie a Beccaria, ma addirittura da Rotari re dei Longobardi. E la discussione potrebbe finire qui: grazie ministro ma l’alto medioevo non c’interessa, neanche nella versione chimica. A questo punto di solito interviene qualcuno con l’argomento ‘il medioevo non ti piace perché non hanno ancora toccato i tuoi bambini’, e la discussione prosegue all’infinito, senza offrire più nessuno spunto di interesse.

La castrazione chimica è una cosa che non esiste. È un nome feroce, che evoca lame arrugginite e barbare mutilazioni, appioppato a una banale cura ormonale senza effetti definitivi. Come andare dal barbiere a “decapitarsi” barba e capelli. O dal dentista affinché ci “amputi” un dente cariato. Allo stesso modo, da qualche anno in alcuni Paesi il condannato per reati sessuali può chiedere di essere “castrato” chimicamente per usufruire di uno sconto di pena. È chiaro? In cambio di un po’ di pilloline tornano fuori prima. E una volta fuori, chi di voi madri e padri premurosi sarà in grado di accertare che il maniaco continui ad assumere la pillolina?


Aveva ragione Orwell: chi controlla il significato delle parole, controlla il Potere. Allo stesso tempo aveva torto: lui pensava che il Potere avrebbe chiamato “libertà” la dittatura, “amore” le torture; per ora le cose vanno in modo diverso. C’è in circolazione una cura (per la verità ancora non molto sicura), per i maniaci sessuali, e il Potere decide di chiamarla “castrazione”, per darsi un tono. Salvini non è un boia che si atteggia a damerino, ma l’esatto contrario. Per rimanere popolare deve fare il gradasso. Certo, se proponesse la libertà anticipata ai pedofili in cambio di una cura ormonale senza effetti definitivi, sarebbe sommerso di fischi. Ma è proprio quello che sta facendo: salvo che la cura ormonale ha questo nome formidabile, “castrazione chimica”. Senti che suono che fa, senti come ti riempie la bocca. E tanto meglio se nel frattempo ti svuota anche le galere, con quel che costa un carcerato.

E funziona? Dipende dai punti di vista. Probabilmente non salva nessuno dalle insidie degli stupratori. Ma come arma mediatica è fenomenale: vuoi mettere quant’è liberatorio e popolare poter affacciarsi al balcone e gridare “castrazione chimica”, ogni volta che una donna o un bambino ci va di mezzo? Tanto più che se si trovasse qualcosa di realmente efficace contro la violenza sessuale, il mondo si svuoterebbe di donne e bambini abusati e genitori impauriti, e a quel punto gridare al balcone non servirebbe più, bisognerebbe inventarsi qualcos’altro. Ma finché c’è un problema vero, e uno slogan efficace, non c’è nessuna necessità di risolvere il problema. No, neanche quello dei vostri bambini, mi spiace.

Forse allora aveva ragione Pasolini, in una sequenza di quel film orribile. Perché mai il Potere dovrebbe mutilare realmente le sue vittime, quando può mettere in scena la mutilazione all’infinito? “Imbecille, non lo sai che vorremmo ucciderti mille volte fino all’infinità possibile prima di ucciderti per davvero?

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Renzi avrebbe vinto, se non fosse Renzi

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Il ragazzo è un missile. 

Qualche mese fa, in un momento di apparente lucidità, Matteo Renzi ammise che la personalizzazione della campagna referendaria era stata un errore. Già al tempo si sapeva come sarebbe andata a finire; già al tempo qualcuno apprezzò quello che sembrava un tentativo di correggere il tiro. Già allora qualcun altro scuoteva la testa - insomma: è Matteo Renzi. Per forza personalizza. Se l'acqua non bagnasse, se il vento non soffiasse, se Matto Renzi non personalizzasse. Cresciuto politicamente tra provincia e comune di Firenze, in una fase in cui partiti e corpi intermedi si ritiravano lasciando spazio a personaggi e personaggetti, Renzi è progettato per vivere ogni battaglia politica nel modo più plebiscitario possibile. O con lui o contro di lui. Del resto è così che si diventa sindaci, che si diventa personaggi mediatici, e forse funziona così anche con le primarie del Pd, ormai. Con palazzo Chigi le regole (per ora) sono un po' diverse, ma forse era un po' tardi per impararle. Prima o poi doveva metterseli tutti contro e andare a sbattere. È anche difficile prendersela con lui, insomma: è fatto così. Lo avevate pur capito che era progettato così. Un missile innescato dai tempi delle prime Leopolde. Non è che possa cambiare traiettoria in corsa, non è che possa imparare un gioco diverso. I missili solo una cosa sanno fare.

A mezzanotte e un quarto, quando ancora il conteggio delle schede era una stima, Matteo Renzi ha voluto salutarci e mostrarci quanta importanza stesse dando davvero al testo costituzionale - perché a quel punto c'era ancora qualcuno che pensava che il referendum fosse sulla Costituzione, sapete. Ha spiegato che è stata colpa sua, tutta sua. Che i suoi elettori non c'entrano. Che ha fatto tante belle cose ma adesso lascia, perché evidentemente qualcuno non lo vuole. Ha fatto il suo concession speech, tanto simile a quello delle primarie di quattro anni fa, perché alla fine nella sua testa il politico è quella figura americana che ammette le sconfitte a conteggi in corso. Tra qualche tempo forse riuscirà più evidente l'assurdità della cosa: sulla scheda non c'era scritto Renzi, non c'era scritto PD, non c'era scritto Cambia Verso Rottamiamo i Professoroni. C'era un quesito costituzionale. Ma per Renzi le croci sul No erano contro di lui e queste è l'unica cosa che importi: lui. Se l'acqua non bagnasse, se il vento non soffiasse, forse sarebbe andata in un modo diverso.

È la fine della sua carriera? A occhio non sembra, anzi. Non fosse Renzi, avrebbe di che festeggiare, e non è escluso che in privato non lo abbia fatto. Alle europee di due anni fa il PD di Renzi valeva 11 milioni: il 40%. Dopo due anni di governo, con un logoramento inevitabile, senza una parte importante del PD, è riuscito a ottenere il Sì di tredici milioni di italiani. Insomma si tratterebbe di una vittoria, da spartire con alleati evanescenti (Alfano? Verdini?) che difficilmente avranno portato al mulino un milione di elettori in tutto. I sostenitori del Sì e i renziani più o meno entusiasti avrebbero di che festeggiare per un risultato che attesta la popolarità del loro leader, collocandolo al centro dell'arco costituzionale con un pacchetto di consensi che non si sta consumando col tempo. Avrebbero avuto più di un motivo di reclamare un risultato che dice, semplicemente, che qualsiasi futura maggioranza di governo dovrà fare i conti con loro.

Ma non sarebbero stati renziani. Non starebbero vivendo questi anni di governo come il talent show del giovane primo ministro contro tutti. Sir Robert Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo, proponeva di lasciare il mondo migliore di come lo avessimo trovato. Renzi lascia il PD devastato, il principale movimento di opposizione più compatto che mai, la scuola disorientata, il mondo del lavoro in stagnazione e un sistema bancario sull'orlo del baratro. Qualcun altro si sarebbe sentito responsabile per tutto questo. Qualcun altro avrebbe cercato di evitare una consultazione referendaria, magari cercando di far passare qualche riforma attraverso la maggioranza qualificata del parlamento. Se non avesse funzionato, qualcun altro avrebbe potuto almeno recepire le critiche che arrivavano da costituzionalisti insigni e da membri del suo stesso partito. Infine, qualcun altro avrebbe potuto sganciarsi davvero dalla campagna, magari scaricandola sulle spalle della sua ministra delle Riforme, che nessuno considera una bella statuina; qualcuno potrebbe aver mantenuto un profilo super partes, dopotutto è già successo che una maggioranza perdesse un referendum e non è stata la fine di quella maggioranza. Qualcuno avrebbe potuto non essere Matteo Renzi, ma è andata così.

E adesso che succede? Forse niente. Le borse che dovevano crollare sono state calme, confermando che il dramma è tutto televisivo. Matteo Renzi ha finito la sua campagna, Matteo Renzi ha promesso soldi a tutti, cartelle di Equitalia condonate e ponti sugli stretti di Messina, ora l'intervallo è finito. C'è per l'ennesima volta da trovare la quadra a un bilancio difficile, c'è da affidare l'incarico all'ennesimo tizio grigio che alzerà le tasse e si farà odiare da tutti. Renzi se ne torna a casa a contare il suo gruzzolo di Sì, ad aspettare il momento in cui tutti lo rimpiangeremo. Non è escluso che non succeda molto presto, persino a me.

Vorrà dire che tra qualche mese o anno, complice il susseguirsi degli eventi o il rincoglionimento, mi sarò dimenticato quel piccolo dettaglio: il ragazzo è un missile. Forse non sarà per sempre un ragazzo. Forse un giorno imparerà a non andare dritto come un missile. Forse. Ma a quel punto forse è meglio provare qualcos'altro. E la vecchia domanda: ma come andò quella volta, ma chi si mise in testa per primo che quel missile sarebbe stato un ottimo segretario del Pd, un ottimo presidente del Consiglio? Non si vedeva che era un missile? E i missili solo una cosa sanno fare. Magari anche bene, eh. Ma solo una.
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Diciamo "No" agli inestetismi della dittatura

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Ssssst, sta creando.
No - i giorni dell'arcobaleno (Pablo Larraín, 2012)

È giusto vendere la democrazia come una cocacola? Se un dittatore ti propone un plebiscito e ti offre un quarto d'ora in tv, lo userai per lamentarti degli amici che ti ha sgozzato o per lanciare slogan rassicuranti a casalinghe e adolescenti? Il fine giustifica gli spot? René è un giovane pubblicitario che nel Cile del tardo Pinochet non se la passa poi male. Quando gli offrono di curare il prodotto più difficile e pericoloso - il "No" a Pinochet nel referendum che tutti immaginano truccato - l'orgoglio del professionista ha la meglio sulla prudenza. Venderà il No alla maggioranza dei cileni, anche a costo di svuotarlo di significato. Ma la vittoria non è un valore in sé? No arriva a Cuneo con un certo ritardo: era a Cannes l'anno scorso, è in lizza per l'Oscar al miglior film non USA, e ha ottime chances: racconta una storia che agli americani interessa, in quel genere a metà tra fiction e documentario che sta attirando sempre più interesse. Larraín non può contare sui production values nordamericani, ma il suo No non risulta affatto meno coinvolgente di un Lincoln, uno Zero Dark Thirty o un Argo. L'effetto vintage lo ottiene con l'espediente di girare con vecchie cineprese anni '80, che rendono quasi inavvertibile l'inserzione di documenti di repertorio: tanto che alla fine rimane la curiosità di sapere quali spot siano autentici e quali no. Lo stesso René da quel che ho capito è un personaggio di finzione, anche se non si direbbe (Gael García Bernal sempre molto bravo). Il film racconta una versione stilizzata dei fatti, e naturalmente in patria si è preso la sua parte di critiche da parte di testimoni che se li ricordano un po' diversi, un po' più complicati. La realtà è sempre più complicata.

Larraín di suo ci mette l’ambiguità politica (continua su +eventi!)è pur sempre figlio di due registi schierati con Pinochet; lui ne ha preso le distanze, ma il suo film sembra liquidare la vecchia generazione degli oppositori al regime come ruderi rancorosi che non hanno capito che la campagna elettorale è marketing, e che un jingle affollato di gente sorridente vende meglio di un tetro reportage sui morti e i torturati. Il film in realtà è molto più sottile di così, ma in Italia è arrivato nel momento giusto per subire una certa lettura: all’indomani del disastro del PD, preannunciato da un memorabile intervento Servizio pubblico di Roberto Saviano che ha spiegato quanto sia importante parlare del futuro e non fossilizzarsi sul passato; hanno tutti applaudito, e poi si sono rimessi a parlare della Trattativa Stato-Mafia. A me non dispiacerebbe concordare con Saviano quando esorta a lasciarsi alle spalle il passato – purché non si rispolveri quel vecchio slogan per cui le elezioni si vincono soltanto con contenuti positivi. Magari fosse così. È senz’altro così in momenti di crescita, come quello che stava attraversando il Cile negli anni Ottanta. René vive nell’euforia di quegli anni, è entusiasta del forno a microonde ma ha ancora un po’ paura che emetta radiazioni. Si sposta in skate e ha capito che il Cile è pronto per scrollarsi di dosso i generali come un rettile si libera di una pelle vecchia e inutile: ma non sa che animale c’è sotto, e non è affatto sicuro che gli piacerà, che valga la pena di festeggiare.

Ma anche la paura vende benissimo, nei momenti giusti. In periodi di stagnazione e crisi, per esempio: lo abbiamo sperimentato abbondantemente dai primi Novanta in poi. I leghisti con l’emergenza criminalità e le invasioni hanno messo insieme un bel gruzzolo di voti; anche Berlusconi non ha disdegnato di paventare l’avvento del comunismo, e Grillo continua a vendere paura un tanto al chilo, tagliata con qualche vaga formuletta di speranza: hai voglia a dire che non c’è mercato, la paura se guardi bene le elezioni le ha vinte. Il PD le ha perse, e senza dubbio non ha azzeccato la campagna, ma non perché abbia spaventato i suoi potenziali elettori con slogan rancorosi; “Smacchiamo il giaguaro” non era affatto uno slogan rancoroso, anzi era abbastanza allegro; purtroppo era anche irrimediabilmente brutto. René lo avrebbe liquidato così: brutto, proviamo qualcos’altro. È un professionista, questo è un altro messaggio del film. La comunicazione politica non è necessariamente la politica, bisogna affidarsi a specialisti; e ovviamente bisognerà pagarli un po’. Rischiate di uscire da “No” con qualche argomento a favore del finanziamento dei partiti, attenti. 
Un’ultima cosa sul doppiaggio italiano. La scelta di lasciare non tradotti (e senza sottotitoli) gli spot originali è incomprensibile, in un film che racconta una guerra di spot. E non è vero che lo spagnolo lo capiscono tutti. Sembra quasi che i doppiatori italiani non abbiano avuto il coraggio di accettare la commistione di fiction e documentario fino alle sue estreme conseguenze: anche l’orribile Pinochet è un personaggio del film, tanto più orribile quanto più cerca di trovare un volto rassicurante. Parla la stessa lingua di René, non è un invasore, non è un alieno. Se il film è doppiato, andava doppiato anche lui. Avete avuto quasi un anno di tempo, ecchediamine. Tanto valeva sottotitolarci una versione originale.  

No è al cinema Monviso di Cuneo oggi (sabato) e domenica, alle 21. Viva il cinema Monviso!
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D'Alema è un bot

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A sinistra del calcare.

La cosa terribile è che io tutto sommato quel che ha detto D'Alema sui risultati delle amministrative e sul grillismo lo trovo condivisibile, segno equivocabile del mio triste invecchiare dalemiano: e tuttavia quando si arriva alle conclusioni, ahinoi, niente da fare. Io un passo verso D'Alema lo sto facendo, sarà il rincoglionimento, boh, ma anche D'Alema un passettino verso di me potrebbe farlo e invece no, D'Alema resta D'Alema, inossidabile. C'è un vuoto a destra che ricorda il '93, tranne che non lo possono occupare più né la Lega sputtanata né Berlusconi spompato né i postfasci dispersi, quindi chi? C'è un'astensione che cresce in tutti i settori, un'ostilità crescente per chiunque rappresenti governo e parlamento, e quindi per D'Alema cosa bisogna fare?
Per evitare di ripetere l'errore dobbiamo costruire un asse di governo basato sull'alleanza tra progressisti e moderati.
Roba che se uno D'Alema non lo conosce (alle prossime elezioni voterà gente che è nata durante il governo D'Alema), probabilmente non riesce nemmeno a capire di cosa parla: chi sono i moderati? A giudicare dai toni e dai contenuti, siamo noi del PD. E i progressisti con cui fare l'asse chi sarebbero? Cos'è il progresso? Pietire l'eurobond? Ma purtroppo noi al tempo del governo D'Alema eravamo vivi, ahinoi, e votanti, per cui sappiamo cosa intende per "moderati": chiunque stia a destra del PCI-PDS-DS-PD in quel momento. Metti che ci fosse Gengis Khan. D'Alema ti proporrebbe un'alleanza con Gengis Khan. Scherzo, Gengis Khan è da un po' che non esiste. Perché invece Casini?

E guardate che un po' mi dispiace. Ci speravo, in questi famosi moderati delusi da Berlusconi, moderati ravveduti e disposti a guardare in faccia la realtà e dare il proprio contributo in un momento così difficile, ci speravo negli strani compagni di letto che ci avrebbe imposto il postberlusconismo, ci contavo, su dei moderati, per così dire, moderati. Bene, dove sono? Chi stanno votando? Il pre-polo della Nazione non arriva al 5%? La Curia non ha mai scommesso su un cavallo così zoppo, probabilmente sta già valutando qualche alternativa, e riflettendoci bene a questo punto ormai il partito più cattolico di tutti è quello di Rosy Bindi Fioroni e Fassino. La DC. Siamo noi adesso. Nel frattempo D'Alema continua a usare "progressisti" e "moderati" col significato che avevano vent'anni fa, a rischio di non accorgersi che nel frattempo i veri moderati siamo noi: mentre quelli che immagina lui (Casini? Fini? Pisanu? Montezemolo? Chi?) sono appunto ormai solo creature nella sua immaginazione. Senz'altro in Italia c'è abbondanza di politici desiderosi di rappresentare un'area moderata. Ma gli elettori moderati, quelli, esistono?

Prendi Parma. Per otto anni, pur di non votare DS, mandano al comune dei simpatici e rapaci roditori. A un certo punto, con un ospedale da Paese in via di sviluppo (gli edifici, non il servizio) e un cantiere per la metropolitana, si ritrovano commissariati, in pratica la Sicilia in Valpadana, senza offesa per la nobile isola ma ci siamo capiti. Cosa fanno allora gli elettori moderati? pur di non votare PD, che è l'erede di un'esperienza amministrativa coi suoi alti e i suoi bassi, ma nel complesso onesta, rispettabile... votano il candidato Cinque Stelle. Grande exploit di Grillo. E va bene, complimenti a Grillo e al suo candidato. Ci rimane il dubbio del calcare. Ovvero: se al posto del candidato Cinque Stelle si fosse candidato il calcare - non un calcare qualunque, diciamo il calcare ostinato dei peggiori anfratti del WC, siamo sicuri che la maggioranza dei parmensi non avrebbe scelto, piuttosto di un candidato PD, il calcare? Io non ne sono del tutto sicuro. Perché i cosiddetti "moderati", da noi, sono così. Voterebbero Gengis Khan. Non perché siano d'accordo con la piattaforma di Gengis Khan. In effetti, nessuno sa bene quale sia il pensiero economico di Gengis Khan. Però non è del PD. L'importante è quello, per gli elettori "moderati".

D'Alema questo non lo capisce. In sostanza non capisce gli italiani, non sono abbastanza razionali per lui. D'Alema vorrebbe conquistarli. Ci dev'essere pure un modo di convincerli che siamo il loro partner ideale. Vediamo un po', D'Alema, che altro possiamo fare per moderarci ulteriormente. Abbiamo cambiato quattro simboli e tre nomi. Ci siamo presi in casa mezza democrazia cristiana e tutti i radicali, e la Binetti per l'Opus Dei. E Ichino. E Calearo. Abbiamo sostenuto il governo Monti con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente. Quanti voti 'moderati' abbiamo conquistato al centrodestra? Più o meno l'uno per cento, Gengis Khan ne avrebbe presi di più. Quanti ne abbiamo persi nel frattempo alla nostra sinistra, al nostro centro, alla nostra destra? E adesso cosa possiamo fare di più moderato di così? Mettiamo Buttiglione in commissione pari opportunità? I posti in lista che libera Pannella, potremmo darli in blocco alla Conferenza Episcopale, magari gradiscono. Dopo aver candidato Calearo cosa possiamo fare di ancora più estremo, pardon, più moderato? Per dire, non so, Scilipoti ha degli impegni?

D'altro canto, se queste domande le poni a D'Alema, lui serafico ti risponderà
dobbiamo costruire un asse di governo basato sull'alleanza tra progressisti e moderati.
Non importa che non esistano più né "progressisti" né "moderati": D'Alema auspica un'alleanza perché, sostanzialmente, la funzione sociale di D'Alema è auspicare quell'alleanza lì, così come la funzione sociale di certi santoni è ripetere invocazioni in lingue ormai sconosciute. Eppure la capacità di analisi a D'Alema non è mai mancata. Il guaio è la conclusione, sempre uguale: ehi D'Alema, piovono ranocchie e il meteo dice che una nuvola di locuste è in arrivo, cosa dici che dobbiamo fare?
Per evitare di ripetere l'errore dobbiamo costruire un asse di governo basato sull'alleanza tra progressisti e moderati.
No, scusa D'Alema, scherzavo, in realtà i tedeschi hanno capito che se vogliono tenersi le case al mare ci devono aiutare e quindi si accollano il nostro debito e trasferiscono tutta la Volkswagen a Melfi e metà BMW a Termini Imerese. Quindi adesso che si fa?
Per evitare di ripetere l'errore dobbiamo costruire un asse di governo basato sull'alleanza tra progressisti e moderati.
In fin dei conti D'Alema è un bot, un programmino semplice semplice che saprei scrivere pure io, in un antico arcano linguaggio macchina che ci tramandiamo di generazione in generazione:

10 scansiona il sistema
20 trova il centrosinistra (=CS)
30 identifica il soggetto a destra del centrosinistra con "moderati" (=M)
40 allea CS con M
50 vai a 10
run

Alla fine il bot D'Alema ha una sua utilità sociale. Il problema è quando nello stesso software inserisci anche il bot Veltroni:

10 scansiona il sistema
20 trova il centrosinistra (=CS)
30 trova i moderati (=M)
40 fondi CS con M (CS=M)
50 annoiati
60 esegui il bot D'Alema mentre scrivi un romanzo
run

Ecco: questi due bot, che presi individualmente sono abbastanza inoffensivi, combinati assieme diventano una minaccia. Prima il bot D'Alema sente l'impellente necessità di allearsi con tizi come la Binetti. Poi interviene il bot Veltroni che dice: noi non dobbiamo solo essere amici della Binetti, noi dobbiamo essere la Binetti. Il passo successivo è allearsi a Tremonti, o Bossi, o Montezemolo. Poi c'è Forza Nuova. Poi c'è Gengis Khan, o il calcare nel WC. Col tempo ci arriveremo. I bot non sentono il passare del tempo. Finché c'è energia vanno avanti, loro hanno un codice da eseguire.
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"Non si celebra il nulla"

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Trascurabili questioni di stile

Questo non è un pezzo sulla politica. Non c'è nulla che valga la pena di scrivere in questi giorni che non sembrerà ridicolo tra un mese. Non è neanche un pezzo sul calcio. Forse è un pezzo sullo stile. Il problema con lo stile è che se non sai cos'è, non capisci nemmeno che ti manca. La maggior parte delle persone ne ha quel poco che basta per capire che gliene servirebbe di più. E poi c'è Adinolfi. Purtroppo questo è anche un pezzo su Mario Adinolfi.

Adinolfi sta su twitter. Ha anche un blog a dire il vero, cioè lo aveva sul Cannocchiale, poi lo ha chiuso, poi lo ha riaperto, non lo so, non è che sia così interessante in fin dei conti. Io lo seguo su twitter, e tanto mi basta. Sì, non è un grande indizio di stile da parte mia. Su twitter Adinolfi ha tutta una teoria su cosa bisogna fare e cosa no, tutto un catechismo che vi risparmio; lui sostanzialmente lo usa per esprimere le sue opinioni politiche, festeggiare quando vince a poker e tifare Juventus. Quest'ultima cosa lo rende più di altri un cinguettatore molesto, perché, non so se ci avete fatto caso, poche cose si sopportano meno nel flusso di twitter di uno che non commenta nemmeno la partita in modo tecnico, no, lo usa solo per fare i cori come in curva, ma d'altro canto Adinolfi è così. Tifa la Juventus, la quale squadra almeno di questo non ha colpe. La domenica che ha vinto il campionato magari vi siete chiesti chi sono stati gli sfigati che hanno fatto invasione di campo, ecco, Adinolfi c'era e si è fatto pure il video col telefonino e l'ha pure messo su internet, perché Adinolfi è uno che in internet ci crede, sa come usare internet per farsi compat... per attirare l'attenzione sul personaggio. Vabbe'.
campioni di sto kazzo..ma andate a lavorare,con tutti i problemi ke ci sono in italia pensate a ste minkiate,poi se ce da andare a manifestare x sto paese ke sta andando in rovina nessuno si muove..siete dei pecoroni di merda,ke italiani di merda e pure ciukki,bravi coglionazzi pensate al calcio ke sicuramente vi darà da mangiare...koglioniiiiiiiiiii.­.....!!!!!!!!!!!!! (D'altronde, se carichi un video su youtube che reazioni ti aspetti? No vabbe' ma sei tu l'internettologo).
Ora io dirò una cosa di calcio, una sola. Non ho mai sopportato la Juventus. Quando sei bambino hai bisogno di una squadra che compensi la tua autostima, tanto meglio se è l'unica con due stelle sullo stemmino. Io probabilmente avevo un'autostima pazzesca, una sindrome da onnipotenza mai veramente rientrata, perché dopo attenta riflessione scelsi il Torino. Però voglio aggiungere un'altra cosa, un'ultima. Per quanto io possa avere odiato la Juventus bistellata dei miei tempi, il mio era un odio grondante di stima. Confusamente sapevo che non mi sarei mai potuto fare dei nemici migliori di Platini, di Zoff, di Boniperti, di Trapattoni. Era una squadra che aveva stile, non è solo un modo di dire. Anche quel modo di vincere ma non stravincere: per esempio il campionato mai due volte di fila, sarebbe stato inelegante. Il mio era un odio che si è incrinato in due momenti precisi, filtrando un dolore sincero: Juventus-Amburgo e Juventus-Liverpool. Ci soffro ancora a pensarci, che quella squadra non ha mai veramente vinto una Coppa come si deve. Se la meritava ma non è successo, e ciò me la rende un po' più Torino di quanto non sia Juventus. Quella Juventus non esiste più, anche questo non è un modo di dire. È cambiato tutto nel frattempo, stravincere è diventato un imperativo commerciale, però tutta la polemica sulla terza stella, ecco, al di là di tutto, è la morte dello stile. Uno sportivo che ha stile, se ritiene che gli sia stata fatta un'ingiustizia, se pensa che gli siano stati scippati due scudetti, alza le spalle e dice: va bene, siccome me li merito li rivincerò. Questo è lo sport, questo è lo stile, questo è l'unica labile connessione tra il guardar tirare calci a un pallone e il diventare uomini. Che era il fine per cui lo abbiamo inventato, lo sport moderno: diventare uomini. Non intrattenere bamboccioni quarantenni che si filmano l'invasione di campo, manco avessero vinto loro. (Sì, Adinolfi, non "avete vinto" voi tifosi: han vinto loro, voi al massimo avete pagato il biglietto, eh, ma questa cosa, se non ti è entrata a sedici, a quaranta è durissima).

Sabato sera c'è stata Juventus-Napoli, finale di Coppa Italia. Per i non esperti: è un trofeo nominalmente importante, ma sempre un po' snobbato dal pubblico. Per alcune squadre di livello medio è un palcoscenico fondamentale. Comunque stiamo parlando di un trofeo professionistico, ci si aspetta che tutti diano il meglio. Adinolfi, che su twitter aveva appena finito di esternare la sua opinione criminologica sulla bomba di Brindisi (Non è una bomba di mafia, questa è opera di un Brevnik all'italiana, trovatelo subito), si è messo subito a spiegare che la Coppa per lui era un "portaombrelli", non gli interessava, e vabbe'. Ha vinto il Napoli e Adinolfi ha commentato così:


E uno dice sì, un po' acidino, ma d'altronde è un tifoso, bisogna entrare nella semantica dei tifosi. Magari tra un po' cancella. E dopo un po':
Capisci che twitter è demoniaco? Perché son tutte opinioni non richieste, cioè Adinolfi, fermati, che rosicata indegna, che piccola grande figura di merda stai facendo, e perché? Sei un personaggio pubblico, ti sei anche candidato, e questi sono quei momenti in cui uno ti legge e pensa: fortuna che non t'abbiamo eletto. E non ha niente a che vedere con le tue idee o le tue appartenenze, ha unicamente a vedere con lo stile, però non credo di potertelo spiegare se non sai cos'è. C'è una differenza, ci dovrebbe essere, tra il "tifare" una squadra e regredire a uno stadio infantile di sfottò e pappapero. La famosa questione generazionale. Il guardare all'estero, dove i trenta-quarantenni si fanno sotto nel mondo della politica: vatti a vedere se un trentenne di belle speranze inglese si mette a commentare una partita così sui twitter. Io scommetto di no. Il "tifo", nei Paesi sportivi, implica un rispetto per gli avversari, per la competizione, per la bellezza del gioco, che tu in questi piccoli momenti mostri di non sapere neanche dove sta di casa, e spero violentemente che tu non sia rappresentativo di una tifoseria o di una società. Comunque magari era solo lo sfogo di un momento e dopo un po' gli è passata.

Non gli è passata.
Questa è una piccola storia che avrei dimenticato subito, non fosse che ieri Adinolfi si è messo a festeggiare - stavolta non la Juventus, ma sé stesso, perché è stato eletto in Parlamento. Sì. È andata così. A Civitavecchia è stato eletto un sindaco già parlamentare, ma tra le due cariche c'è incompatibilità e quindi dovrà dimettersi, e lo scranno libero spetta per legge al primo dei non eletti nella stessa lista, che era evidentemente Mario Adinolfi. Secondo lui è una grande vittoria di internet, infatti Adinolfi è un grande esperto di internet, ha avuto anche per anni un blog sul Cannocchiale. E ha un sacco di gente che lo segue su twitter. Per cui insomma tra l'incredibile consacrazione di Adinolfi che entra finalmente alla Camera e il risultato comunque apprezzabile delle liste appoggiate da Grillo, è tutto un trionfo di internet.

Certo, c'è il particolare trascurabile che Adinolfi era in una lista del PD, partito di cui ha stracciato la tessera un anno fa, con un intervento molto polemico nei confronti della segreteria Bersani. Al tempo noi pochi adinolfologi (razza strana) ci domandavamo in cosa consistesse abbandonare il PD, dal momento che Adinolfi non aveva nessun ruolo a nessun livello: di solito i divorzi comportano qualche rinuncia, ma non era chiaro a cosa stesse rinunciando il nostro. Per esempio, a un eventuale seggio in parlamento qualora se ne presentasse l'eventualità? No, pare di no, adesso che si è liberato un posto Adinolfi si è sbrigato ad annunciare che entrerà nel gruppo del PD, "da indipendente": che bella espressione anni Ottanta, mi fa tornare in mente Zbigniew Boniek. Un altro stile, comunque.

Questo non era un pezzo di politica. Era un pezzo sullo stile. Per esempio. Cosa c'è di peggio di sputare nel piatto in cui si mangia? Ci può essere qualcosa di peggio? Sì, qualcosa c'è: riprendere il piatto dopo un po' e rimettersi a mangiare come se nulla fosse. Da indipendente. D'altro canto, che senso ha parlarne. Chi legge fin qui, o condivide il mio parere su Adinolfi (e allora è inutile continuare) o è Adinolfi. Nel qual caso non credo che possa capire cosa intendo per "stile". Probabilmente pensa che lo stia prendendo in giro perché è sovrappeso. No, Adinolfi, giuro, il girovita non c'entra niente.
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Il Grande Partito Astensionista

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C'è un solo partito che festeggia davvero in tutta Italia, stamattina: quello dell'Astensione. Sette punti percentuali in più, una valanga: l'Astensionismo sembra ormai sul punto di diventare il partito di massa che PdL e PD non sono più. Cari ideologi dell'astensionismo militante, complimenti: gli editoriali che escono stamattina su tutti i quotidiani, sulla Delusione e la Disaffezione della Gente per la Politica e per la Casta, sono dedicati a voi, ve li meritate tutti. Mentre aspettate che diventino gratuiti on line, vagolate sui social network festeggiando e teorizzando: quando saremo il 50% più uno, cosa accadrà? Già, cosa? (Continua sull'Unita.it, H1t#126).

Credo di poterlo anticipare, visto che in altre nazioni è già successo: quando l’Astensione sarà il primo partito in Italia, non succederà un bel niente. Ci sarà qualche editoriale in più sulla Disaffezione della Gente, qualche dibattito televisivo con ospiti molto accigliati… e dal giorno seguente chi ha vinto le elezioni governerà, chi le ha perse starà all’opposizione, come sempre. Come è successo in altri Paesi, di più antica tradizione democratica, che siamo abituati a ritenere più politicamente evoluti del nostro. Per dire, nel ’96 Clinton fu rieletto Presidente con un’affluenza alle urne del 49%, che non fece certo di lui un’anatra zoppa – perlomeno finché non scoppiò il caso Lewinsky. Per contro un’alta affluenza (come quella di cui noi italiani eravamo orgogliosi ai tempi della Prima Repubblica) in generale nel mondo non è ben vista, spesso è un indizio di scarsa democrazia: è ai tiranni che piace far sfilare compatto alle urne il 99% degli aventi diritto.
Forse dietro al movimento astensionista militante c’è un equivoco, nato con la deriva dei referendum abrogativi: quando, a partire dagli anni ’90, l’astensionismo è diventato così importante che accanto ai comitati per i Sì e per i No sono nati veri e propri comitati per l’Astensione (come quello dei vescovi al tempo del referendum per la fecondazione assistita), che per 15 anni hanno vinto a man bassa tutte le consultazioni referendarie. Ma astenersi dalle elezioni non ha lo stesso peso politico: chi non si reca alle urne, semplicemente, si chiama fuori. Governeranno gli altri, e lo faranno anche in nome suo. Meglio spargere l’idea, perché in giro c’è chi davvero non lo sa, chi è convinto che si possano invalidare anche le elezioni politiche.
L’astensionismo, in effetti, ha un che di diabolico. È riuscito a spacciarsi per rivoluzionario, quando alla fine è una resa bella e buona alla famigerata Casta, che con una riduzione dell’elettorato avrà anche meno spese da affrontare per campagne e voti di scambio. E mentre lorsignori si votano e si governano da soli, all’Astensionista resterà la gran consolazione di poter urlare “non nel mio nome”. Come se davvero gli importasse qualcosa, a chi ti frega il futuro, di come ti chiami. http://leonardo.blogspot.com
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Il sacrificio di Fini

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Il guaio di esserci appassionati di politica, magari quindici o vent'anni fa, e di non essercene ancora inspiegabilmente stancati, è che rischiamo di essere vittima delle nostre inutili frustrazioni, di vecchi rancori che non hanno più senso, perché non siamo mica al bar sport qui, non ci stiamo mica sfottendo tra interisti e milanisti; a parte che anche lì, se alla fine Ibrahimovic può passare al Milan, perché non potrebbe Fini apparentarsi col PD? Chi siamo noi per dire di no, da quale pilastro di granitica coerenza ci sporgiamo con l'aria dei duri e dei puri? E perché continuiamo ad avercela con D'Alema, che senso ha tenersi al dito per tutti questi anni uno sgarbo, una cattiva parola? Già, sono detriti di vecchie passioni che non hanno più senso, se mai lo hanno avuto - io però non lo voterò, Gianfranco Fini; e non mi fiderò di D'Alema. Lo so che tutti cambiano, e ammetto che Fini è molto cambiato, e voglio sperare che D'Alema avrà imparato dai tanti suoi errori: ugualmente, grazie, no. E' un comportamento irrazionale, me ne rendo conto. Un comportamento che non fa onore a un elettore moderno, democratico, postideologico, postballevarie.

Mi resta il dubbio che sia un problema di cognomi. Voglio dire: se al posto di "Gianfranco Fini" e tutto quello che mi rappresenta dal MSI a Berlusconi, ci fosse uno sconosciuto che dice le cose che Fini ha detto negli ultimi mesi, lo voterei? Accetterei di votare una coalizione dove c'è anche lui in un bel collegio blindato? Ho votato per la Binetti, ho mandato Calearo in parlamento, probabilmente sì, ci manderei anche lui. Non si chiamasse Gianfranco - oh, Gianfranco, perché sei tu Gianfranco? rinnega il tuo nome. Sì, potrei accettarlo. Peccato che chi mi consiglia una mossa del genere sia lo stratega di cento battaglie perdute, Massimo D'Alema - ma anche lui, perché si ostina a farsi chiamare così? Basterebbe che la stessa strategia me la suggerisse "Mario Rossi", e potrebbe sembrarmi ragionevole. Lo vedete? E' un problema di cognomi, e delle lunghe storie che ci sono dietro.

Proviamo a farne a meno. Cancelliamo il cognome D'Alema, cancelliamo il nome Gianfranco, e anche i nomi dei partiti, cancelliamo tutto. Tabula rasa. Fingiamo di essere atterrati da pochi minuti su un pianeta XYZ, dove due anni fa ci sono state le elezioni con una legge elettorale uninominale con sbarramento al 4%. Hanno partecipato alla competizione il Polo Arancione, il Centro Giallo, il Polo Marron e la Rifondazione Bordeaux. Le percentuali si sono ripartite più o meno così:



Sì, sono una schiappa coi grafici, grazie. La collocazione dei partiti a destra, a centro e a sinistra non ha nulla a che vedere con le rispettive ideologie, che non conosciamo assolutamente. L'unica cosa che sappiamo è che gli elettori dei due principali blocchi detestano i dirigenti del blocco opposto. Come avrete notato la mezza torta non arriva al 100%: in effetti mancano briciole, che non passeranno comunque lo sbarramento (non lo passano nemmeno i bordeaux, se è per questo). L'impressione generale è di equilibrio: con questi numeri il Centro Giallo potrebbe fare da ago della bilancia - se non si trattasse, appunto, di uninominale con sbarramento al 4% (la faccio semplice, in realtà è più complicata, lo so). Infatti la vera ripartizione dei seggi in Parlamento sarà questa:

Come dicevamo i Bordeaux sono scomparsi: in nessun distretto del pianeta erano abbastanza radicati da oltrepassare lo sbarramento. I Gialli no, ma soltanto perché sono ben radicati in una regione; una regione periferica, ancorché molto popolata, e dotata di una classe dirigente particolarmente corrotta e di organizzazioni criminali eccezionalmente professionali. Quindi, in sostanza, gli Arancioni, col 46% dei suffragi, hanno i numeri per governare, e i Marron i numeri per stracciarsi le vesti, aprire un dibattito interno, cambiare i vertici, tutte quelle cose che un Partito di solito fa quando perde.

Dopo due anni succede una cosa abbastanza imprevista: una spaccatura nella coalizione di maggioranza provoca un travaso di seggi verso il Centro Giallo, che si ribattezza pomposamente Terzo Polo Giallo. Il problema è che di poli, per definizione, anche sul pianeta XYZ ce ne possono essere soltanto due: è la regola del gioco, chi vince prende più o meno tutto. I dati del terzo grafico sono presi da un sondaggio della settimana scorsa; nel frattempo pare che l'ondata gialla si sia un po' sgonfiata, comunque prendiamoli per buoni. Ecco qua:

Come vedete, sono tornati i Bordeaux, che nel frattempo si sono scissi tra Bordeaux e Lillà. I primi qui valgono da soli un 4,5%, e quindi hanno qualche chances di tornare in Parlamento; quanto al Centro, pardon, Polo Giallo, la sua sopravvivenza è fuori discussione, non fosse per quei famosi distretti elettorali della regione periferica eccetera.
Ma questi sono solo sondaggi. Vincerà chi sa interpretare meglio lo spirito del gioco. Direi che i principi  fondamentali sono:

1) Piacere al proprio elettorato di riferimento. Sembra banale, in realtà è la cosa più difficile. L'astensione è sempre più forte, e penalizza le due coalizioni più grandi. In realtà un partito che riuscisse a piacere davvero al suo elettore-tipo potrebbe vincere le elezioni infischiandosi di qualsiasi alleanza o apparentamento.

2) Coprirsi alle estremità. Esse sono popolate da partitini piccoli e minuscoli, che con i loro 0,5 per cento non vinceranno mai una circoscrizione, ma possono essere decisivi nel far perdere il concorrente moderato. Gli arancioni lo sanno bene, e alla loro estremità hanno tirato su qualsiasi cosa, compresi i topi di fogna. I marron hanno più difficoltà: anche se si alleano coi Bordeaux, rimane il problema dei Lillà. Che non danno eccessivi pensieri, comunque.

3) Proporsi al Centro, per erodere qualche voto ai Gialli e addirittura agli avversari. Da anni ci provano tutti, in realtà non ci riesce nessuno.

Il problema, per i due veri concorrenti (Arancioni e Marron), è sempre quello della "coperta troppo corta": coprendoti alle estremità ti scopri al Centro; e mentre tiri di qui e di là vieni meno al primo principio: rimanere fedeli al proprio elettore. In effetti quello che ha dato la marcia in più agli Arancioni è un leader in grado di assorbire le contraddizioni senza risolverle: sotto il suo mantello mette insieme nordisti e meridionali, liberisti e statali, cattolici e mignotte, incredibile ma è così. Ah, inoltre possiede quasi tutte le reti televisive, buffo.

Rimane da capire cosa succederà ai Gialli. Non scompariranno, ma non possono in nessun modo vincere le elezioni. Possono invece farle perdere. A chi? Le possibilità stavolta sono soltanto due:

a) Se partecipano da soli, possono dare notevoli fastidi agli Arancioni: molto più grossi di quelli che i Bordeaux potrebbero dare ai Marron. Basta raccogliere un due per cento qua e un tre per cento là per far perdere agli Arancioni decine di seggi. E con decine di seggi in meno si perdono le elezioni.

b) Se partecipano con i Marron, l'effetto di disturbo nei confronti degli Arancioni viene a mancare del tutto. Inoltre i Marron rischiano di strappare la coperta: di non convincere il proprio elettorato o quello dei Bordeaux, che potrebbe ripiegare sui Lillà o sul partitino di un ex comico televisivo. Potrebbero compensare la perdita di voti con i seggi che sicuramente guadagneranno in quella famosa regione un po' corrotta: ma li dovranno spartire, probabilmente a tutto vantaggio di quel Centro Giallo che manterrà un'identità diversa, e che dopo le elezioni, anche in caso di vittoria, potrebbe comunque decidere di andarsene per i fatti suoi, o tornarsene in braccio a Papà Arancione. Visto che non c'è un solo Giallo importante che non abbia un passato arancione (uno veramente c'è: si chiama Rutelzxcvcvzx, conta lo 0,5, e ha cambiato più partiti che cravatte).

Dunque, io se fossi nei Marron, non avrei neanche un attimo di esitazione: Cercherei di coprirmi agli estremi, aprendo ai Viola, magari anche ai Lillà e al comico televisivo. E abbandonerei i Gialli al loro destino: molti di loro cadranno sotto lo sbarramento, ma il loro sacrificio non sarà vano: toglieranno ai candidati Arancioni quel due, quel tre per cento che serviva a farli vincere. E' chiaro che ai Gialli non piacerà il loro ruolo di vittime sacrificali, ma siccome sono mesi che litigano con gli Arancioni e li considerano i nemici del futuro e della libertà, si tratta di essere coerenti e di affrontare serenamente il giudizio degli italiani, pardon, il giudizio degli abitanti del pianeta XYZ. Quindi su, ragazzi, che chi muor per la Patria vissuto è assai. Al limite vi faremo un monumento. E verremo a dar le briciole ai piccioni.

Tutti d'accordo, insomma? No. So che è incredibile, ma c'è tra le fila dei Marroni un fine politologo che insiste per un'alleanza Bordeaux-Marron-Gialla. Si chiama Mario Rossi, e io non ho motivi per dubitare delle sue competenze (in realtà non lo conosco molto) ma veramente non riesco a capire il suo ragionamento. Davvero crede che i Marron riusciranno a prendere qualche voto in più alleandosi con quelle facce gialle che per anni i loro elettori hanno visto sui manifesti  nemici? Ma se anche vincessero, quanto a lungo durerebbe l'arcobaleno giallo-bordeaux-marron? Sono domande a cui Mario Rossi non risponde. Certo, ha l'aria di saperla lunga, e voglio pensare che i rudi calcoli che qui ho fatto io li abbia fatti anche lui. E quindi? Niente, a questo punto non mi resta che fidarmi di Mario Rossi. In fondo sono appena arrivato sul pianeta Xyz, devo ancora imparare tante cose; mentre lui ha l'aria di uno che la sa lunga. E poi chissà quante elezioni ha già vinto.
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Uno cento mille Cossiga

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Update: questo pezzo è stato originariamente pubblicato con le immagini prese da questo post di Mazzetta che mostravano un manifestante curiosamente equipaggiato con armi e strumenti in dotazione alla polizia. Le immagini successivamente sono state diffuse un po' dappertutto, e il tizio è stato identificato come uno studente, per esempio sul Post e su Indymedia (Indymedia Lombardia in questo caso, Indy Roma ha altre priorità). Credo che il senso del mio pezzo non cambi di molto se le tolgo.

Comunque coraggio

Sono stanco, è stata una giornata dura. Immagino che molti abbiano riflettuto molto più di me, e fatto notare il paradosso di un voto di fiducia che ci avvicina alle elezioni. È ovvio che con una maggioranza così risicata Berlusconi non sarà in grado di governare: è altrettanto naturale che non sia nelle sue intenzioni (è discutibile che governasse prima). L'importante è restare al centro della scena e dimostrare che nessuna maggioranza è possibile: quindi nessuna riforma della legge elettorale è possibile. Così, a occhio, il vero vincitore è Bossi, che voleva le elezioni a primavera e le avrà. E le vincerà, probabilmente. Più appannata appare, per ora, la stella del suo alleato. Però da qui a primavera c'è tutto il tempo per organizzarsi e riportare a casa il risultato. Chi è scettico, pensi a quanto sembrava spacciato Berlusconi qualche settimana fa, sommerso dagli schizzi del bunga bunga. Gli si è lasciato un mese di tempo, ecco il risultato. La sua fine, quando sarà, verrà alle spalle e improvvisa: non c'è alternativa, se gli lasci un po' di tempo lui si riorganizza e ti sistema. Qualcuno da comprare lo troverà sempre.

Sono stanco, e invidio chi a sinistra già sta facendo partire il training autogeno: dai che a primavera possiamo farcela. Mi spiace molto, ma secondo me no: non abbiamo i numeri, soffriamo una legge elettorale che ci penalizza, mentre il nostro avversario controlla i media che orientano il giudizio del grosso dell'elettorato – che non si orienta ancora su facebook, e nemmeno nelle riserve indiane di Annozero o Ballarò. L'offensiva mediatica che stiamo per subire sarà la più violenta; in effetti la mia unica speranza è che fallisca per esagerazione. In fondo i registi, i Fede e i Vespa sono anziani, conoscono perfettamente il loro pubblico anziano ma potrebbero anche rimbecillirsi un po', calcare troppo la mano. Finora non è mai successo, ma chissà.

Nel frattempo Roma brucia, e per loro non c'è uno scoop migliore. Che gli utenti di Minzolini e Mimun abbiano chiaro che oltre Berlusconi c'è il caos, l'anarchia, il black block con la kappa che da anni non ha più niente a che vedere con il gruppo storico: non si tratta semplicemente di pigrizia dei cronisti, ormai dobbiamo accettare il neologismo: quando in mezzo a un corteo spuntano caschi neri e radio della polizia, ivi è il black block, e il gioioso spontaneismo di qualsiasi onda verde o arcobaleno è finito.

Non sarò il solo stanotte o domattina a citare Cossiga; fa lo stesso, non m'interessa essere originale: citiamo tutti Cossiga, all'infinito, alla noia, diventi l'ultimo Cossiga the new Pasolini; metti che qualche studente non lo abbia mai sentito e in queste stesse ore si stia convincendo che lanciar sassi a un celerino è cosa fighissima. Dunque, studenti, mentre vi esprimo la massima stima, vi scongiuro di non ascoltare i consigli di quelli della mia generazione o successive, chiunque vi rompa le palle con le masturbazioni sul sessantotto o il settantasette o il gìotto di Genova e di meditare unicamente queste frasi dell'ex Ministro degli Interni Franceso Cossiga, boia:

"Infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città...
Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì".
"l'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita"
"Io aspetterei ancora un po', e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di 'Bella ciao', devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti"..


Voi avete tutto quello che vi serve per essere più furbi di quanto lo siamo stati noi: un ampio dossier di errori da cui imparare. Permettete il riassunto: ogni vetrina rotta sono cinquanta voti in più all'animale. Se una videocamera riprende, i voti diventano mille. Chi tira al poliziotto, è un poliziotto. Se non lo è lo diventa in quel momento. Lasciate che si spacchino la testa tra loro, li pagano per questo. Voi non vi paga nessuno: state in gruppo, urlate, non cedete alle provocazioni. Le cose non cambieranno domani e nemmeno dopodomani. Nessuno vi ha mai detto che sarebbe stato facile. O ve l'hanno detto? Mentivano. Comunque coraggio.
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He's an impresario

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Alla fine, in fondo, SB vorrebbe solo che lo amassimo. L'amore ci libererebbe. E allora amiamolo, e non pensiamoci più (sull'Unità.it; si commenta qui).

Durante un bagno di folla un quarantenne con problemi psichiatrici aggredisce Silvio Berlusconi, fratturandogli due denti e il setto nasale. È successo esattamente un anno fa – il13 dicembre 2009, e anche se per tutta la settimana seguente non parlammo d'altro, oggi facciamo perfino fatica a ricordarcene. Tranne Berlusconi: difficilmente può essersi dimenticato un anniversario tanto doloroso. È vero che in quegli istanti reagì con una rapidità formidabile, uscendo una seconda volta sul predellino e mostrando una smorfia sanguinante ai fotografi. Tanta prontezza nello strumentalizzare persino il proprio sangue, trasformando il povero Tartaglia in un emblema di quell'opposizione “capace solo di odiare”, portò molti sul web ad avanzare il sospetto che l'episodio fosse stato concertato.

In realtà il dolore e lo smacco per l'aggressione furono autentici. Berlusconi – lo si legge da qualche settimana su un dispaccio filtrato su wikileaks – riteneva di essere stato in pericolo di vita, o così almeno ne parlò all'ambasciatore americano: questione di centimetri, e la famigerata statuetta avrebbe potuto ucciderlo. Nei giorni successivi cadde in uno stato di depressione – se dobbiamo credere a Gianni Letta: e perché non credergli? Anche Letta ne sta parlando coi diplomatici americani. “È un impresario teatrale”, spiega Letta; “vuole che tutti lo amino”. Come dargli torto. Davvero, forse in quelle poche parole di un suo amico sincero c'è tutto quello che ci serve sapere su di lui.

Sabato, a quasi un anno di distanza, Berlusconi si è concesso l'ennesimo predellino milanese, apparendo nei pressi di un gazebo del Pdl. Un modo rapido e informale per togliere ai manifestanti del PD l'onore della prima posizione nei titoli del telegiornale. Ma anche la rivincita su Massimo Tartaglia (assolto in estate perché dichiarato incapace di intendere e di volere) e su tutti i rappresentanti del Partito dell'Odio e dell'Invidia: compresi quelli che domani cercheranno di metterlo in minoranza alle camere. Stavolta si è dimostrato abbastanza lucido: non ha promesso ai suoi fedeli miracoli contro i rifiuti o contro il cancro. Non ha affatto nascosto che i prossimi mesi saranno difficili, qualunque sia l'esito del voto di martedì. Sempre più deluso dello scarso amore con cui gli italiani lo ricambiano, Berlusconi crede comunque di poter vincere la conta di domani; sa di poter terminare la legislatura, pur con qualche difficoltà, e di avere buone carte per rivincere le elezioni e magari succedere a Napolitano al Quirinale. Per recuperare la fiducia dei parlamentari e degli elettori non gli mancano certo le risorse e gli strumenti: quello che in questa fase sembra averlo definitivamente abbandonato è l'entusiasmo: in fondo, chi glielo fa fare?

Non è una domanda così peregrina: in fondo gran parte dei problemi strutturali che sono venuti al pettine in questo periodo in Italia hanno radici assai più profonde del berlusconismo. Criminalità organizzata, corruzione, dissesto territoriale (giusto per fare alcuni esempi) sono tutti problemi che esistevano prima di lui e, ahinoi, esisteranno anche quando ce ne saremo liberati. Non è stato lui ad aver trasformato grandi aree del meridione in discariche, anche se non sta facendo molto per risolvere il problema; non dipende certo da lui la crisi finanziaria che ha messo in crisi l'area dell'euro.

Viceversa la sua determinazione a voler restare saldamente al potere, a legare alla sua immagine il destino dell'Italia proprio nel momento in cui questo destino non appare un granché roseo, è qualcosa su cui gli storici si interrogheranno a lungo. Certo, si potrebbe rispondere che lo fa per salvare i suoi interessi, mandando a monte i processi a suo carico e gratificandosi con tante leggine ad personam o ad aziendam. È una risposta razionale, ma non del tutto soddisfacente. Se si trattasse semplicemente di affari e processi, SB avrebbe potuto cedere da tempo la prima linea a qualche fedele di partito o a un membro della famiglia. Invece è ancora lì, stanco, ma non domo, già sui blocchi di partenza per la sua sesta campagna elettorale.

Forse sbagliamo nel cercare una risposta razionale a una determinazione così ostinata. Forse alla fine ha semplicemente ragione Letta: he's an impresario, tutto questo teatrino che ci allestito intorno è solo uno strumento per farsi amare. Lo scrisse anche in un libro, prontamente stampato da Mondadori subito dopo l'aggressione dell'anno scorso: L'Amore Vince Sempre Sull'Invidia E Sull'Odio. Pensavamo fosse uno slogan come un altro, neanche dei suoi migliori (un po' troppo lezioso), e invece è un programma sincero. Berlusconi non vuole semplicemente ottenere la maggioranza più uno dei seggi. Vuole che lo amiamo, e non ci lascerà liberi finché non ci avrà convinti, tutti, che è degno del nostro amore.

A questo punto ho una proposta. Amiamolo. So che non è semplice, ma se è tutto quello che vuole, accontentiamolo. È da anni che riempiamo quotidiani, programmi televisivi, monologhi teatrali, perfino blog di messaggi di odio per lui. Se invece cominciassimo a scoprire per lui qualche statua, a intitolargli un paio di piazze in vita a Firenze o a Bologna? Ma chiediamo pure alla Rai di dedicargli una fiction (a spese nostre, s'intende) in cui sconfigge i comunisti e porta in Italia la tv a colori. Se cominciassimo ad ammettere qua e là che in fondo è un brav'uomo, un po' mascalzone, ma tanto simpatico, forse l'ostinazione che a ottant'anni lo spinge ancora sui predellini verrebbe meno. E magari le prossime elezioni non sarebbero più un referendum pro e contro di lui. Certo, il ritiro di Berlusconi dalla politica non significherebbe la fine immediata del berlusconismo: quello è un fenomeno più profondo, e c'è già un'altra generazione di videoleader che scalda i motori. Però i problemi si risolvono uno alla volta. http://leonardo.blogspot.com
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Pannella don't

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"Ma hai sentito che i radicali vogliono salvare il governo Berlusconi?"
"Ma no, ma sarà una cosa, lì, una boutade..."
"Ma che boutade, Pannella ha anche detto che è disposto a fare l'escort di Berlusconi".
"Massì, certo, Pannella, come no, come se i radicali avessero poi tutti questi voti, voglio dire, quanti radicali ci saranno in Parlamento..."
"Nove".
"Nove?"
"Eh".
"Però".
"Vero?"
"Ma... com'è andata che... voglio dire, ma non riesco neanche a ricordare se si sono presentati alle elezioni".
"Non si sono presentati".
"E allora chi li ha votati?"
"Tu".
"Ah".

Ho una teoria #50: come votare radicale senza averne voglia e pentirsene comunque, è sull'Unita.it, e si commenta qui. (O qui? Mi sa che c'è stato un casino).

In questi giorni mi è capitato di arrabbiarmi con Pannella – magari è successo anche a voi. A un certo punto è balenata la possibilità che fosse proprio lui, coi suoi uomini alla Camera, a salvare il governo Berlusconi, nel momento in cui persino la Carfagna lo abbandona. In realtà, se tutto è possibile, alcune cose restano comunque improbabili, e tra queste l'eventualità che Pannella il 14 dicembre si trasformi in una “escort di Berlusconi”, come ha detto a Luca Telese. Non credo che a Berlusconi un'escort del genere interessi, anche solo per quel che ha da offrire: sei "assenze tattiche" alla Camera, o addirittura sei voti (e tre al Senato), briciole che comunque non lo porterebbero molto lontano. Credo che lo stesso Pannella se ne renda conto, e che un'uscita del genere vada derubricata tra le normali richieste d'attenzione: ehi, ricordatevi di noi, siamo i radicali (il “più antico partito nato in Italia”, ormai è una gara di resistenza) e se a sinistra snobbano le nostre battaglie possiamo anche andare da un'altra parte. Pannella queste scene le fa, le ha sempre fatte. E allora perché questa volta mi ha fatto arrabbiare?

Il fatto è che stavolta i radicali li ho votati io. Benché sulla scheda elettorale del 2008 i Radicali Italiani non ci fossero. C'era però il Partito Democratico di Veltroni, e io, respirando forte, l'ho votato. Nelle liste di questo partito, in collegi abbastanza 'sicuri', c'erano anche i nove radicali che il 14 dicembre, secondo Pannella, potrebbero prolungare la sopravvivenza del governo Berlusconi (ma non sarebbe accanimento terapeutico?) Quei signori insomma li ho votati anch'io. Non avrei voluto, ma è successo. Non è che non apprezzi la loro storia e tante loro battaglie ma, come tanti elettori democratici, non condivido molte loro idee in economia, dissento spesso sulla loro strategia (i referendum suicidi) e, soprattutto non li considero molto affidabili. Per esempio nel 2008 pensavo che, anche nel caso di una vittoria del PD, i radicali in Parlamento avrebbero continuato a fare parte a sé, condizionando l'eventuale governo Veltroni esattamente come i partitini dell'Ulivo avevano condizionato il governo Prodi. Mi sbagliavo? Non lo sapremo mai. 

In realtà, più che Pannella, già allora me la prendevo con Veltroni. Aveva deciso di rinunciare all'ammucchiata dell'Ulivo, anche a costo di una sconfitta: quello che la sinistra avrebbe perso in percentuale, l'avrebbe almeno guadagnato in compattezza. Anche questa mi sembrava una strategia suicida, però potevo capirla. Nei fatti però il PD di Veltroni non sembrava poi molto più compatto dell'Ulivo. Certo, si rinunciava a Mastella, ma i teodem di Rutelli e Binetti sembravano perfino più a destra. Con Di Pietro fu addirittura stipulato un patto di coalizione, che non sopravvisse alle elezioni; e ai Radicali furono promessi nove seggi sicuri, e un cospicuo rimborso per le spese elettorali. Al punto che qualche militante radicale si chiedeva, provocatoriamente, che senso avesse votare PD: tanto i radicali i loro posti blindati li avevano; che ci pensasse il povero elettore democratico a mandarli in Parlamento. A proposito, perché proprio nove? Probabilmente fu rivisto all'eccesso il risultato delle elezioni precedenti (2006), quando guidati da Capezzone i Radicali (apparentati coi socialisti di Boselli) avevano ottenuto sette seggi. In tre anni però un partito può guadagnare o perdere consensi: sarebbe per questo, in effetti, che si fanno le elezioni. Un sondaggio fatto a pochi mesi dalle elezioni dava i Radicali de-Capezzonati allo 0,5%. I nove seggi dei radicali sono l'espressione della volontà popolare o la conseguenza di un accordo elettorale concluso tre anni fa in un loft?

Ma questo non vale certo solo per i Radicali. Vale per tutti. Se me la prendo con Pannella, che dà ad intendere di poter manovrare da Torre Argentina una delegazione di parlamentari eletti nelle liste del PD, cosa dovrei pensare di quegli illustri sconosciuti che in Parlamento ci sono arrivati grazie alle crocette sul simbolo “PDL - Berlusconi presidente”, e che il 14 voteranno proprio contro Berlusconi presidente? Non dovrei arrabbiarmi anche per loro? Ma quindi per me non vale più l'articolo 67 della Costituzione ("Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato")? Non sto dando ragione a Berlusconi, quando dice che questa legge elettorale ha di fatto cambiato la "costituzione materiale"?

Tagliamola corta: il problema non è più né Pannella, né Veltroni, né i transfughi del PDL. Il problema è che questa legge elettorale è la meno democratica che abbiamo avuto dal 1946 in poi. Rinunciando alle preferenze, trasformando i partiti in listoni compilati dai vertici, abbiamo perso gran parte della nostra sovranità, senza nemmeno guadagnare molto in governabilità: questa crisi senza fine è lì per dimostrarcelo. La legge va cambiata. Non importa se anche la prossima sarà imperfetta: quel che è sicuro è che questa non funziona, e che usarla per eleggere un altro Parlamento sarebbe una presa in giro. Uninominale? Proporzionale? Davvero, a questo punto non lo so. Troviamo un compromesso. Che gli elettori democratici si eleggano i candidati democratici, e gli elettori radicali si eleggano i candidati radicali: mi sembra il minimo. Persino Pannella potrebbe tornare in quel Parlamento da cui i vertici PD lo vollero escludere. Glielo auguro, in fondo rappresenta davvero una parte importante della Storia italiana. Non la parte che vorrei votare io, tutto qui. http://leonardo.blogspot.com
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I funerali della volpe

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Una volta le galline trovarono la volpe in mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. - È morta, è morta - gridarono le galline. – Facciamole il funerale.

Quest'uomo vecchio, quest'uomo stanco.
Quest'uomo che sta dall'altra parte del mondo, col prevedibile mal di testa da jet-lag, che torna in albergo e si mette a scanalare sul satellite finché non trova Annozero, e ci trova gli ex amici che parlano di lui come una cosa finita, un cadavere da spolpare con calma; e sullo sfondo, il dettaglio delle sue rughe in technicolor.
Quest'uomo solo, circondato da lacchè che non hanno nulla di buono da suggerirgli, ma gli ostruiscono la visione; quest'uomo in preda alle sue più triviali ossessioni. Quest'uomo al capolinea.
Quest'uomo.
Questo rivince le elezioni quando vuole.

Volete rifarle domani? Le rivince domani.
Volete aspettare sei mesi? Aspetta anche lui, si rilassa un po', si sfoga. E tra sei mesi le rivince.
Allora magari tra un anno? L'Italia può aspettare un anno?
Se è per questo è da quindici anni che aspetta. Quest'uomo è sempre lì, non molla.
Dite che mi sbaglio? Ma davvero, ci spero, sarei così contento di sbagliarmi. Di non aver capito niente. Lo scriverò su tutti i muri dell'internet, sono Leonardo e non capisco niente, non leggete i miei blogs e sputatemi addosso.

Dite che non mi fido degli italiani? Il solito snob che li ritiene una massa di... guardate, non lo so. Mi attengo ai fatti: gli italiani sono più o meno gli stessi e lui di solito vince; anche quando perde, perde di misura, prende fiato e poi rivince di nuovo. L'unica cosa che in politica gli riesce sono le campagne elettorali. Di sicuro i mezzi non gli mancano. Sembra un po' più stanco, ma nei manifesti non si vedrà.

Lo so che in questi giorni c'è il gioco a smarcarsi, che persino Feltri non ne può più, e anche la mascella di Belpietro è in fase calante. Poi però comincia la campagna e si scoprirà che i candidati del Pd sono tutti noti omosessuali attenzionati. È uno sporco lavoro, ma pagano bene.

Lo so che ultimamente è partito il tiro al piccione. Ma la campagna è lunga, e si vince in tv, sui giornali, mettiamoci anche youtube e facebook, giusto per stare larghi. In ogni caso, Berlusconi continua a possedere tre canali; sugli altri ha disseminato uomini di fiducia. Se pensate di batterlo senza neanche (diciamo la parola) epurare Minzolini, ecco, state commettendo il solito fatale errore di sottovalutazione. In campagna elettorale i tg servono. E non per il numero di minuti che danno a un candidato all'altro.

Abbiamo già visto cosa succede. Preparatevi a una nuova travolgente ondata di microcriminalità, tutte le sere verso le 20:00 uno tsunami di stupratori seriali, torvi muratori rumeni, svaligiatori di appartamenti di vecchiette, zingari che rubano gli organi ai bambini, pericolosissimi lavatori di parabrezza ai semafori. Sono al confine che aspettano che vinca la sinistra e apra i cancelli alle orde di Og e Magog. La prima settimana vi sembrerà strano. Dopo un mese non ne potrete più. Dopo tre mesi comincerete a pensare che sì, Berlusconi esagera, però la sinistra ha veramente qualcosa da rimproverarsi per quella legge troppo lassista, come si chiama... la Bossi-Fini, già. E la mafia? Berlusconi li aveva fatti tutti arrestare, ma adesso rialzano il capo! A Caltanissetta è andata a fuoco una tabaccheria. E i rifiuti? Berlusconi li aveva tolti da Napoli, ma sono rispuntati, è andata la Jervolino in persona a riprenderli dalle discariche per rimetterli nei vichi.

Dite che gli italiani non ci cascano più? E perché? Sul serio, cosa cambia stavolta?
Perché lo hanno già visto promettere e non mantenere? Ma non è colpa sua, lo sanno tutti che lui avrebbe cambiato l'Italia da un pezzo se non fosse stato bloccato dai suoi falsi amici, quei traditori, quinte colonne della sinistra, Casini Fini e compagnia. Stavolta c'è solo lui. Riempirà il parlamento di bambole gonfiabili e ci farà riscrivere la costituzione.

Perché non dovrebbe succedere? Vogliamo guardare realisticamente alle forze in campo? Nessuno discute l'inettitudine di Berlusconi a governare. Ma nessuno si è permesso di togliergli quella straordinaria corazzata mediatica che non ha smesso un attimo di funzionare. Se poi non volete nemmeno cambiare la legge elettorale che si è disegnato su misura... vabbe', allora ditelo, che sconfiggerlo non è nemmeno la vostra priorità.

Prendi Matteo Renzi. Voglio immaginare che abbia idee cento volte più fresche di quelle che aveva Veltroni tre anni fa. Ma la sua fretta di concludere è veltroniana al 100%. Dai che ce la facciamo, e se poi non ce la facciamo? Pazienza, probabilmente la sinistra che uscirà dalle elezioni sarà ancora minoritaria... ma un po' più simile a noi. Questa è esattamente la trappola in cui cadde Veltroni. Dopo aver fatto fuori la sinistra, sperava almeno di essersi guadagnato il ruolo di capo dell'opposizione, primo ministro ombra. Si è fatto cucinare a fuoco lento. Berlusconi è così. Ti attira con l'immagine del vecchietto ormai sfibrato, ti fa lavorare per lui, ti stanca e poi ti mangia vivo. E quindi che si fa?

Si cambiano le regole. Sul serio, bisogna essere polli per continuare a giocare contro Berlusconi con un regolamento che si è fatto scrivere lui.
Tutto qui? È sufficiente cambiare la legge elettorale? No. Anzi, è il momento di fare il passo più difficile. Berlusconi non è semplicemente inadeguato a governare. Berlusconi è una minaccia per la democrazia. Le sue tv, i suoi giornali, i suoi uomini, impediscono agli italiani di scegliere serenamente i loro rappresentanti e il loro futuro.

Ieri ad Anno Zero Bocchino si comportava in un modo strano.
Continuava a prospettare un futuro parlamento in mano a “Piersilvio e Marina”. Lo avrà ripetuto cinque o sei volte, con l'insistenza di un ipnotizzatore. Voleva raggiungerci su un piano subconscio. O più semplicemente ci sospetta tutti rintronati e vuole insistere sul concetto. Perché sembrano sempre due ragazzini, Piersilvio e Marina. Ma è un bel pezzo che il primo ha in mano almeno metà della tv italiana; l'altra, la prima casa editrice. Ora, perché due signori molto potenti e facoltosi dovrebbero gettare la spugna? Perché il papà è vecchio e stanco? Ma Mediaset non è Silvio Berlusconi. È un'azienda, e le aziende lottano per sopravvivere. Mediaset potrebbe trovare un modus vivendi con una nuova Italia deberlusconizzata? Potrebbe sopravvivere alla fine di quel regime straordinario che da Craxi in poi le ha garantito di infischiarsi di tutte le regole più elementari di un regime di concorrenza? Forse sì, ma è un rischio che la famiglia Berlusconi vuole davvero correre? Hanno in mano i comandi della corazzata: devono arrendersi senza lottare? Non è il loro stile. Se il papà è stanco, troveranno un nuovo candidato, dentro la famiglia o fuori. Il berlusconismo non finisce con Silvio Berlusconi, perché dovrebbe?

Il berlusconismo secondo me non può che finire con un atto di forza. In un momento di difficoltà, come per esempio questo, tutti gli avversari politici di SB dovranno accettare una semplice idea, che fa ancora molta fatica a passare: che Berlusconi è un criminale, che ha truffato gli italiani per vent'anni, e che i criminali non si sconfiggono alle elezioni. Non partecipano nemmeno. I criminali si arrestano, e i beni che hanno alienato alla collettività si sequestrano. In ogni caso le prigioni italiane scoppiano e nessuno ha veramente voglia di vederci entrare un vecchietto, per quanto arzillo. Che patteggi, che se ne fugga in qualche isola ai Caraibi con una parte del bottino. Questo non è difficile da concepire. Il problema è la famiglia. Può accettare che la festa è finita, o può mettere i sacchi di sabbia alle finestre. Conoscendo il padre, io mi preparo al peggio. Saranno comunque tempi interessanti.

Certe favole esistono in tutte le nazioni; certe altre soltanto in Germania, o in Russia, o nella favolosa fantasia di Andersen. Ma io ne so una che è nata in Italia, e che forse né tedeschi né russi né Andersen avrebbero potuto immaginare: la favola delle galline che trovano una volpe morta e le fanno il funerale. Nel culmine della cerimonia, circondata dall'affetto dei pietosi pennuti, la volpe si rialza e ne fa strage. La notizia fa il giro dei pollai; ma qualche tempo la stessa volpe si fa ritrovare morta, e le galline che la trovano che ne fanno? Le rifanno il funerale. E così all'infinito. Direte che chi l'ha scritta non amava gli italiani. No: voleva soltanto che leggessero, che ridessero delle galline, e che da grandi si ricordassero, al momento giusto, di essere più intelligenti. Qualsiasi momento, da quindici anni in qua, sarebbe andato bene.
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Forget Bangkok

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(Oggi avrei dovuto scrivere di tutt'altro argomento, ma non ce l'ho fatta. Ecco il solito lenzuolo di opinioni, meno originali di quelle che avete già trovato sui giornali e ovunque, che tra sei ore saranno già vecchie. Saltate pure, non mi offendo).


Chissà se poi è davvero così incazzato, stanotte, Berlusconi. Se davvero crede al copione che si è scritto, le toghe rosse, il golpe e il Presidente comunista. Chissà se tutto questo lo preoccupa un decimo di quella tegola del Lodo Mondadori, quella sì forse imprevista: 750 milioni da buttar via, perle ai porci, anzi neanche ai porci: a De Benedetti.

Se l'aspettava, una sentenza così. Forse ci sperava persino. Lo ha detto, “queste cose qua a me mi danno la carica”. Lui in fondo ha bisogno di stimoli, è un combattente nato. Ha bisogno di avversari, un attimo dopo aver vinto si annoia, e poi comincia a correr dietro alle gonnelle. Chissà che non gli raffreddi anche i bollenti spiriti, una bella campagna elettorale.

Adesso che succederà. Tutti schemi già provati e riprovati in allenamento: i processi riprenderanno, gli avvocati proveranno a tirarli in lungo. Dovrebbero farcela. Sul piano politico? Una manifestazione potrebbe anche essere controproducente perché, checchè ne pensi Bossi, il successo non è garantito. E non è nemmeno escluso che la sinistra ne realizzi una più grande – certo, loro sono un po' persi nei loro deliri democratici autoreferenziali, però questa è la classica situazione che potrebbe dargli la scossa, riunirli di fronte al nemico. No, se fossi in lui (ma lui è un po' più furbo di me) la piazza la minaccerei, ma senza arrivare al punto di convocarla realmente. Sono da escludere scenari da Caimano: il culto della personalità di Silvio esiste, ma si esaurisce in qualche forum affettuoso e qualche simpatica canzone – per vedere le prime molotov contro i tribunali bisognerà aspettare almeno una generazione. Anche i leghisti: dobbiamo averne paura? Sul piano culturale, sì, io ho molta paura del non-pensiero leghista; ma sul piano fisico, mah: hanno già il loro da fare a mettere in pratica una legge sulle ronde (firmata da un loro ministro) che di fatto ha disarmato le ronde che c'erano già: gente che non riesce a organizzare una caccia allo zingaro come si deve, non li vedo così pronti a metter su una marcia su Roma. Non sono cose che s'improvvisano, anche le camicie nere ci arrivarono dopo qualche annetto di squadrismo accelerato.

La cosa più logica, insomma, è insistere sulle cariche istituzionali (Napolitano e Fini, quell'altro non è dotato di un midollo spinale proprio) finché non sciolgano le camere: e si rivota. Non svelo nessun arcano retroscena: è una cosa che B. e i suoi ripetono da mesi: se rompete troppo le scatole torniamo alle elezioni, così vedrete chi è che vogliono gli italiani. E sotto sotto sono loro i primi a sperarci. Più che un calcolo spregiudicato, si tratta di un riflesso condizionato: a qualsiasi stimolo, B. risponde con una campagna elettorale. Dal '94. Prima rispondeva con una campagna pubblicitaria. Lui in fondo quello sa fare: pubblicità. È una gara, e le gare lo caricano. Che si vinca, o si perda, alla fine, non cambia molto.

Dovrebbe vincere. Negli ultimi anni ha progressivamente eliminato tutti i margini di fair play che regalmente si concedeva: i vari Mentana e Costanzo. Lo stesso tg1 è diventato cosa sua, senza più pudori. Poi naturalmente c'è anche una vita fuori dalla televisione, ma il 60% degli italiani forma i suoi giudizi sull'attualità in base ai tg: e vedendo certi spot su facebook mi vien da dire meno male. La chiesa? È un gigante coi piedi d'argilla, che per mantenere la sua fama d'imbattibilità deve restare coi vincenti. Se ho capito bene, la notizia della sentenza B. l'ha ricevuta mentre era a una mostra con monsignor Bertone. Mi sembra un segnale abbastanza forte e chiaro, e i lamenti sommessi di qualche vescovo resteranno lamenti sommessi.

Dovrebbe vincere. Ma potrebbe persino perdere – ultimamente, sapete, c'è quella tendenza per cui se speri forte forte una cosa si avvera, e allora perché no? Dai, speriamo forte forte che le cose cambino (ma guai a chiamarla preghiera, è una cosa laica e anche un po' atea razionalista). Un Pd improvvisamente vincente, guidato da un segretario eletto a furor di popolo tra quindici giorni? Beh, in effetti se le primarie dovessero essere un successo, la figura di un nuovo leader carismatico acclamato a furor di popolo relegherebbe per un attimo sullo sfondo l'autocrate rancoroso e puttaniere. Sarebbe un momento davvero esaltante, ma chissà come filtrerebbe dalle lenti televisive berlusconiane. Anche qui, il passaggio logico più probabile è che il nuovo leader democratico (Bersani al 70%) si lasci coinvolgere in un'alleanza antiberlusconiana anche più eterogenea di quelle che abbiamo visto fin qui: dentro tutti, da Fini a Casini a Vendola. Sì, è una cosa che fa schifo, ma la via della solitudine l'ha già tentata Veltroni e non è che gli sia andata molto bene.
Quest'accozzaglia – nominalmente un po' più compatta del vecchio Ulivo perché i partiti nel frattempo si sono un po' ridotti e rassodati, ma ideologicamente informe – potrebbe anche, chi lo sa, pareggiare le elezioni come Prodi nel '6. Ma mettiamo che, per uno dei soliti effetti random della legge Calderoli, arrivi a vincerle: e allora? Per Berlusconi è persino meglio. Preso atto che nemmeno Palazzo Chigi lo mette al riparo dai processi, tanto vale starsene nel suo palazzo privato e da lì organizzare la campagna elettorale permanente. E ai conti pubblici ci pensi il centrosinistra, che ha questo vizio di voler risanare e alla fine si scava la fossa da solo. Cosa ha realmente da perdere SB? Il Quirinale, sì, ma a quello dovrebbe già aver smesso di pensare da un po', almeno da quando sono saltati fuori i nastri della D'Addario. E poi sul Colle si annoierebbe a morte, se è ancora un po' sincero con sé stesso lo sa benissimo.

Abbiamo già vissuto lunghi periodi di interregno tra un governo Berlusconi e l'altro: sappiamo più o meno cosa succede: a un relativo ridimensionamento dei poteri della sua holding economico-politica coincide un ulteriore radicamento nelle coscienze degli italiani. Basta ergersi a profeta di un nuovo miracolo italiano, abolitore di questa o quella tassa, flagello dei comunisti. Ogni volta che perde un po' di potere, Berl. conquista un po' più di anime. Nel frattempo si libera anche degli alleati che potrebbero vagamente oscurarlo: via Casini, e stavolta magari via Fini. Sì, ma così resterà senza eredi.

Fino alla fine, che comunque va preventivata in un momento qualsiasi da qui a quindici anni. C'è chi è convinto che quella sarà la fine del problema B: dopo avremo altri problemi, ma questo almeno lo avrà risolto, per noi, la Grande Risolutrice. C'è chi pensa che il berlusconismo sia un ammasso eterogeneo di interessi contrastanti che solo il geniale piazzista riesce a tenere assieme: fuori lui, fine del berlusconismo. Magari in passato ho pensato anch'io così.

Ho cambiato idea. Può darsi che fosse davvero eterogeneo, l'ammasso d'interessi nordisti, mafiosi, massoni e clericali che lo ha portato sull'altare: però col tempo l'impasto è lievitato. È vero, l'unica cosa che li tiene insieme è la figura di Silvio C'è. Ma questo significa semplicemente che morto un Silvio dovranno cercarsene subito un altro. Magari in famiglia, perché no? Le chiavi delle tv ce le hanno loro, e questo ancora per molti anni farà la differenza.

Mi sbaglio? C'è qualche possibilità per chi si ostina a credere in un'Italia un po' migliore dei suoi italiani, uno spiraglio che non vedo? Sì, probabilmente c'è, almeno ci spero. Mi vedo però sospeso sullo stesso abisso del '94: sospinto dall'illusione che un blocco di potere costruito in anni di prevaricazioni e controllo del consenso si possa sfaldare semplicemente con le sentenze della giustizia ordinaria. Non è così che funziona.

Fossimo un Paese del sud del mondo, la situazione ci avrebbe già portato a un golpe da un pezzo. Vedi Thailandia, militari contro un tycoon televisivo. Chissà poi da quale parte io e voi decideremmo di stare. Ma siamo in Europa, non si può. Sto quasi per scrivere purtroppo – l'ho scritto, ecco.
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Tra un Berlusconi e l'altro

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Colpetto di Stato

Io ci andrei piano a considerare l'uscita di Brunetta come l'esternazione di un nano frustrato; il berlusconismo - ormai dovremmo saperlo - trionfa proprio quando si lascia sottovalutare. Brunetta non sarà un genio, ma quando parla di golpe sta lanciando un messaggio mirato ed efficace.

La parola “golpe” non dovrebbe suonare così esagerata a chi rammenti che giovedì mattina – prima che la battaglia di Kabul prendesse il sopravvento – l'homepage di Repubblica era dominata da questo fondo, L'alleanza trasversale che lavora al dopo-Silvio. Massimo Giannini vi annunciava la possibile nascita di un “governo di salvezza nazionale” a cui starebbero lavorando “parecchi, nell'ombra e a cielo aperto”, arrivando a ventilare un possibile ruolo attivo nel 'complotto' da parte di Tremonti, nientemeno! e concludendo così: “Sembra fantapolitica. Forse lo è”. Ah, però.

Fantapolitica o no, non credo ci sia bisogno di un medium per captare i pensieri e i sentimenti di Berlusconi nei confronti di un progetto del genere. Dal suo punto di vista si tratterebbe di qualcosa di ben più grave del ribaltone di Dini alla fine del '94: di un golpe. Puro e semplice.

Un golpe di fatto, così come di fatto la nostra ormai è una repubblica presidenziale: Berlusconi si considera legittimato dal voto degli italiani, che sulle schede hanno messo la croce su “Pdl Berlusconi Presidente”. Non hanno espresso preferenze, non hanno votato per questo o quel parlamentare più o meno vicino a Fini o a lui. Hanno votato per lui, mettendo il segno sulla lista di candidati che ha fatto comporre a sua immagine e somiglianza. Ora l'idea che il voto di venti o trenta di questi tizi, che a lui devono tutto, possa metterlo in minoranza, deve risultargli intollerabile. Ancorché costituzionalmente ammissibile.

Lui del resto ha già spiegato chiaramente cosa farebbe in una situazione del genere: sciogliere le camere e rimandarci alle urne. Se solo potesse farlo: ma compete a Napolitano. Cominciare a parlare di golpe a gran voce ha un senso preciso: il corpo elettorale berlusconiano, magari un po' distratto dall'influenza o dall'Afganistan, deve sapere che c'è chi trama per tradire il Capo che hanno regolarmente eletto. Brunetta ha rispolverato la parola, golpe: nei prossimi giorni la useranno un po' tutti. Si tratta di attivare una pressione mediatica su Napolitano affinché faccia la cosa giusta: indire nuove elezioni appena Berlusconi si dimettesse. In alternativa, avremmo cinque canali tv e venticinque portavoce pronti a gridare al golpe e ad accusare il Presidente della Repubblica di essere colluso coi golpisti – in fondo è già successo con Scalfaro, con toni magari un po' più morbidi, ma invecchiando è normale incattivirsi.

La “fantapolitica” di Giannini non risponde alla domanda fondamentale: a chi giova? A chi converrebbe montare un governo di solidarietà nazionale, di fatto una specie di CLN anti-berlusconi, per finire la legislatura? Fini, Casini, D'Alema, hanno veramente tutta questa voglia di sostituire Berlusconi proprio nel momento in cui si scoprirà che alla fine della crisi mondiale l'Italia resta al palo? È la sindrome di Prodi, il bisogno disperato che sentiamo di subentrare a B. anche solo per un misero biennio, il tempo sufficiente per salvare la nazione, rimettere in ordine i conti e fargli vincere di nuovo le elezioni? Nel frattempo B. riprenderebbe tutto lo smalto che si è appannato a Palazzo Chigi. Le orge tra Palazzo Grazioli e Villa Certosa passerebbero finalmente in secondo piano, mentre le sue redazioni tuonerebbero contro i golpisti un giorno sì e l'altro pure, tenendo altissimo il livello dello scontro. Contro Fini, o l'anti-B. di turno, verrebbero scoperchiati i dossier più fantasiosi, Mitrokhin e Telekom docent. Se davvero Napolitano osasse resistere fino al termine naturale della legislatura, l'esilio di B. da Palazzo Chigi non durerebbe comunque più di tre anni. E allora a chi conviene buttarlo giù oggi, quando controlla più della metà del cielo degli italiani? A lui. Soprattutto a lui.

Magari Berlusconi ha già in agenda il giorno delle dimissioni. La sentenza sul Lodo Alfano potrebbe essere il pretesto giusto. L'Avvocatura di Stato ha già messo le mani avanti.

E' anche una sorta di riflesso condizionato: messo in difficoltà, Berlusconi reagisce trasferendosi nel campo che conosce meglio, quello della campagna elettorale. Governare lo annoia, ma le campagne lo esaltano e ormai è sicuro di saperle vincere. Lo precede Bossi, che ha già ricominciato a parlare elettorale in estate, con le bordate identitarie su dialetti e bandiere, fino alla riscoperta di un vecchio evergreen: la secessione.

***

Ma nel caso che Berlusconi cadesse, non dovremmo essere contenti? Il punto è il come. Credo che qui ci sia un equivoco tra Berlusconi, persona fisica, e il berlusconismo, sistema di potere. Alcuni, a mio parere erroneamente, pensano che il secondo sia interamente fondato sul primo, e quindi, per così dire, a scadenza. B. può infuriare finché vuole, ma quanto gli resta ancora? Cinque anni? Dopo crollerà tutto come un castello di carte, alla mercé di chi è riuscito a sopravvivere nei pressi del castello senza farsi troppo male (i soliti: Fini e Casini). In realtà non è così. I sistemi di potere tendono a sopravvivere a chi li ha messi in piedi. Il collante non è il supposto carisma dell'Uomo, ma una ragnatela di interessi: per essere chiari, finché la Mediaset mantiene la sua concentrazione mediatica, non c'è motivo per cui non debba preservare un apparato politico in Parlamento e al governo. Ne va della sua sopravvivenza. Berlusconi tra l'altro ha molti eredi, tutti giovani e bravi: nessuno di loro credo abbia mai accennato a voler fare politica, ma neanche il padre, se per questo, fino al '93. All'occorrenza però la Mediaset sa che può cucire un partito di maggioranza addosso a qualsiasi candidato: perché non dovrebbe farlo?

Ora io vorrei tanto poter fare a meno di Berlusconi anche da stasera: ma scalzarlo dal potere lasciandogli in mano il sistema berlusconismo sarebbe un errore fatale. Lo stesso, peraltro, che abbiamo già fatto nel '94 e nel 2006. Se gli lasci le corazzate, lui combatterà. Lo ha sempre fatto, e che altro dovrebbe fare? E quando ci avrà lasciato combatteranno i suoi, che gli devono tutto.

E allora? E allora mi sono fatto questa idea, che senz'altro troverete reazionaria. Io credo che la fine di Berlusconi non possa essere pacifica. Bisogna accettare l'idea che il berlusconismo è stato un sistema criminale, che si è nutrito dello Stato per fare i propri interessi a scapito di quelli dei cittadini, e che come tale va smontato con la forza. Altrimenti continuerà a colpire, con Berlusconi o con chiunque gli succederà.
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Gelateria bipolare

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L'eurosagra del Partitino

(In tv, tripudi di analisi sulle elezioni. Scendo in strada: una famiglia di cinesi, due pachi, un magrebino. Qual è il Paese reale, quello in cui vivo io? Gran parte di chi passeggia qua fuori non ha votato. Buona parte non risulta nemmeno nelle statistiche sull'astensione. Ma vi sembra normale che essere italiani sia una caratteristica innata, come essere anemici, o Scorpione? A me no, e forse questo dovrebbe chiudere il discorso. Voto agli immigrati, subito. E non m'interessa se voteranno a destra. A questo punto forse preferirei una Lega Nord con candidati nordafricani a un Pd ariano).

C'è una gelateria di provincia che ha un problema di gestione: non riesce letteralmente a fornire un servizio (=gelato) decente ai suoi clienti. La nocciola è troppo dura, non si spalma sul cono. La fragola per contro si squaglia immediatamente sulle scarpette delle bambine che piangono. Chi chiede il pistacchio rischia l'intossicazione. I guadagni al netto delle spese sono scarsi.
Il gelataio si pone interrogativi seri sulla sua vocazione, finché una sera, durante una vacanza all'estero, ha un'intuizione: bisogna ridurre i gusti, come in Inghilterra. “Ma certo, come ho fatto a non pensarciprima. Il problema non ero io, ma il mio retaggio culturale che mi obbligava a tenere dieci vaschette per soddisfare i variegati gusti di un pubblico che poi, se vai bene a vedere, alla fine non sa cosa vuole e sceglie sempre cioccolato o limone. Col risultato che, appunto, la temperatura di congelamento della nocciola non andava bene per la fragola, e il pistacchio andava a male perché era un gusto di nicchia e restava nella vaschetta per mesi”.
Una volta tornato a casa, si affretta a lanciare la sua nuova gelateria bipolare: al posto di tutte le vaschette colorate, due vasche enormi: limone e cacao. Sulle prime la gente mugugna: non siamo mica in Inghilterra qui, se vogliamo nocciola non ci puoi dire che tanto il cacao è la stessa cosa. Alla fine però quasi tutti si adeguano, anche perché alternativa non ce n'è.
A dire il vero una c'è: la grande fiera europea, un carrozzone che passa ogni cinque anni, e comprende una gelateria itinerante a 12 gusti. Ora, nel paesino è vero che sono di poche pretese, ma quella volta che passa il carrozzone è normale che si sbizzariscano: come puoi biasimarli? Anche i patiti del cioccolato, li vedi passeggiare con certi mostri, mango+stracciatella con spruzzatina di curry. Poi la fiera se ne riparte, e riapre la gelateria bipolare, col suo limone e il suo cacao.

V'è piaciuta la parabola? Altre da servirvi oggi non ne ho, mi dispiace. Mi sto specializzando in storielle cretine? È possibile; voi da parte vostra non cedete all'ovvio di chi scopre in queste ore che gli italiani non sono bipolari, pensate un po', perché alle europee votano per i partitini. Non è niente di nuovo, davvero: le europee servono a questo. Sono la nostra riserva di proporzionalità, la sagra del partitino che ogni cinque anni per un pomeriggio ci fa sentire speciali. Ma passa subito, e il giorno dopo torniamo bipolari: berlusconiani o anti, comunisti o anti, antianti o anti.

Il punto è che gli italiani non sono necessariamente bipolari o frazionati: sono un insieme enorme di persone che reagiscono a domande. Se le domande pongono un'alternativa secca (“Amate il Berlusconi Way of Life o no?” “Più Stato o più individuo?” “Ragione o religione?”) si polarizzeranno; se la domanda è vaga “Chi sei tu?”; “Che futuro vorresti per i tuoi figli?” si disperderanno in una pletora di risposte vaghe. Le Elezioni Europee sono una domanda vaga. Ecco forse spiegato il paradosso delle elezioni supernazionali che in assoluto diventano le più locali: quelle dove possiamo toglierci lo sfizio di votare chi ci assomiglia di più. E questo magari potrebbe anche servire da risposta a chi si lamenta, puntualmente “che non si parla mai dell'Europa”: di che Europa dovremmo parlare? A dire il vero un'idea di Europa ce l'abbiamo tutti, ed è meno nebulosa di quanto si creda: per i leghisti è quella cosa in cui i turchi non devono entrare; per Di Pietro è una serie di leggi a cui anche gli intrallazzoni italiani devono sottostare. Tutto qui, ma c'è veramente molto da aggiungere?

Aspettate, mi è venuta un'altra metafora, magari è quella buona: se le elezioni legislative sono il momento di massima polarizzazione, quello in cui tutto il nostro coefficiente di sovranità si concentra in due schieramenti, le europee sono al punto opposto del ciclo: nel momento in cui sentiamo meno la necessità di compattezza e ci liberiamo alle nostre esigenze identitarie, estetiche, culturali, ecceccecc. Da questo punto di vista non ha nemmeno tantissima importanza dove rifluisce il nostro voto tra una legislativa all'altra: ai leghisti di lotta e di governo o a Casini, o a nessuno; non importa: tra quattro anni tornerà da Papi – se Papi tiene. Variabile indipendente.

Stesso discorso a sinistra: se persino i più onesti tra gli uomini del Pd non stanno stracciandosi le vesti per quel vergognoso 26% è perché sanno che il risultato è più che sufficiente a tenere la posizione di maggior partito di centrosinistra intorno al quale, nel momento di massima contrazione (tra quattro anni, o anche prima) si coalizzeranno volenti e nolenti i radicali, i dipietristi, i vendoliani, i non votanti, tutti quelli che non si rassegnano a mandar già l'amaro cacao governativo. Andrà così? Andrà così.

Sarà necessariamente una nuova battaglia pro o contro Berlusconi? Non è detto: B potrebbe anche non esserci più. Oppure da qualche parte potrebbe saltare fuori un leader, un obama capace di sintetizzare la linea di un centrosinistra italiano che a ben vedere non ha più contraddizioni di quello inglese o tedesco (ha semplicemente una storia più complessa di faide interne). Anzi, in linea teorica non sarebbe nemmeno necessario un grande leader: potrebbe esserci una svolta generazionale, una presa di coscienza collettiva... sì, sarebbe fenomenale, ma si fa molta meno fatica a puntare tutto su un leader. La Serracchiani? Perché no. Io non vado matto per il concetto di leadership, e il culto della personalità non mi è mai riuscito bene, ma l'esempio americano mi sembra l'unico che abbia funzionato negli ultimi anni, mi piaccia o no. Farò il possibile per farmelo piacere – ma ogni cinque anni fatemi prendere un cono meringa-papaya. Uno solo. Poi dicono che non serve, l'Europa.
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¡Ariba el Psoe!

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La preferenza è un voto in più
Mi è capitato molte volte in questi anni – più o meno una volta l'anno – di scrivere inviti accorati e un po' molesti agli astensionisti di sinistra, affinché compiessero il sacro dovere di mettere una crocetta contro Berlusconi e tutto quel che rappresenta.
Poi, quando arrivava il giorno, andavo anch'io a mettere una crocetta. Quasi mai ho aggiunto una preferenza, ed è tempo che me ne vergogni pubblicamente. Le preferenze sono come l'ossigeno: ci fai caso soltanto quando comincia a mancare. Le ritenevamo pleonastiche, quando non causa di derive clientelari: poi, quando ce le hanno tolte (con la scusa che ormai non le usava più nessuno) ci siamo accorti che era finita la democrazia. E questo è successo proprio grazie ai quasi-astensionisti come me – quelli che credevano che il voto consistesse in una crocetta e ci pontificavano anche su. Chiederei scusa, se servisse a qualcosa. Ma l'unica cosa concreta che posso fare è usare le preferenze domani: forse è l'ultima occasione che ho.
Le preferenze rendono il voto aritmeticamente più pesante: scrivere tre nomi significa votare per tre persone. Aver rinunciato alla possibilità di pesare di più, per tutti questi anni, è stato sorprendentemente stupido da parte mia. E voi magari venivate qui a farvi un'idea. Andate via.

A 24 ore dalla chiusura dei seggi
Siete ancora qui? Per quel che può interessarvi, sto oscillando (non da ieri) tra Pd e Sinistra e Libertà. In principio queste mi sembravano le elezioni giuste per punire il Pd, che fino all'acclamazione di Franceschini le ha sbagliate tutte (acclamazione inclusa). Poi è successo qualcosa, ma non sono del tutto sicuro che sia qualcosa di serio. È successo che Franceschini mi ha sedotto. Ovvero: potrei scrivere un lenzuolo di argomentazioni oggettive per cui oggi trovo che F. sia un leader credibile, ma sotto il lenzuolo ci sta una seduzione mediatica del tutto simile a quella che colpisce gli zombie berlusconiani. Loro inseguono lo spettro del Papi col Jet privato di Stato che li metta in lista alle Feste Giuste; io invece inseguo lo spettro dell'Onesto Padre di Mezza Età che porta in missione la delegazione parrocchiale e sul pullman siede sul sedile di fianco al conducente per controllare che non si allarghi troppo in curva. Posso farla anche più semplice di così: ha un accento emiliano. E io di fronte ai democratici emiliani mi sciolgo, s'è già visto con Prodi e con Bersani, non c'è oggettività o razionalità che tenga. Lasciatemi perdere.

D'altro canto, votare Sinistra e Libertà ha i suoi pro e i suoi contro:

Perché sì

Perché no

Per protesta nei confronti del Pd, che (fascinazione franceschiniana a parte) se lo merita tuttora: per essere stato, sin dal principio, poco Partito e poco Democratico.

Significa prendere parte a una lotta patetico-tribale tra ex e post comunisti. Preferirei di no; anche se credo che l'ultimo congresso di Rifondazione, con Vendola accerchiato dalle mozioni di minoranza, sia stato una porcheria. Certo, sarebbe terribilmente triste se l'unico eurodeputato italiano a sinistra del Pd fosse diliberto-ferreriano.

Per stima nei confronti di un leader: Vendola mi sembra uno dei personaggi più promettenti all'orizzonte (e non ha nemmeno l'accento emiliano).

Votare S&L significa votare socialista. Ahimè, sì, c'è ancora il garofano nello stemma di S&L: è piccolo piccolo ma c'è. Guardiamo al lato positivo: Boselli almeno se n'è andato, o meglio si è rassegnato a non esserci mai stato.

Per un'esigenza di riequilibrio a sinistra, sacrosanta dopo la catastrofe dell'anno scorso. E tuttavia non penso che S&L possa arrivare alla soglia del 4% sotto la quale il mio sarebbe un voto sprecato. Ci sto ancora pensando: votare S&L è una scommessa, e le scommesse si fanno d'istinto.


Alla fine forse la possibilità di accedere on line alle informazioni sui candidati di S&L sarà decisiva; mentre il Pd ha buttato via fior d'euro per un sito disastroso. Non per fare il technosnob, ma affideresti tua figlia a gente che paga quei soldi per un sito così? E l'europarlamento glielo affideresti?

A proposito dell'europarlamento: è maledettamente importante. Le normative UE ce le troviamo intorno tutti i giorni. Detto questo, non capisco perché siamo costretti a votare candidati italiani. Ovvero: capisco perché gli inglesi preferiscano eleggere candidati inglesi, e i polacchi dei polacchi, ma se io italiano volessi votare PSOE? Se ritenessi che un candidato andaluso del PSOE rappresenterà i miei interessi meglio di un candidato del PD, perché non dovrei scegliere lui? Sul serio, perché no? Volevo anche scriverci un pezzo su, poi mi hanno ricoverato. Adesso sto meglio, grazie.
Scherzi a parte, l'unico modo per focalizzare seriamente le euroelezioni su Bruxelles è piantarla lì con le liste italiane. Dovremmo avere sulla scheda PPE, PSE, Europa delle Nazioni, eccetera. Certo, occorrerebbe una rivoluzione copernicana, che per adesso all'orizzonte non c'è, ma ehi, siamo nel 2009, tre giorni fa hanno NAZIONALIZZATO LA GENERAL MOTORS, e c'è un presidente USA nero che tiene lezioni di teologia islamica al Cairo. A questo punto le prossime elezioni italiane potrebbe anche vincerle il PSOE.
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Crepuscolo dei giornalisti

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Mai devi domandarmi

A questo punto il caso Berlusconi potrebbe passare in secondo piano, oscurato dal caso De Bortoli. Spiego.

De Bortoli è già stato direttore del Corriere della Sera tra il 1997 e il 2003: fu lui a traghettare il quotidiano dal porto nebbioso e rassicurante del mielismo agli approdi drammatici e beceri del nuovo Millennio, lanciando per esempio l'anziana Fallaci in chiave jihadista anti-islamica. A Berlusconi la sua direzione, non troppo allineata al suo Secondo Governo, non garbava, e secondo i meglio informati fu lui a premere affinché fosse sostituito.
La Storia si ripete: pochi mesi fa Berlusconi III aveva mostrato analoghi segnali d'insofferenza nei confronti del nuovo-vecchio direttore del Corriere (l'eterno Mieli); e anche stavolta il direttore è cambiato: fuori Mieli, dentro De Bortoli 2. Ma avrà capito la lezione? Saprà essere berlusconiano con garbo, o insisterà nel mostrare indipendenza di giudizio? Lo si aspetta un po' al varco, insomma.

Il 29 aprile Repubblica e Stampa escono con la feroce lettera di Veronica Lario. Il Corriere buca in modo abbastanza clamoroso (Update: mi fanno giustamente notare che ho fatto confusione: il buco c'è stato con l'annuncio del divorzio, comunicato a Rep. e Stampa ma non al Corriere), ma recupera successivamente con la replica di Berlusconi. Le squadre sono fatte: Repubblica tresca con la moglie, il Corsera consola il marito, la Stampa campo neutro. A questo punto però De Bortoli dovrebbe avvertire la necessità di smarcarsi un po': ché di giornalisti a libro paga Berl. ne avrebbe già abbastanza.

L'occasione arriva martedì sera, quando Berlusconi scende a Porta a Porta per spiegare come stanno le cose. De Bortoli è in collegamento. È chiaro a tutti che qui si gioca la faccia: è il solo ad essere nella posizione di poter mettere Berlusconi alle corde, e se non lo fa rischia di non scrollarsi più di dosso l'etichetta di nuovo altoparlante di Arcore. A questo doveva pensare ieri dietro le quinte, mentre registravano la prima parte: quella con Vespa che presenta e Berlusconi che spiega tutto lui. Finché, dopo quasi mezz'ora, tà tan tà taaan! Ecco il collegamento. Col Giornalista. Quello che farà il Contraddittorio. E siamo tutti con lui: vai, Ferruccio, mostra agli italiani che chi scrive i giornali ha ancora indipendenza di giudizio.

(Dal 2':26''):
DE B: Buonasera presidente. 
BERL: Buonasera direttore, scusi, volevo dirlo pubblicamente: ho telefonato al direttore del Corriere della Sera per ringraziarlo di come il suo giornale aveva trattato la vicenda: con grandissimo equilibrio, con grandissima eleganza, e mi sono sentito in dovere di chiamare il direttore per ringraziarlo di questo fatto: e lo dico pubblicamente molto volentieri.
VESPA: Ferruccio De Bortoli è un gentiluomo, lo sappiamo da tempo.

Come potete vedere, Berlusconi parte in attacco con la Mossa dell'Orso: ti abbraccio per schiacciarti. Lo dico pubblicamente, ti ho ringraziato per come mi hai trattato bene e voglio che tutti lo sappiano (e Vespa lo sa da tempo). De Bortoli non ha ancora finito di salutare e si trova già alle corde. Se non dice subito qualcosa di profondamente indipendente, è finito. E lo sa.

DE B: Guardi, io la ringrazio, presidente, però le devo dire che se sua moglie avesse mandato la lettera al Corriere della Sera anziché a Repubblica, io l'avrei pubblicata con tutta evidenza.
BERL: E forse non era lei che l'aveva provocata, direttore.
DE B: No, beh, devo dire...
BERL: Il destinatario non era casuale.
DE B: Beh, insomma...
BERL: Quindi non ci sarebbe stata nessuna lettera.

A questo punto a De Bortoli manca la parola. Senza neppure aver cominciato a far domande, l'interrogatorio è chiuso. Vespa parte con una manovra diversiva sollevando un velato riferimento a un “intellettuale di sinistra” che Berlusconi stoppa sdegnoso.

BERL: Io voglio restare sul fatto: si sono costruite artatamente due verità (bla bla bla, tanto chi mi ferma più, De Bortoli? L'ho messo al tappeto subito De Bortoli, guardatelo: adesso Vespa gli ridà la parola e io lo rizittisco immediatamente, quanto ci scommettete?)
VESPA: Prego, Ferruccio.
DE B: Guardi, io la ringrazio Presidente ma... mi dispiace contraddirla, nel senso che... io non credo che ci sia stato un complotto mediatico, perché quello che è stato...
BERL: Io non ho mai parlato di un complotto, Direttore. Mai.
DE B: ...allora non c'è stata nessuna trappola mediatica... perché comunque insomma... poi ci sono state delle interpretazioni... degli eccessi... e lei fa bene, Presidente, a difendersi e a dare tutti i chiaramenti opportuni...

Da qui in poi lo faranno parlare senza interromperlo, ma è dimesso, stanco: guarda in basso come il predatore sconfitto nel duello contro il maschio-alfa, si lamenta querulo che la vita privata non andrebbe mescolata con la pubblica... tanta fuffa ragionevole, nessuna domanda diretta, di quelle che un umilissimo cronista saprebbe porre: ad esempio; cosa significa che la tal candidata è una “superlaureata”? E se è vero quello che Berl. ha detto pochi minuti prima, e cioè che la sua presenza alla festa fu una semplice improvvisata durante una missione di lavoro al termovalizzatore, come la mettiamo col regalino? Perché, come fa notare Malvino, i casi sono due: o si porta sempre anellini con sé, anche quando visita i termovalizzatori, o l'improvvisata non era così improvvisata... oppure chi lo sa, magari c'è un terzo caso, e Berlusconi potrebbe spiegarlo: le domande servono anche a questo, no? No, le domande non servono a niente, le domande non si fanno proprio.

Poco dopo scopriamo che De Bortoli non è venuto a intervistare il Presidente, ma a dargli consigli di stile: Berlusconi, dice, non avrebbe dovuto andare a quel compleanno. Perché? Perché era una festa burina, lascia capire, con i cuochi che indossavano magliette cheap. Sul serio.

De B: Posso dire una cosa di sensazione mia personale? Io credo che lei Presidente sia al massimo... anzi, mi auguro, insomma... lei ha una grandissima popolarità, tutti le riconoscono le grandi realizzazioni del suo Governo [tutti?], lei ha avuto modo, lo ha tutti i giorni di valutare qual è anche l'affetto che la gente ha per lei, insomma.
Io però credo che un Presidente del Consiglio... lei è una persona generosa, non sa dire di no, insomma la invitano, lei ci va, si spende sempre con grandissima generosità: gliene dobbiamo dare atto. Però io credo che alle feste e ai compleanni non si debba andare.
Queste fotografie certamente dimostrano che, per carità quella era una manifestazione pubblica come tante altre... Però insomma io credo che ci sia anche una forma delle istituzioni che lei rappresenta. Forse qui potrebbe cogliere l'occasione che l'aver detto di sì a quella persona che l'ha invitata quella sera sia stata poi un errore se poi ha scatenato questa tempesta mediatica. Insomma mi crea un certo disagio vedere un Presidente del Consiglio che è fotografato insieme a quei signori, per carità, tutti rispettabilissimi, insomma, uno c'ha la maglietta
Song'e' Napuli, io personalmente qualche forma di disagio la sentirei. Mi piacerebbe insomma che questa occasione fosse un'occasione per dire beh, forse è meglio che in queste occasioni il Presidente del Consiglio non compaia.

Dietro al muro d'imbarazzo c'è un problema vero. Berlusconi è una carica istituzionale, che però pretende di infilare in agenda delle comparsate elettorali. Lo aveva affermato lui stesso poco prima, nella foga della sua autodifesa: alla festa di Noemi c'è andato perché voleva discutere con suo padre a proposito di un paio di candidature nel collegio Centro-sud Campania. Ma c'è arrivato in pompa magna, con scorta ufficiale e tutto quanto:

Sono arrivato con otto auto della polizia e della scorta: sembrava un funerale. Sono arrivato lì al ristorante, sono entrato... mi si sono fatti lì contro, e quando c'è tanta gente... non mi si può chiedere di non fare campagna elettorale: anche perché andremo presto alle elezioni.

Non gli si può chiedere di non fare campagna elettorale, a B.: anche se le sue elezioni le ha vinte l'anno scorso, e ora dovrebbe concentrarsi su un altro mestiere, che è quello del governo; come Obama, che per un anno ha comiziato, ma adesso sta lavorando. Questo fanno di solito i politici nelle democrazie moderne: un anno di campagna e quattro di governo. Con B. è diverso, l'Italia è diversa: siamo in Campagna Elettorale Permanente. Lo sappiamo: le Amministrative, le Europee, i Referendum sono tutte consultazioni provvisorie che possono decidere la sorte di un governo, e che costringono i governanti a perder tempo nelle cucine dei ristoranti e nelle tendopoli, e a rinnovare continuamente le promesse elettorali. Berlusconi è in campagna per Bruxelles anche se non potrà mai andarci, un'assurdità che qui nessuno gli rimprovera: un malcostume che non nasce con lui, anzi lo crea: l'odierno Berlusconi populista, quello che ha un sorriso e una stretta di mano per tutti, è un prodotto della Campagna Permanente. E non gli si può chiedere di non farla, perché in verità e l'unica cosa che sa fare: se gli togli le elezioni, si attaccherà ai sondaggi di popolarità, come l'eroinomane al metadone. 

Tutto questo vagamente De Bortoli l'ha capito, ma non lo dice. Quel che dice è che Berlusconi non dovrebbe farsi fotografare accanto a una maglietta Song'e'Napule. La questione politica (non possiamo mescolare campagna elettorale e lavoro istituzionale) si trasforma in questione di stile: a quel punto tanto valeva mandare Lina Sotis, che ha una parlantina più sciolta; tanto più che buttarla in stile quando giochi contro il re dei populisti significa praticamente servirgli la palla: schiacciata, set, game, match:

Non sono d'accordo con lei sul fatto che io, come Presidente del Consiglio, debba arrivare a non andare a una festa di matrimonio, a una festa di compleanno, a riunioni... perché rinuncerei ad essere me stesso, rinuncerei a mantenere tutte le promesse che ho fatto anche in sede amicale, a stare con la gente. Quella persona che lei dice Io song'e'Napule era una persona che lavorava nella cucina di un ristorante... io quando vado in un ristorante normalmente faccio sempre gli incontri e le fotografie con tutti quelli che lavorano in cucina, a tutti chiedo cose della vita vera. Parlo con i taxisti, parlo con i commessi... sono un uomo come tutti gli altri, e ho un grandissimo rispetto soprattutto per le persone più umili. Se cessassi di fare questo non sarei più me stesso (applausi).

Berlusconi ha buone ragioni di complimentarsi con un direttore di giornale che invece di fargli una sola domanda si presta a recitare la parte (tipica delle fiction mediaset, fateci caso) del borghese altezzoso con la mania per le “forme”, rispetto alla quale si staglia luminosa la figura di Silvio C'è, quello che S'Interessa Alla Vita Vera Della Gente Umile.

Mi sbaglio se suggerisco che in un Paese democratico, con una stampa indipendente, un direttore che si prestasse a un servizietto del genere nei confronti di un uomo di potere verrebbe licenziato immediatamente? Sì, mi sbaglio, perché non posso dimostrarlo. In un Paese democratico nessun direttore si è mai abbassato così. Che io sappia. Magari non ho cercato bene: se avete esempi segnalatemeli.

De Bortoli invece resterà lì dov'è, e c'è già chi si complimenta con lui per le “stoccate” inferte al premier: lui, che s'è fatto ridurre al silenzio da un settantenne arzillo ma retoricamente non irresistibile. Questa è la stampa italiana, oggi, rappresentata dai suoi professionisti più prestigiosi. Delle interviste scomode ai potenti si è semplicemente persa la memoria storica: della Fallaci ci si ricorda soltanto la rabbia, non l'orgoglio con cui
dava del tu all'ospite potente.

In mezzo a tutto questo io scrivo, come tanti, senza nessuna pretesa di fare lezioni di giornalismo. Non sono un giornalista: ma non è necessario essere calciatori professionisti per accorgersi che a centrocampo fanno melina. Non scrivo per farmi passare la rabbia (che non passa, anzi); piuttosto con una presunzione di testimonianza: chi verrà dopo di noi non dovrà pensare che eravamo tutti prostrati come Vespa, arresi come De Bortoli. C'era gente normale, con una famiglia e un lavoro più o meno normale, che in casa propria si faceva le domande che i giornalisti non volevano o non sapevano più fare. Non eravamo la maggioranza, non pretendevamo di esserla: ma esistevamo. Devono saperlo i posteri: non si sono bevuti il cervello in quindici anni, gli italiani. Non tutti.
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forse Dio è malato

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Te e i tuoi sfondi verde vomito

1. Mi dispiace, seriamente.
Vabbè, me l’aspettavo, ma la sconfitta di Veltroni mi addolora ugualmente. È vero, non condividevo la sua strategia. È vero, un signore che a settembre, con un gap del 22%, decide di andare da solo e giocarsi cinque anni della mia vita e del mio potere d’acquisto perché… “yes we can”, più che un leader è un cavaliere dell’apocalisse. Eppure sarei stato felicissimo di ricredermi: se ce l’avesse fatta sarei stato tutto suo, corpo e anima. Avrei cancellato tutti i pezzi livorosi nei suoi confronti (senza contare tutti quelli che mi sono proibito di scrivere) e li avrei sostituiti con citazioni ossequiose da “Forse Dio è malato” e “La scoperta dell’alba”. Quando ci promise gli anni ’60 ero anche pronto a farmi la frangetta e la Vespa 50. Ma ha perso, e ha perso male. Coi tuoi sfondi verde vomito, ma nasconditi.
“Siamo a meno sei”, dicevi un mese fa. Oggi è a meno nove. Dovevi conquistare gli indecisi? Li hai persi. Col tuo nobile gesto hai ucciso la sinistra arcobaleno, che avrà pur avuto tanti difetti, ma non meritava una fine del genere. O la meritava? E io la meritavo? Io, non Bertinotti, io, dovrò vivere altri cinque anni pagando con le mie tasse gli sgravi fiscali dei padroncini incapaci. Io finanzierò il Ponte sullo Stretto, e vedrete che se c’è un modo di farmi salvare Alitalia, magari espiantandomi il midollo, me lo espianteranno (naturalmente Ahmad sarà mio compagno di cordata). Tremonti metterà i dazi, l’Unione Europea ci multerà, e sapete chi pagherà la multa? Io.
Il minimo che possa chiedere, in questo momento, è la testa di Veltroni. Dite che non è colpa sua? Luca Sofri dà ancora la colpa a Prodi. E perché non a Occhetto? Guardiamo in faccia alla realtà. Il partito di Veltroni doveva “affascinare” gli italiani: non è successo. Dietro al gran nome, dietro alla simpatia paracula delle claques romane, dietro ai paraventi di Repubblica sempre più serrati intorno a una realtà parallela, c’era l’evidenza di un leader un po’ bollito, rassicurante ma privo di appeal, che ai giardini l’anno scorso mi fece una così triste impressione – ed era in territorio amico. Durante la campagna elettorale ho atteso vanamente il colpo da Grande Comunicatore, il coniglio nel cappello – niente. Credo che l’Africa non debba attendere ulteriormente. Il suo posto può prenderselo chiunque, meglio se gradito a nord: col senno del poi, Bersani fece proprio male a ritirare la sua candidatura alle primarie.

2. Quello che è successo a sinistra ha le dimensioni di un suicidio rituale di massa. La stessa scelta di nonno Fausto come leader gridava: “Non votate per noi, siamo vecchi stanchi e forse nocivi”. È la storia più triste che io conosca: un gruppo di politici (non tutti bravi, anzi in gran parte scarsi, ma non è quello il problema) decide di sacrificare le proprie forti idealità per assicurare un governo stabile all’Italia. Non solo non riescono ad assicurarlo, ma perdono sia il loro elettorato che l’alleanza in nome della quale si erano sacrificati. E adesso? Il passo più logico è all'indietro: le europee dell’anno prossimo sono proporzionali senza sbarramento, verdi e comunisti andranno tutti alla spicciolata alla ricerca di un euro-seggio che li tenga fuori dai guai e dalle monnezze d’Italia. Non li biasimo. Piuttosto mi chiedo cosa farò, in un’Italia senza sinistra parlamentare. Se aggiungo il quadro la crescita dei movimenti parafascisti nelle scuole, me la vedo proprio male.
Poi penso che poteva andarmi peggio, in fondo sono etero. Amici gay, l’estate scorsa litigavate con me perché i DiCo proposti dalla Bindi non erano veri matrimoni, vi ricordate? Sembra già trascorsa una vita.

3. Se i gay piangono, i Vescovi non hanno molto da ridere. A loro modo, volevano dare una dimostrazione a Berlusconi: guarda che senza di noi non vai lontano. Sbagliato. Il governo Bossi-Berlusconi sarà uno dei governi più laici della storia della Repubblica, senza Binetti e con un sacco di allegri puttanieri. Memorandum per Casini: la prossima volta che il signore che già ti regalò cinque anni di presidenza della Camera ti telefona per invitarti nel suo nuovo partito, tu digli di sì, anche se sei spossato da un viaggio in eurostar e tutti gli amichetti ti strattonano per andare a giocare nel loro nuovo partitino bianco. E lascia perdere anche i tuoi amici vescovi. Quelli brontolano un po', ma alla fine ti assolvono sempre, dovresti saperlo.

4. Come volevasi dimostrare, il partito di Giuliano Ferrara non esiste. Purtroppo dovrò pagarlo ugualmente (nelle nazioni civili, ad es. in Francia, chi non supera una soglia percentuale non accede ai rimborsi elettorali: in Italia invece bastano due firmette di senatori e ti candidi a spese mie; chissà quanti poi gonfiano le spese e ci lucrano su). E tuttavia voglio sperare che il suo flop sia abbastanza rumoroso da chiudere per un pezzo qualsiasi speculazione su legge 194 e derivati. È l’unica vera buona notizia di stasera, direi. Però attenzione, perché da dopodomani lui ripartirà a scrivere sul suo giornaletto quanto è stato bravo, e sarà in tv tutte le sere a dire che ha perso però è stato tanto bravo, e insisterà finché gli daremo retta, e ci rimetteremo anche noi a parlare di questa archiviatissima legge 194. Perché? Perché siamo dei polli (infatti continuiamo a dar retta agli exit poll).

5. Anche Boselli non esiste – ma questo si sapeva già. Persino i numeri non sono una novità. La notizia è che, dopo 15 anni, se ne sia reso conto anche lui. Chissà come ci si sente. Come Bruce Willis in quel film quando si rende conto di essere morto, un’ora e mezza dopo che lo hanno capito gli spettatori.

6. Il successo della Lega merita un pezzo a parte – stasera mi fermo a questo: tutti avevano in mente una campagna iper-moderna, all’americana, Obama-style: e invece ha vinto il partito più vecchio dell’arco costituzionale: direttamente dai ruspanti anni ‘80, coi suoi leader cresciuti alla Scuola Radio Elettra (altro che Frattocchie) assolutamente non fotogenici, così impacciati e involuti che un ictus al cervello non li peggiora. Pensavamo che l’Italia fosse “Yes we can” e invece ha vinto “tiriamo fuori i fucili, grunt”. Però questa è l’Italia in cui vivo io. Non la amo, questo no, ma la riconosco. Quell’altra invece non riuscivo proprio a metterla a fuoco. E mi dispiace, credetemi.
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Exit Palla

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Oggi sarà la giornata degli exit poll. Alle tre del pomeriggio chiuderanno i seggi e partiranno le dirette televisive.
Queste dirette televisive, per alcune ore, non avranno nessun dato significativo, e quindi, come è prassi, vi cucineranno il solito brodo di chiacchiere ed exit poll che voi non avete mai chiesto, e che invece (almeno in Rai) vi faranno pagare. Bene, in questo momento vale la pena di ricordare che gli exit poll italiani hanno una particolarità storica che li rende straordinari, un caso unico nella scienza statistica. Non ci prendono mai.
E per mai intendo proprio mai, eh? Ogni elezione una cantonata. Al punto che, quasi quasi, quest'anno sarei portato a fidarmi. Così, per una semplice interpretazione volgare della legge dei grandi numeri: possibile che col variare degli anni e degli istituti statistici, gli exit poll si siano sempre sbagliati? Ma ripetendo le elezioni da qui all'eternità, prima o poi si troverà un exit poll azzeccato: perché non quest'anno? Dopotutto è bisestile.

L'alternativa economica sarebbe farseli in casa, questi exit poll, tirando la monetina: consapevoli che un normalissimo pezzo da 1€, se lanciato nell'aria, ha una possibilità di azzeccare una previsione pari al 50%, quindi assai superiore agli errori commessi dagli istituti che si sono fatti pagare per gli exit poll del 2006.

Chiudo copiando quello che scrissi in calce a un pezzo di Mantellini, due anni fa (non si butta via niente): l'exit poll, oltre a essere pericoloso per chi lo fa e per chi lo consuma, è assolutamente inutile. Ventiquattr'ore dopo non se ne ricorda più nessuno - a meno che non sia totalmente sbagliato. L'exit poll è il SUV della statistica: consuma un sacco di energia e credibilità e dà solo problemi di parcheggio.
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ma Chi Te L'Ha Fatto Far

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Caro Egregio Silvio Berlusconi,

ho esitato a lungo prima di scriverti questa lettera. Vedi, il fatto è che in queste settimane di campagna elettorale c'era una cosa che avrei voluto chiederti. Era una domanda semplice, non maliziosa, anzi piuttosto banale; così mi aspettavo che qualcuno prima o poi te la ponesse. Ho aspettato invano, e così ora te la faccio io.
Egregio Silvio Berlusconi, probabilmente tra tre giorni avrai vinto le elezioni. A quel punto dovrai ben farti la domanda che ora ti rivolgo, e cioè: Chi Te L'Ha Fatto Fare?

Egregio Silvio, è la quinta volta che ti candidi alla Presidenza del Consiglio: credo che sia un record, almeno per le democrazie europee. E deve essere una fatica mortale, che ha stroncato ben altri cavalli di razza. Io confesso di aver pensato, per molti anni, che tu partecipassi all'agone politico principalmente per motivi extrapolitici, vale a dire per salvare le tue aziende e anche un po' la fedina penale tua e dei tuoi amici. Tutti risultati pienamente raggiunti, dopo una dozzina d'anni di lotta (forse valeva la pena dartela vinta subito e non pensarci più). A questo punto però avresti potuto tirare i remi in barca. In un certo senso avresti dovuto, dal momento che non sei un giovanotto e che tutto sommato la politica ti ha dato tutto quello che ti poteva dare. E invece no, tu insisti. Perché?

Davvero non c'era nessuno in grado di prendere il testimone? Ecco, questo è grave. Tu dici che lo fai per salvare l'Italia, ma l'Italia è fottuta, se l'unica speranza è appesa alle sorti elettorali di un settantenne. E per favore, non cominciare con la manfrina della tua immortalità. È vero, quando sei in campagna elettorale tiri fuori i muscoli, e li abbiamo visti. Ma sulla distanza le righe rispuntano fuori. E lo sappiamo tutti che le elezioni ti eccitano tanto quanto ti deprime poi governare. Non sbaglio di molto se prevedo che dopo aver nominato il nuovo governo, a fine maggio ti eclisserai: ti si rivedrà abbronzato sulle riviste a fine agosto, e poi ancora silenzio fino alla Finanziaria. Era più o meno il modo in cui governavi tre anni fa, e non credo che lo cambierai. Certo, un gaffeur come te meno parla meglio è (a proposito, come si fa a offendere Totti a tre giorni dalle elezioni?) Il problema è che oltre a parlare poco, farai poco. I tuoi governi non hanno mai brillato per decisionismo. Poche riforme, e spesso disastrose. Per di più, la congiuntura economica è molto difficile, e anche questo lo sai. Fino a ottobre riuscirai a dare la colpa al governo precedente, e poi? E poi, se non l'hai capito, sarai nei guai. Guai grossi. Gli italiani non potranno per sempre dare la colpa a Prodi all'Euro. Presto o tardi (più presto che tardi) cominceranno a darla a te. A ragione o torto, non importa.

C'è una marea montante di malcontento popolare nel Paese, che la campagna elettorale non è riuscita a cavalcare (anche perché ne sarebbe rimasta travolta). L'hanno chiamata “antipolitica”: è un nome come un altro. Questo movimento neanche più sotterraneo appare sedotto, più che da Beppe Grillo, da un'idea: le colpe della crisi italiana vanno attribuite in toto alla sua classe politica. È una bella idea, se ci pensi, perché fornisce alla gente quello di cui in cui nei momenti di panico ha più bisogno: un Nemico. E tuttavia questo Nemico è ancora un po' troppo astratto. Chi dovrebbe rappresentare la classe dei politici, chi dovrebbe impersonare il Nemico Numero Uno? Romano Prodi? Non funziona. Napolitano? Si fa fatica persino a considerarlo un politico. E allora chi? Chi è il capro espiatorio che serve alla nazione? Ecco, se ci pensi bene, queste elezioni servivano proprio a designarlo. E le vincerai tu. Se invece le vincesse Veltroni, non farebbe lo stesso effetto: Veltroni è rassicurante, ma ha un decimo del tuo fascino. Odiarlo è difficile quanto amarlo veramente. Tu invece ci hai sempre regalato emozioni forti: hai voluto che ti amassimo o che ti odiassimo. E nel momento più nero della crisi, insisti per risalire sulla poltrona del potere. Ma sul serio, Chi Te L'Ha Fatto Fare?

Può essere incosciente vitalismo il tuo – perché il salmone risale la corrente? Perché la gallina attraversa la strada? Perché Berlusconi continua a gareggiare per Palazzo Chigi? – fatto sta che con la tua cocciutaggine dai proprio l'impressione di prepararti a un finale in grande stile. Spero per te un po' più eroico di Hammamet e un po' meno cruento di Piazzale Loreto: eppure questi esempi non li ho scelti a caso. Non fraintenderti, non è per darti del fascista, quanto per ricordarti una delle peggiori qualità degli italiani: quando il Grand'Uomo cade, fanno la fila a sputacchiare il cadavere. E poi faranno finta di non averti mai conosciuto. E questo ti farà male, lo so, più degli sputi. E quindi: Chi Te L'Ha Fatto Fare?
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Carta vince Sasso

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Manuali di retorica

Lo avrete sentito anche voi: Dell'Utri vuole cambiare i libri di storia per le scuole. Forse non riuscirà a dedicare un paragrafo all'eroismo di Vittorio Mangano, ma sicuramente vuole togliere un bel po' di "retorica della resistenza".

Ora, mi rendo conto che discutere delle uscite di un politico, a poche ore dalle elezioni, non ha molto senso: Dell'Utri probabilmente è caduto in un tranello (teso dall'insospettabile Klaus Davi), voleva dare un segnale a destra ma lo avranno sentito meglio a sinistra, dove a certe cose ci tengono. E poi chissà se ha mai veramente aperto un manuale di storia tra le centinaia pubblicate negli ultimi dieci in anni.

Vorrei soltanto chiedere, a tutti quelli che sono interessati al problema e magari condividono il punto di vista di Dell'Utri: perché per una volta non arrivate coi libri aperti, e i paragrafi retorici sottolineati? Allora sì che diventerebbe una discussione seria. Un po' come quelle che si fanno su wikipedia, dove alla fine carta canta: proprio così, nelle discussioni sul web la carta vince. Curioso, se ci pensate.

Io lavoro nella scuola da qualche anno, ormai, e devo aver cambiato almeno sei manuali (nessuno scelto da me). Ho accompagnato cinque classi all'esame di licenza media, e ogni volta mi sono assicurato che portassero il programma almeno fino al 1948. Tutta questa retorica nei libri non l'ho vista - ma forse sono di parte. Parliamone. Fatemi degli esempi, spiegatemi cosa ci trovate di retorico, datemi esempi di quello che per voi è la retorica. Se per esempio un eccesso di pruderie ha finora trattenuto gli autori dal trattare del massacro degli omosessuali a opera dei nazisti, io sono d'accordo a emendare il libro di testo. Però cerchiamo di non strumentalizzare la cosa: fino a qualche anno fa l'omosessualità era un tabù a sinistra come a destra, e in molte classi lo è ancora.

Sarebbe bello riuscire ad affrontare il problema senza ricorrere a circolari - per inciso, la circolare del prefetto che mi impone di ricordare in classe, in qualsiasi classe, il dramma delle foibe, io la considero un attacco alla mia professione. Non spetta al prefetto dettarmi il programma, e le foibe vanno studiate al momento giusto. A scuola si studia la storia come una progressione di cause ed effetti, non si fa l'Almanacco del giorno. Ma questo è già un altro problema.
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Un voto non dannoso

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Ok, dichiarazione di voto.

Salvo ripensamenti dell'ultima ora dovuti ad accadimenti improbabili (ad es. Berlusconi che promette di triplicare lo stipendio degli insegnanti o Veltroni che mostra le chiappe in pubblico, ecc.) la redazione di Leonardo voterà PD alla Camera e Sinistra L'Arcobaleno al Senato, e invita i lettori elettori dell'Emilia Romagna a fare altrettanto.

Un voto del genere ha poco a che vedere con la qualità degli argomenti espressi da questi due partiti in campagna elettorale; in particolare la mia antipatia per il candidato presidente dell'Arcobaleno rimane piuttosto forte. Direi che la decisione finale è stata presa consultando questo pezzo di NoiseFromAmerika sul voto utile, e ponendomi la domanda: quale tipo di voto può portare più danni al Popolo della Libertà? Ebbene sì: a 14 anni dal 1994 io continuo a considerare la sconfitta di Berlusconi come un valore in sé (esattamente come diceva due anni fa quel candidato antipatico di cui sopra).

Forse B. non sarà l'unico responsabile dell'imbarbarimento della classe politica, imprenditoriale, e ahimè, lavoratrice, ma sicuramente ne è la migliore incarnazione. Farlo fuori una volta per tutte, elettoralmente, non è certo la soluzione finale, ma sarebbe un buon inizio. Purtroppo non ci credo più come due anni fa: l'uomo ha dimostrato di essere molto più vitale dei suoi avversari. Certo, è più facile mostrare vitalità quando si fa appello agli istinti più bassi del proprio corpo elettorale: l'avidità, il successo individuale, ecc. Ho sempre fatto fatica a non confondere la lotta degli italiani contro Berlusconi in una lotta tra il Bene e il Male, in un mondo dove il primo fa buchi da tutte le parti e non ci sono trucchi, anellini o spade laser che tengano. Mi dispiace per chi si aspettava un'analisi più sofisticata, io davvero arrivo solo fin qui.

Come forze del Bene forse mi trovavo più a mio agio nell'armata Brancaleone di Prodi che nel Pd di Veltroni, per una questione di gusti che è inutile disputare. Io non sono tra quelli che credono in un accordo pre-elettorale tra Berlusconi e V: forse entrambi lo hanno previsto come Piano B, ma a nessuno dei due conviene veramente. Quel che temo sia successo è che Veltroni, consapevole di non avere chances, abbia chiesto e ottenuto di perdere bene, in modo da far fuori gli altri partiti di sinistra. Questi ultimi non sono certo immuni da colpe, ma nei due anni del governo Prodi si sono dimostrati un partner di governo più affidabile del previsto. Non meritavano di essere emarginati in questo modo. Ma è una polemica vecchia: Veltroni ha tratto il dado. Vediamo come andrà.

Se andasse bene, se cioè Veltroni riuscisse a vincere o anche solo a pareggiare, è possibile che io cancelli alcuni pezzi degli ultimi mesi e mi vanti persino di aver capito prima degli altri che era in grado di farcela, grandissimo Valter, come Paolo Rossi nell'82, o Dossena nell'83, o gli Abbagnale nell'84, eccetera eccetera. Non vogliatemene, tengo famiglia, e poi chi siete voi per giudicare, ah?
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dichiarare la propria posizione

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In attesa di avere qualche idea originale, ecco la mia posizione secondo il questionario di geopolis (via Mau).



Valeva la pena di mostrarvelo per vari motivi: era quasi un dovere nei confronti di chi viene qui spesso, e ha il diritto di conoscere la posizione (scomoda) della persona che ci scrive. Insomma, alla fine probabilmente voterò Veltroni, ma con un mal di pancia insolito.
Inoltre così lo farete anche voi, e per un attimo la campagna elettorale smetterà di consistere in un'infinita serie di speculazioni su sondaggi farlocchi e proposte insensate e comunque poco rilevanti ("può vivere l'Italia senza Malpensa?" Così, a occhio direi di sì).
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Ogni debito è stato una promessa, un giorno

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berlusconi_non_promette

(Una buona Resurrezione a tutti, quest'anno ce n'è un diffuso bisogno).
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Una proposta concreta: sbattersi.

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Il prodotto (interno) più vecchio del mondo.

Lo avete sentito tutti: Berlusconi ha proposto a una ragazza di risolvere il precariato sposando un milionario. Ora naturalmente è facile denunciare la sua mancanza di sensibilità, il suo umorismo insipido, il fatto che è un cafone proprio, ecc ecc ecc ecc. In realtà basta fare due conti. Preso atto che in Italia, oggi, si diventa imprenditori ereditando l’impresa di papà, Berlusconi ha semplicemente fatto presente che nei prossimi anni, man mano la vecchia leva se ne tornerà al creatore (hanno tutti più o meno la sua età, ma Lui solo è immortale), l’Italia si popolerà di scapoli d’oro.

Quanti? Non ne ho la minima idea, dico diecimila giusto per buttare giù una cifra: dopotutto siamo un Paese di mini e micro-imprenditoria, diecimila fabbrichette mi sembrano un dato verosimile. S’intende che potrebbero essere il doppio o la metà. Fanno già diecimila posti di lavoro angeli del focolare belli e sistemati. Pensateci bene. Son tempi di vacche magre, i milioni di posti di lavoro non ce li offre più nessuno.

Direte che non bastano: sono d’accordo, però riflettete. Nessuno ha detto che l’Imprenditore debba sposarsene una sola. Lo stesso Berlusconi ha dato il buon esempio, sposandosene due. Se ogni mini- o micro-imprenditore si impegnasse a garantire lo stesso servizio, diciamo nei prossimi cinque anni, entro il 2013 avremmo già sistemato almeno 20.000 giovani donne, e cacciale via. È chiaro che ci sarà il povero fesso monogamo a vita e quello che se ne porta all’altare anche tre o quattro, ma statisticamente due matrimoni a testa mi sembrano uno sforzo sostenibile.
Le materialiste scandalizzate che preferirebbero fosse offerto loro un posto di lavoro dovrebbero rifletterci bene. Sotto l’aspetto degli ammortizzatori sociali sposarsi l’Imprenditore è assai meglio che lavorare per lui, perché in questo caso la liquidazione (gli alimenti) dura per tutta la vita. A meno che qualche divorziata d’oro non si sogni di re-immettersi nel circolo produttivo, puntando a risposarsi con un secondo industriale e rubando così risorse alle sue connazionali; ma penso che si possano varare leggi ad hoc per evitare il problema (divieto di risposarsi per le femmine, obbligo di sposare soltanto donne under 30, o magari vergini, ecc), e magari qualcuno nel PdL ci sta già pensando.

Mi direte, ancora una volta, che non basta: cosa sono in fondo 20.000 matrimoni davanti alla recessione economica? Ecco, da qui in poi bisogna leggere tra le righe, però andiamo, è evidente che un imprenditore, per quanto mini- o micro-, almeno un paio di amanti in 10 anni se le fa. Anche qui credo che Berlusconi abbia fatto il possibile (e l’impossibile) per offrire un esempio ai suoi seguaci. È chiaro che essere l’amante di un imprenditore non offre le stesse garanzie di sposarselo; in compenso è un po’ più divertente; e se la ragazza è spigliata e intraprendente, il concubinato può essere un trampolino verso una carriera di successo.

Pensate alla tv, per esempio: ti sbatti un imprenditore (o un politico, ancora meglio) per un paio d’anni, arrivi sul piccolo schermo, e se riesci a farti riconoscere dal grande pubblico, chi ti smuove più di lì? Certo, occorre darsi da fare. Nessuno vi ha mai detto che sarebbe stato facile, signorine. Bisogna impegnarsi, far palestra, rassodare i fianchi, magari qualche intervento mirato, ma è sempre meglio di iscriversi a ingegneria, studiare 4 o 5 anni e poi ritrovarsi disoccupata con la laurea in tasca, perché diciamolo: chi si fida di un ingegnere femmina?

Riassumendo: con una stima di 10.000 giovani imprenditori, abbiamo calcolato nei prossimi anni due matrimoni e due concubinati a testa. Naturalmente bisogna ipotizzare che tutti questi giovani di successo, invece di perdere tempo ad aggiornarsi, a viaggiare all’estero e a varare investimenti realmente produttivi, non facciano che scopazzare in giro. Ora io francamente non so quali siano i costumi degli imprenditori italiani (non ne conosco parecchi), ma se c’è qualcuno che li conosce bene è proprio Berlusconi, per cui tenderei a fidarmi. Insomma, siamo arrivati a 40.000 ragazze con vitto, alloggio e mensile assicurato. Concorderete che la cifra comincia a diventare interessante. Ma non è finita qui, oh no.

È chiaro che Berlusconi queste cose non può dirle, ma davvero pensate che un imprenditore italiano sessualmente attivo si contenti di quattro donne in dieci anni? Con tutto l’affare di escort e entraîneuses che c’è in giro? Fatemi un favore, andate a vedere sui forum quanto chiedono per una mezz’ora: io ho deciso che non ci vado più, perché m’incazzo. Senza moralismi, so benissimo che non siamo la prima civiltà in cui mezz’ora di sesso costa venti volte la cifra che pagate per mezz’ora di grammatica ai vostri figli, però la cosa mi fa incazzare lo stesso – se pensate a quanti anni ci vogliono per imparare seriamente la grammatica, e quant’è facile invece imparare a far sesso. Per cui, ragazze mie, invece di prendervela con Berlusconi (che ha il solo torto di dirvi la verità) riflettete, ragionate, fate due calcoli: chi non riuscirà a impalmare un titolare di fabbrichetta nei prossimi anni, può sempre portarselo a letto a tempo indeterminato (non è richiesta nessuna formazione, nessun titolo di studio, niente); e chi non riesce nemmeno a strappare un contratto di concubinato, può comunque riconvertirsi al meretricio, e probabilmente saranno quelle che alla fine della fiera guadagnano di più – attenzione, senza fatturare né pagare i contributi, ci siamo capiti? E vi lamentate pure?

Ma sul serio, chi ve lo fa fare di studiare legge o architettura? Se proprio dovete sbattervi, non fatelo per un praticantato o un apprendistato: sbattetevi e basta! Mettete fuori una tariffa, vedrete che più alta è e più fuori faran la fila, perché gli imprenditori son fatti così: amano le cose esclusive.

A che punto siamo? Mogli, amanti, escort… io direi che mezzo milione di posti li abbiamo creati, e senza toglierli a nessuno. Cioè, certo, sarà necessario attivare una politica di sicurezza – vale a dire risbattere in mare quel milione di nigeriane, albanesi, rumene, ucraine, brasiliani/e che per strada offrono un servizio di qualità anche superiore, ma a un prezzo imbattibile – contribuendo fra l’altro ad abbassare il prezzo dell’offerta interna. E vedrete che molti Vescovi saranno coi noi in questa battaglia di civiltà. È quello che dice anche Tremonti, no? Difendiamo il prodotto italiano. E il prodotto siete voi, signorinelle. Il più vecchio del mondo. E non ne andate fiere?
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sconvorto

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We are the Village Green Preservation Society

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Essendo al verde

Che è un bellissimo colore. Verde speranza, verde primavera. Per la verità era verde anche il fondo delle candele medievali, dimodoché quando finivano si diceva "siamo al verde", e se la cercate bene la metafora c'è.

Il giorno di San Patrizio gli irlandesi tingono di verde le birre e i fiumi d'America (quelli d'Irlanda non credo): da loro hanno preso il verde i leghisti, per via di un comune antenato celtico che in realtà nessuno ha mai conosciuto. Tanto, se tutto va come deve andare, le figlie e i figli dei leghisti in due generazioni si mescoleranno con gli immigrati musulmani, e alla fine voteranno verde uguale, perché il verde è anche il colore delle oasi del deserto, del turbante di Maometto, e in generale dell'Islam. E infine, buon ultimo ma non meno importante, c'è il verde Veltroni, il verde PD.

Ripeto, il verde è un bellissimo colore. Ma quel verde lì ha qualcosa che non va.
Si riflette sulle fronti degli attivisti e li tinge d'itterizia; anche quando si sforzano con tutta la buona volontà di esibire entusiasmo e fede, sembrano venuti da Marte e in procinto di tornarvi. Di tutti le sfumature del pantone, mi sembra che abbiano scelto la più acida. Certo, io poi di comunicazione cromatica non so niente. Anzi, a questo punto mi piacerebbe pure ricevere il commento stizzito di uno scienziato di comunicazione cromatica che mi spiega per filo e per segno quanto poco ne capisco, e che quel verde è ottimo, è il risultato di un indagine di mercato incrociata con un prolungato brainstorming e un acid test in stile anni Sessanta, quelli dove stiamo per andare a vivere se vince Veltroni.

Io continuo a chiedermi perché, con tutti i partiti e i partitini che ci stanno in Italia, nessuno ha mai pensato di usare il giallo (a parte Panto, che è caduto da un elicottero dopo aver fatto perdere Berlusconi). A me sembra perfetto, il giallo. Per prima cosa, su un simbolo giallo si vede subito la croce a matita, e se avete mai spogliato un seggio sapete quanto sia importante. E poi è un colore caldo ma chiaro, ed è un ottimo fondale, su cui spunta tutto come per miracolo. Il fondo oro delle miniature medievali. Ci metti la testa di un pirla qualsiasi e voilà, l'hai fatto Santo. Ecco, ancora medioevo. Io ero nato per fare il comunicatore nel Medioevo. O beh. Magari ci torniamo, nel Medioevo. Dopo gli anni Sessanta. O anche prima. Io nei Sessanta in effetti mi annoierei, le canzoni già le conosco.
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e chi non c'è, non c'è

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Aborto terapeutico

Mi dispiace per aver creato delle attese, ma dopo l'esito della manifestazione "Aborto no grazie" di sabato 8 marzo, durante la quale Ferretti ha intonato il Te Deum per un pubblico inferiore a quello dei suoi primi concerti punchettoni a Scandiano o Codemondo, ho deciso di sospendere unilateralmente la mia campagna di presa per il culo di Giuliano Ferrara, un uomo solo di fronte al ridicolo.

La mia non è pietà, che riservo ai puri di cuore, o comunque non ai raccomandati storici, ma puro calcolo: a sfottere Ferrara siamo già in troppi (e quasi tutti più bravi di me: Disegni, Guzzanti, Cortellesi, vado a nascondermi). È un accanimento degno di miglior causa. La verità, illustrata dal clamoroso flop di sabato, è che se non fosse per noi che lo prendiamo in giro, di questo signore non parlerebbe nessuno, perché le cose che dice non sono interessanti.

[Per inciso, mi piacerebbe proporre una legge non molto democratica che imponesse l'abbandono della politica a tutti quelli che indicono una manifestazione nazionale e non riescono a raccogliere in un sabato nemmeno mille persone – pensate, in un colpo solo ci libereremmo di Ferrara e Capezzone (e anche Mastella e Boselli, che però sono più furbi e in piazza da soli non si fanno trovare mai)].

La mia sensazione è che la campagna di Ferrara, come il portale di Capezzone, o le campagne elettorali di Adinolfi, o le teorie quantistiche di Gabriella Carlucci, o i gatti bonsai, facciano parte di quell'insieme di cose che esiste soltanto su internet, e magari un po' su La7, ma che se ne parli nel mondo vero la gente ti guarda strano, chi è Adinolfi? La Carlucci non fa la soubrette? E Ferrara è da un pezzo che non si sente più, che combina?

Certo, gli fanno scrivere un giornale: ma non lo legge nessuno (se non per sfotterlo, appunto). Certo, è continuamente in tv per via di una complicata politica di scambio di favori; ma la gente cambia canale. Anche i vescovi, probabilmente.
Rispondendo alle sue provocazioni si finisce per accettare il postulato che il dibattito sulla vita sia prioritario in questa campagna elettorale. Personalmente non ritengo che lo sia, né vorrei che lo diventasse. Non solo, ma tutte queste chiacchiere sventate sulla sepoltura per gli aborti hanno il risultato perverso e non casuale di far apparire Silvio Berlusconi un campione di laicità semplicemente perché queste cose non gli interessano (come non interessano buona parte della società civile o incivile che sia, che di aborto comincia a preoccuparsi soltanto il giorno che la figlia si mette a piangere per il ritardo). È un gioco di sponda, involontario o no: io mi smarco. In questi giorni ho parecchio da fare e forse neanche un minuto al giorno per le farneticazioni di un signore che pur variando i dosaggi dei farmaci non ha ancora nemmeno visto Dio. Evidentemente non è portato: però è un problema suo.
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Sono come noi - ma si sentono meglio

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Quelli che Malpensano

Avete sentito dire anche voi che Alitalia perde un milione di euro al giorno? Bene, ora un piccolo quiz: indovinate chi paga.
E per favore, non rispondete “gli italiani”: troppo facile. Ma li sapreste isolare a colpo sicuro la razza di italiani che pagherà i debiti Alitalia? Per esempio, in una fila alle Poste, sapreste riconoscere quelli che pagheranno i debiti Alitalia da quelli che invece no?
Un piccolo test. Vi presento due persone e dovete dirmi chi dei due è della razza di quelli che pagano. Vedrete che non sarà così difficile.

Arnolfo Brembani, classe '63, nato e cresciuto a Varese, è il titolare di una piccola industria. Non vola parecchio, perché l'unico Paese estero che frequenta è il Canton Ticino, dove ogni tanto porta qualche dane' che nelle banche italiane ammuffirebbe, e ce li porta in Maserati (un regalo di Tremonti Bis).

Waseem Ahmad, classe '74, nato a Lahore (Punjab) è cresciuto anche lui a Varese, dove fa il benzinaio. Regolare. Anche lui non vola parecchio: una volta ogni due anni va a trovare i nonni in Pakistan. Se può, evita Alitalia, perché è un po' cara.

Già così è abbastanza facile, ma vi do un aiutino:

Waseem Ahmad, benzinaio, paga le tasse. Tutte. In quanto benzinaio regolare, non potrebbe fare altrimenti.
Arnolfo Brembani, imprenditore, quando può evitare di pagarle lo fa. Ultimamente questa storia del Liechtenstin, come si chiama, Liechtenstein, gli sta un po' turbando la digestione, ma lui stringe i denti (e non solo) e non vede l'ora che torni Tremonti Tris col Grande Condono.

Non si è capito? Ok, un altro aiutino.

Arnolfo Brembani, imprenditore varesotto, vota Lega Nord.
Waseem Ahmad, benzinaio regolare di nazionalità pakistana, in Italia da 9 anni, non vota. Non ne ha il diritto.

Direi che adesso è chiaro: quando Alitalia sarà salvata, a chi è che chiederanno una mano per pagare il conto? A chi è che alleggeriranno il portafoglio? Daaai, che è facile.

Un ultimo dettaglio, che forse non c'entra nulla:
Il giorno dopo aver votato per salvare Alitalia, Brembani si fermerà a fare il pieno alla stazione dove lavora Ahmad.
Quest'ultimo, un po' emozionato dall'idea di dover servire un pilota Maserati, si sbaglierà a dare il resto.
Quando Brembani, mica nato ieri, glielo farà notare, Ahmad si correggerà immediatamente, ripetendo più volte l'espressione “mi-dispiace-signore”. Brembani replicherà con un sobrio Tornatene a ca' tua, negher di merda, e poi via, verso Lugano Bella.
Che forza, il Nord. Come si fa a nascere altrove?
Bisogna essere dei gran pirla.
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coi piedi di Boninho la Uefa è assicurata

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Scalfarotto e la banda dei Brocchi
(L'immagine a fianco è un falso. Questa, invece, è vera (via Wittgenstein). Vedi anche Akille).

Interrompo temporaneamente la mia battaglia per la Vita per esprimere, seriamente, un parere su Scalfarotto. Mi è simpatico.

Ora, è chiaro che di un parere del genere voi non sappiate cosa farvene, e che preferireste trovare qui un'analisi dettagliata delle idee di Scalfarotto e dei metodi finora da lui messi in atto per realizzarle. Ecco, purtroppo un'analisi del genere non sono in grado di farla, per mancanza di tempo, di voglia, forse anche di cervello: ci sarà pure un motivo per cui al tempo della grande fuga dei medesimi il mio è rimasto qui.

Alla fine sono un italiano come tanti, videodipendente quanto basta per avere digerito la faccia di Scalfarotto identificandola come volto nuovo di centrosinistra. Mi è capitato qualche volta di leggere le sue cose su internet, e le ho trovate abbastanza condivisibili, pur non condividendo un certo ottimismo della volontà (ma è un problema mio) e facendo la tara a un certo fighettismo da italiano all'estero che per esempio fa finta di non capire a cosa servono gli stadi (dai che lo sai benissimo – a riempire la vita di chi non ha di meglio).

Quello che però è determinante non è tanto la simpatia che mi può ispirare Scalfarotto, quanto il buio più o meno assoluto che c'è dietro. Vale a dire: Scalfarotto magari lo conosco poco, ma quelli che il PD candiderà sopra di lui, anche meno. Lui sarà pure un po' fighetto – ammesso che sia un male: ma quelli che verranno eletti al suo posto potrebbero benissimo esserlo di più. Non li conosco. Invece Scalfarotto un po' sì, lo conosco. E lo conosco solamente perché si è dato da fare, senza essere cooptato, inventandosi strapuntini mediatici un po' discutibili, ma efficaci. Insomma, è stato bravo. Questo mi basterebbe a preferirlo a quella massa grigia e informe che lo sopravanzerà in lista: lui la sua 15esima posizione se l'è veramente sudata. È uno dei pochi esempi di valore aggiunto del PD: un attivista che non viene né dai DS né della Margherita. Non solo, ma il valore aggiunto in questione è quello dei diritti civili.

Per quanto lo conosca poco, io, elettore incerto tra Pd e Sinistra, identifico immediatamente Scalfarotto come un candidato PD che ha a cuore questo tema. Credo di conoscere la sua posizione sulle unioni civili, o sulla fecondazione in vitro. Per farla breve: mi sembra proprio che Scalfarotto sia un gran bell'esempio di laico nel PD. Ed è un laico, attenzione, 'nato' nel PD, un laico che il PD non ha dovuto comprare al mercato dei volti noti della politica. Gente così, invece di venire inserita alla 15esima posizione, dovrebbe essere messa subito sotto i riflettori: cosa c'è di meglio della bella faccia di Scalfarotto per dimostrare che il PD ha i suoi laici Doc?

E invece, cos'ha fatto il PD? Dovendosi coprire sul fronte laico ha preferito comprarsi i Radicali – degli esterni, anche un po' esosi, che hanno subito preteso poltrone sicure e più soldi degli altri, e che probabilmente appena arrivati a palazzo cominceranno a guardarsi in giro in cerca di un migliore offerente. L'impressione è che i boss PD si siano comportati un po' come certi vecchi presidenti di Serie A degli Ottanta-Novanta, che compravano centravanti in Brasile, anche brocchi, sapendo bene che in settembre, quando si vendono gli abbonamenti, è importante sfoggiare sulle colonne della Gazzetta un bel cognome brazileiro – a prescindere se sappia veramente toccare un pallone. Ecco, se vogliamo vendere il PD ai 25 elettori laici (e ai 12 gay), cosa c'è di meglio di un bel cognome Radicale? Anche brocco va benissimo.

Del resto, cos'hanno fatto esattamente di così laico i Radicali negli ultimi vent'anni? A parte indire dei bellissimi referendum e perderli, cos'hanno ottenuto? È un'impressione soltanto mia che l'arroganza clericale in Italia si sia diffusa soprattutto a partire dal catastrofico referendum del 2005, che i Vescovi hanno vinto semplicemente invitando gli italiani a non votare? Contenti i Vescovi, contenti i Radicali che hanno rafforzato il loro marchio di Laici Duri e Puri, contenti tutti. Beh, no, non proprio tutti: qualcuno è dovuto andare a fecondarsi all'estero. Ma questo evidentemente non era prioritario per Capezzone e compagnia. E dagli torto. Ancora oggi, grazie a quella campagna (persa) riescono a strappare contratti piuttosto vantaggiosi, a destra come a sinistra. A prescindere da quanto siano bravi o no.

Ecco, più penso a loro e più trovo simpatico Scalfarotto. Non è detto che alla prova dei fatti sia meglio di loro; mentre alla prova dei fatti loro hanno dimostrato di essere la banda dei brocchi (perlomeno sul fronte laico – come liberisti invece sono bravini, salvo che a me il liberismo non piace). E comunque, se devo scegliere dei brocchi, privilegerei quelli del vivaio. Ma capisco che i dirigenti del PD abbiano altre priorità, e in fondo che ne so io di tattiche elettorali? Che ne so io di tattiche in generale? Da domani mi rimetto a difendere gli spermini, quelli forse li ho capiti.
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If the Sperm is Wasted

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Anche noi abbiamo i 12 punti!

Passato un incantevole fine settimana da mia suocera, approfittato di questo meraviglioso lunedì di inoltrata primavera per l'autolavaggio (il riscaldamento globale, davvero, non è quel mostro malvagio che dipingono taluni catastrofisti della domenica) eccomi pronto a ribattere il chiodo della mia polemica umile, ma universale, che nel fine settimana ha attirato anche l'attenzione del primo quotidiano on line in Italia.

Bando alle ciance, ecco i 12 punti che i sostenitori della lista "Risparmia lo sperma" si impegnano a difendere (un grazie a Pessimesempio per il nome)

Preso atto che ogni Spermatozoo è Vita, e che la Vita è sacra, e se sprechi la Vita, Dio non è contento, noi sostenitori di Risparmia lo sperma c'impegniamo a:
  1. Promuovere legislativamente il dovere di dare cristiana sepoltura a tutti gli spermatozoi sparsi sul territorio nazionale. Le spese sono a carico del pubblico erario.
  2. Vietare per decreto legge l’introduzione in Italia del preservativo in plastica o caucciù, e simili veleni che negli ultimi anni di lassismo laicista hanno portato a uno sterminio di innocenti che non ha precedenti nella Storia; e se li ha, chi se ne frega della Storia, noi viviamo nel presente.
  3. Stabilire per via di legge che ogni spermatozoo sfuggito al suo genitore naturale, in quanto Essere Umano, ha il diritto di essere accolto da un Ovulo, e che provvedere a questa accoglienza è un compito deontologico dei medici a prescindere da qualunque autorizzazione di terzi. Non sono previsti obiettori di coscienza, perché la coscienza ce l'hanno solo i medici cattolici e quelli saranno d'accordo con noi: tanto più che per ogni spermatozoo allevato li paghiamo. Cioè, li paga il pubblico erario.
  4. Emendare l’articolo 3 della Costituzione, comma 1. Dove è scritto “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” aggiungere una virgola e la frase “dal l'emissione paterna fino alla morte naturale”. Questo, oltre a rendere la nostra Costituzione la più avanzata del mondo sul riconoscimento della Vita, tapperà per sempre la bocca a quelle donnacce che con la scusa della gestazione si credono padrone della Vita altrui fino al nono mese d'età - che, scherziamo? E' ora di stabilire per legge ciò che ogni buon italiano ha intuito da tempo: noi nasciamo dai coglioni. In Italia, perlomeno. All'estero chissà.
  5. Impegnare il governo della Repubblica - che non si capisce bene che altre priorità dovrebbe avere - a costruire un’alleanza capace di emendare la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite all’articolo 3. Dove è scritto “ogni individuo ha diritto alla vita” aggiungere una virgola e la frase “dall'emissione paterna fino alla morte naturale”. Siamo convinti che al Palazzo di Vetro si annoino delle solite emergenze umanitarie, e che non aspettino altro che qualcuno abbastanza coraggioso per aprire il dibattito su queste cose. Che la crisi energetica e la Striscia di Gaza, lasciatecelo dire, hanno veramente rotto le palle a tutti.
  6. Difendere la legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita. Con gli spermatozoi non c'entra nulla, forse, ma mi dicono che dobbiamo coprirci a destra.
  7. Fondare in ogni regione italiana una Agenzia per le Fecondazioni il cui compito specifico sia quello di favorire l’adozione, con procedura riservata e urgente, di quegli spermatozoi di cui malgrado tutto il genitore si voglia disfare. Immaginatevi la scena: l'uomo entra nell'Agenzia piangendo: "basta, non ne posso più (di tutta questa vita dentro di me), ora faccio un gesto disperato..." crede di trovarsi di fronte a persone che lo giudicano e lo compatiscono, e invece no: giovani uomini e donne sorridenti lo prendono per mano e gli spiegano che va tutto bene, non c'è nulla di sbagliato a dare luce a una Vita, a patto che essa sia consegnata nell'apposito involucro refrigerato. Queste Agenzie Regionali per le Fecondazioni (AgRegPerLeFec), se ci pensate, creeranno centinaia di posti di lavoro in tutt'Italia, e questo è già un bene: avete una cugina ottusa? Un nipote al terzo anno fuoricorso in Scienze della Comunicazione che non sa ancora cosa fare dopo? Un cognato deluso dalle dinamiche del casting del Grande Fratello? Ecco, è la tipica persona adatta per lavorare in un'Agenzia per la Fecondazione. Tanto paga il Pubblico Erario.
  8. E siccome siamo utopisti, ma previdenti, c'impegniamo a sostenere i primi nove mesi di vita degli ovuli fecondati con... con altri soldi, soldi a pioggia, viva viva il Pubblico Erario.
  9. E dopo i nove mesi? L'idea sarebbe convincere le madri a tenerseli, vale a dire... c'impegniamo ad applicare la parte preventiva e di tutela della maternità della legge 194. Potenziare in termini di risorse disponibili e di formazione del personale pubblico, valorizzando il volontariato pro vita, la rete insufficiente dei consultori e dei Centri di aiuto alla vita in ogni regione e provincia italiana. E ancora qui, un sacco di lavoro per tutti gli imbecilli in grado di lucrare una raccomandazione, e un'ola al Pubblico Erario, se non ci fosse lui.
  10. Siamo consapevoli che non tutti gli spermini recano cromosomi di qualità, e che quindi l'Italia si popolerà di freak... volevo dire, di persone diversamente abili. Questo, se da una parte farà sembrare più belli noialtri, avrà un certo costo per la collettività... ma chi se ne frega? Quadruplicare i fondi per la ricerca sulle disabilità e istituire una Agenzia di tutela e integrazione del disabile in ogni regione italiana. E chi non è d'accordo è un nazista che odia i disabili. Noi, invece, li amiamo (e ne vogliamo sempre più).
  11. Sostenere con sovvenzioni pubbliche adeguate l’attività dell’associazione di promozione sociale denominata Movimento per la vita. Come si vede, non c'è limite alla nostra capacità di immaginare modi di spender soldi pubblici. E questo ci porta al punto 12.
  12. Le risorse per il nostro programma di sostegno alla vita in tutte le sue forme sono da fissare nella misura di mezzo punto calcolato sul prodotto interno lordo e verranno rese disponibili attraverso lo stanziamento di 7 miliardi di euro attualmente giacenti presso i conti correnti dormienti in via di smobilitazione e altri cespiti di entrata. Siccome non basteranno, bisognerà saccheggiare le case degli opinionisti laicisti, che negli anni scorsi hanno lucrato enormi compensi da rai e mediaset per parlar dei fatti loro e difendere i loro interessi. Meglio farlo adesso, perché poi da vecchi si convertono e diventano ancora più costosi.
Che ne dite? Sembra finto, vero?
Beh, non lo è poi così tanto.
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every s**** is sacred

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Ma non so neanch'io cos'è, questa stanchezza.
La stagione forse, boh.

Però questa campagna elettorale non mi prende. Saranno le facce. Oppure no. Sono i problemi. Non ci sono quei bei problemi di una volta.
Perché va bene, d'accordo, l'Euro a 1.50$. La benzina ai massimi. Il metro quadro a peso d'oro. La crisi della quarta settimana. La crisi della terza settimana. La crisi. La stangata del riscaldamento. I rifiuti. La camorra. La 'ndrangheta. La mafia, che è pure un po' depressa. Il mancato ricambio generazionale in tutte le professioni, dalla pubblica istruzione allo spettacolo (ma sul serio a Sanremo non riescono più a trovare un fonico decente?) La pubblica istruzione. Il bullismo. I prof psicopatici. Il derby bulli-prof psicopatici. La droga, sempre più cara, dannazione. La sanità. Gli zingari. I gay che non si possono sposare. I migranti che non si possono sposare (anche coi gay). La criminalità. Le case diroccate che attirano i ragazzini. Tutti questi vi potranno anche sembrare temi interessanti, per mezz'ora, ma dopo sai che noia? E' il solito trantran delle democrazie mediorientali. Insomma, ci vorrebbe qualcosa di completamente diverso. Qualcosa di forte. Un argomento in cui si potessero riconoscere tutti.

Io non dovrei lamentarmi, non mi manca niente: gente che viene a leggermi ne ho, eppure so che mi meriterei di più, se soltanto... se soltanto riuscissi a esprimere tutto quello che c'è dentro di me, tutta quell'energia, quella genialità... se solo penso a tutti quegli spermini, voi ci pensate mai? Io ci penso.
Sapete quanti spermini contiene un ometto come me? Beh, parecchi. E... volete sapere una cosa? Sono vivi. Li ho anche visti ingranditi su youtube, non mi posso sbagliare. Quelli scalciano, capite? Scalciare è una cosa che fanno gli organismi viventi. Scalciano, nuotano, lottano per uno scopo. Sono più vivi di parecchi di voialtri. Voi ce l'avete uno scopo chiaro per cui lottare? E una coda da scalciare, ce l'avete? Ecco, appunto.

Provate a guardarveli, la prossima volta che li sbattete via come monnezza. Se ammettete che sono vivi - e non vedo proprio come potrebbe essere altrimenti - dovete accettare anche che hanno il vostro stesso DNA. Insomma. Vivi e col vostro DNA. Finché...
Finché un bel mattino, o una sera, o un pomeriggio, non vanno a sbattere ai 100 all'ora contro un muro di plastica, l'invenzione più odiosa dell'umanità, o peggio finiscono a chiazzare i materassi, o la biancheria, o... gli orifizi sbagliati, o la terra non sconsacrata, come capitò a Onan, e a Dio non piacque, proprio no. Sta sulla Bibbia, nero su bianco.

Forse ci sono. Ecco cosa ci vuole per questa campagna elettorale. Un bel tema forte, un argomento ben presente a tutti, blogger compresi.
Altroché i rifiuti. Altroché l'affitto al metro quadro. Qua si difende la vita! In tutte le sue forme. E soprattutto le forme piccole e scalcianti che i laicisti esasperati fanno finta di non vedere.
La campagna contro lo spargimento. Che idea. Ma come mi vengono?
E dire che mi sembrava una di quelle giornate grigie - adesso però ci vuole il logo. Qualcosa di semplice, che possa unire tutti...


...bello schifo. C'è per caso un grafico bravo, qui?
Dai, che è una lotta per tutti.

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Shyness can stop you

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Il fattore timido

Io ho la sensazione che lo staff statistico di Repubblica stia un po' mescolando le carte per il gusto di darci qualche speranza - nobile intento, non v'è sensazione più dolce della primaverile speranza che ti fa aprire le timide foglioline ai primi tepori di febbraio, salvo che poi se aprile arriva la gelata si soffre anche più di quanto previsto.

Oggi per esempio il pur degnissimo Ilvo Diamanti scrive che il vantaggio di Berlusconi su Veltroni sarebbe più o meno lo stesso (6%) che staccava Prodi da Berlusconi stesso due anni fa: e si è visto poi nelle urne che questo distacco era solo teorico. Quindi insomma, chi lo sa, forse Veltroni ce la potrebbe fare...

...il problema è che il distacco di due anni fa era un effetto ottico, dovuto alla versione italiana di quello che gli inglesi chiamano shy tory factor, ossia la timidezza innata dell'elettore tory, che non osa ammettere il suo voto se interpellato dal sondaggista.

Questo fattore esiste anche in altre nazioni, e di solito influisce sulla rilevazione del voto a destra. Quello che accadde due anni fa è che alle urne andarono molti elettori di Berlusconi che i sondaggi erano stati incapaci di rilevare, perché il loro campione statistico si vergognava ad ammetterlo (e giustamente, aggiungo io). Quanti? più o meno quel 5% che mancava all'appello. Il problema è che questo shy factor di solito funziona solo a destra: applicarlo anche all'elettorato di Veltroni mi sembra una forzatura. Quindi al massimo è Berlusconi che potrebbe salire da +6% a +11%, e non l'avversario. Ci si aspetta poi che i sondaggisti italiani comincino a calcolarselo da soli, lo shy Berlusconian factor, visto che anche per questo motivo non azzeccano una previsione da 10 anni. Ma tanto i giornali li pagano ugualmente.

Dopo questa doccia fredda, per la quale so che mi sarete grati, ho una notizia buona. Oddio, buona: curiosa. Sul blog di un gruppo di cervelli italiani fuggiti in America ho trovato (via Psycho) una proiezione interessante. Come sarebbe composto il Senato se più o meno tutti gli italiani mantenessero lo stesso voto che hanno dato nel 2006? E' una proiezione che m'interessa parecchio, dal momento che resto convinto che in Italia il bacino degli indecisi sia in realtà poca cosa (nel senso che dopo infinite discussioni con sé stessi gli indecisi italiani vanno a votare e votano più o meno per lo stesso partito per cui avevano votato nelle elezioni precedenti - come faccio io, ad esempio).

Ebbene, se le cose andassero così (se tutti gli elettori di Forza Italia e AN nel 2006 votassero PdL; se quasi tutti gli elettori DS e Margherita votassero PD, ecc. ecc.) pare che al Senato Berlusconi non riuscirebbe ad avere la maggioranza, nonostante il suo schieramento abbia perso meno pezzi di quello di Veltroni - anzi, proprio per questo motivo. E' uno dei perversi risultati del porcellum, per cui la separazione tra PD e Sinistra consente a Veltroni di usufruire del premio di maggioranza nelle regioni cosiddette rosse, Emilia Romagna e Toscana, e a portare a casa un sacco di seggi in più proprio perché vale meno voti. Il discorso in realtà è un po' più complesso, ma nel blog in questione è spiegato veramente molto bene, per cui vi ci rimando. Questo cosa significa? Beh, per prima cosa conferma un dato ben noto allo stesso Calderoli: quella legge elettorale è una porcata.

E per seconda cosa, significa che Veltroni, se ha strappato con la Sinistra per questo motivo, è un vero genio del male, a cui andrebbe tutta la mia stima, e sarei pronto a rimangiarmi tranquillamente tutto quello che ho scritto di cattivo su di lui fin qui. Forse non vincerà le elezioni, ma se riesce a pareggiarle in questa situazione sarà stato davvero bravo.
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Soluzione allo 0,5%

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Gli insradicabili

A me i radicali non riescono molto simpatici, ma forse è un problema mio. Però una volta, da piccolo lessi una frase di Pannella che mi ha segnato profondamente, tanto che mi sembra di conoscerla a memoria.
Dice "bisogna essere fedeli alle proprie convinzioni, che però possono cambiare continuamente" (per favore, amabili lettori radicali, controllate se Pannella ha veramente detto una cosa del genere, perché in caso contrario la brevetto io).

Bisogna essere fedeli alle proprie convinzioni, che però possono cambiare continuamente: che dire, sacrosanto. Come la cosa che ha detto l'altro ieri De Mita (Pannella, De Mita, non si esce vivi dagli anni Ottanta). Questo principio, che ho sempre applicato fedelmente, mi rende molto difficile spiegare la mia posizione nei confronti dei radicali, perché non solo io cambio idea molto spesso, ma anche Marco Pannella lo fa. Un esempio.

A inizio ottobre, qualche giorno prima che avessero luogo le primarie del PD dalle quali era stato ingiustamente escluso, Marco Pannella scrive una mail circolare indirizzata ad amici, simpatizzanti e Malvino, nella quale si legge (per la verità un po' a fatica), l'ipotesi di una svolta a Centrodestra della compagine radicale:

premessa: da un mese prima del manifesto dei coraggiosi, rutelliano ho formalmente dichiarato in una mia conversazione domenicale con Massimo Bordin (e ripetuto da allora in quasi tutte le domeniche successive) che occorreva, urgeva ormai preparare un “dopo” questo Governo essendo chiaro che la situazione italiana, per potere formare nuove maggioranze, comunque dovesse dare priorità assoluta alle riforme econo0mico sociali, liberali e liberiste da una parte o, dall’altra priorità alla lotta civile contro potere, prepotere e aggressione vaticana, dall’altra.
Per mio conto, a chiarissime lettere, ossessivamente, ho ripetuto che nelle presenti condizioni do senza dubbio, anche se con molta difficoltà soggettiva e oggettiva alla prima di queste due ipotesi. Cioè pagare gli scotti filoclericali, per procedere alle radicali riforme strutturali liberali e liberiste.
Come prevedibilissimo, tanto quanto probabilmente anche per te sorprendente, non abbiamo riscontrato nessuna polemica, nessuno scandalo: ma solo un silenzio totale da ogni parte.
Non sto a spiegare il perché di questa scelta; ma ci siamo messi subito all’opera, a nostro solito, anche da secchioni, per cercare di tessere rapporti, collaborazioni, azioni comuni con quanti più possibile dell’area di centro- Destra.

Così in agosto, "fra uno sciopero della fame e l’altro sulla moratoria universale contro le condanne e le esecuzioni dei boia di stato", Pannella & co. hanno redatto "un’insieme di iniziative parlamentari, di indirizzo, di controllo politiche, legislativa con l’essenziale sul welfare e su una radicale riforma pensionistica" e l'hanno inviata a una serie di esponenti del centrodestra sensibili a questi temi, senza però destare particolari reazioni. Forse perché gli esponenti erano ancora in ferie. O forse perché la roba che scrive Pannella è sempre più difficile da leggere. Chi lo sa. Però avete capito la tempistica? A fine luglio Pannella voleva a tutti i costi candidarsi a segretario del PD - segretario del PD! In agosto stava già mandando delle proposte di riforma del welfare a degli "interlocutori" di centro-destra - e nel frattempo faceva molti digiuni contro i boia di Stato. Veramente, datemi un centesimo dell'energia di quell'uomo e ve le vinco io, le elezioni.

Ora, è inutile accusare Pannella di incoerenza: lui è sempre coerente con quel che pensa. Il problema è che ne pensa cento al giorno, bontà sua. Nel Senato appena discioltosi, Pannella non è entrato soltanto per un cavillo burocratico. Se gli avessero riconosciuto quel che era suo, sarebbe stato l'Ago della Bilancia della coalizione. Uno dei tanti, certo. E nell'agosto scorso, i suoi affettuosi approcci al centro-destra sarebbero stati sufficienti a far cadere Prodi. Invece Prodi è caduto su Mastella. Cattivo Mastella, cattivo! Intrallazzone, calcolatore, traditore! Invece Pannella è immacolato. E coerentissimo con le sue idee.

Del resto quel che scrisse ad agosto è già dimenticato, ora i suoi uomini entreranno nel PD, in cambio di nove poltrone in parlamento, il 10% dei finanziamenti elettorali e probabilmente un ministero. La Bonino per la verità aveva rilanciato 15 poltrone e 5 milioni di €, ma direi che le può andare bene anche così, visto che l'alternativa era la solitudine, magari l'abbraccio mortale col vampiro Boselli, 0 scranni e 0 € in tasca. Vabbè, ma chi si cura del vil denaro.

Ecco, a dire il vero io un po' me ne curo.
Il 10% dei finanziamenti ai radicali è clamoroso, considerato che il partito è stimato intorno all'1% da solo, e allo 0,5% se apparentato. Del resto, se ho ben capito, i seggi promessi sono un forfait: che il Pd stravinca o straperda, i radicali tra MonteCitorio e PalaMadama saranno sempre e comunque 9. Per assurdo, se gli italiani volgessero bruscamente le spalle al PD ed eleggessero soltanto 9 parlamentari PD, secondo gli accordi dovrebbero essere tutti radicali. Ok, questa è un'esagerazione, però pensateci bene. Le elezioni sono tra due mesi, nessuno può ancora dire se sarà eletto o no - tranne questi 9 signori che hanno già vinto una prenotazione.
Stiamo parlando di un partito che alle elezioni di due anni fa prese il 2,6 apparentato coi socialisti, da cui nel frattempo si sono liberati, perdendo nel frattempo anche il segretario Capezzone e (per anzianità sopraggiunta) il leader carismatico. Sul serio, se valgono l'1% valgono tanto (oltre il sollievo di non sentire più i fighetti lamentarsi che "basta, stavolta voto radicale", il che ammetto, non ha prezzo).

A questo 1% però bisogna sottrarre la percentuale non infima di elettori che magari prima avrebbe votato il PD e adesso non più, dal momento che non si può indicare la preferenza. Tranquilli, tra questi non ci sono io, che ormai voterei anche Gengis Khan se si apparentasse - e poi così do una soddisfazione a Yoshi. Però qualche cattolico con la fobia dei radicali, con gli scrupoli per l'aborto o per il futuro PACS di sicuro c'è. Può starvi sulle palle, ma c'è: o meglio, c'era, nella base del PD. Una formazione politica che farà il possibile per andar d'accordo coi vescovi e coi sindacati: ecco, in Italia c'era un solo piccolo partito in grado di far arrabbiare sia i vescovi sia i sindacati: ricordate quale?

Insomma, alla fine dei conti la Bonino & co. porteranno al PD più o meno gli stessi voti che il PD perderà aprendo i cancelli per loro; in compenso succhieranno il 10% delle risorse, 9 poltrone, almeno un ministero, un bel po' di visibilità e... saranno almeno alleati affidabili?

Stiamo parlando di quelli a cui in agosto Pannella parlò di possibili convergenze con il Centro-destra, e non batterono ciglio.
Stiamo parlando di un partito il cui penultimo segretario, Daniele Capezzone, adesso si candida per il Popolo della Libertà.
Insomma stiamo parlando di persone brillanti, non si discute, e preparate, perché no, sicuramente in grado di tutelare i loro interessi, ma forse non così affidabili. Non solo, ma con loro nello stesso partito della Binetti (e nella stessa coalizione di Di Pietro) si prospettano conflittualità e tensioni che poi magari non ci saranno (e me lo auguro), ma che sono la fotocopia di quelle che affossarono la coalizione di Prodi. Si tratta di casi di trasformismo bello e buono (De Gregorio, Capezzone, la sopracitata iniziativa di Pannella) un po' più grave del diffuso mal di pancia della "sinistra radicale".

L'Unione di Prodi viene accusata dai suoi detrattori di avere imbarcato gli elementi più eterogenei pur di sconfiggere numericamente Berlusconi; ed è vero. Ma l'alternativa di Veltroni in cosa consiste? Nell'imbarcare soltanto gli elementi elettoralmente più deboli, riottosi e meno affidabili? Avevamo pensato che Veltroni preferisse perdere da solo che vincere con troppi. Non è vero: anche se perderà, si troverà in casa un sacco di gente che pretende visibilità e percentuale. Dove sta esattamente la convenienza?

Vien da pensare male, ovvero: forse il problema non era tanto correre da soli, quanto correre al centro. Qualsiasi accozzaglia bene o male assortita va bene, purché si allontani dalle istanze della sinistra. Come sempre sarò felicissimo di sbagliarmi.
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Walter è OK, noi siamo OK, Alleluja!

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Ex voti?

Oggi ho scoperto che le verità dipendono anche da chi le afferma. L'ho scoperto leggendo la seguente affermazione di un politico italiano:
"Il trasferimento in Italia di un modello statunitense si fonda più sull'indicazione del nuovo come speranza che sulla politica come soluzione dei problemi"
Beh, che dire - sacrosanto. Il problema è che il politico in questione è Ciriaco De Mita, che in 45 anni di onorato servizio in Parlamento tutti questi problemi non è che li abbia proprio risolti, eh.

La lettura dell'episodio in chiave "nuove speranze vs vecchie cariatidi" potete farvela su qualche altro blog, o al limite da soli. Io ne propongo un'altra, giusto per variare un po': la deriva protestante del PD.

Cosa significa protestante? Banalmente, significa che al concetto cattolico di "perdono dei peccati", che rende gli italiani quei lagnosi peccatori sempre pronti a pentirsi, sostituisce il concetto protestante di "grazia". Per Lutero l'uomo non si salva in virtù delle opere buone che può commettere (e che comunque sono una goccia nell'oceano della malvagità universale), ma solo perché Dio gli dona la Fede. Se hai la Fede, sei salvo. Incollo da un vecchio pezzo mio:
Quando andai in Scozia, mi capitò di andare a un paio di liturgie della locale chiesa protestante. Solo un paio di volte, per cui sarò costretto a generalizzare.
In quella situazione caso quel che mi ha stupito di più sono le parole degli Inni. In quella chiesa non facevano che cantare: Dio è grande, Dio è con me, ho trovato la via, wow. Una cosa entusiasmante, sul serio. E il sermone del pastore era sullo stesso tono.
Ora, non so se avete presente le canzoni che si cantano in una qualunque chiesa cattolica la domenica, ma vi garantisco che all'80% sono variazioni sul tema: Dio mio, che razza di povero piccolo peccatore che sono. Quando poi il prete attacca l'omelia, non fa che ribadire il concetto: ragazzi, quanti stupidi peccati avete fatto questa settimana? Perché non date più retta a quel che dice Gesù, eh, non avete sentito il Vangelo?
Una liturgia piuttosto demoralizzante, specie se ripetuta per tutte le domeniche di una vita. Ma i cattolici sono fatti così: hanno bisogno di sentirsi nel Peccato, è parte della loro quotidianità. Quello che li spinge a migliorarsi, e nei casi peggiori a tormentarsi, è l'idea di doversi liberare dal Peccato.
Come i cattolici vivono nel Peccato, i Protestanti vivono nella Grazia. Loro, se vanno in chiesa la domenica, è per sentirsi parlare della Grazia. Quanto al Peccato, non è più così difficile da individuare. È Peccato tutto quello a cui hanno rinunciato da quando vivono nella Grazia. Può essere il sesso, la droga, l'alcol, o qualsiasi altro impedimento che è stato superato, è stato vinto.
La mia ipotesi è che il PD - anche a causa dell'americanofilìa del suo segretario - stia scivolando in una deriva protestante, oltremodo favorita dalla marcia trionfale di Barack Obama, il personaggio più messianico in circolazione (via Gilioli). Tutto ciò che dice Veltroni mi sembra che suoni semplicemente: "Io sono ok, voi siete ok, se abbiamo fede ce la possiamo fare!"

Sì, ma perché "deriva"? Che problema c'è ad essere protestanti? Beh, se dovete farvi eleggere in una nazione di cultura cattolica, qualche problema c'è. Per questo lo scetticismo di De Mita nei confronti del nuovo corso non è liquidabile tanto alla leggera. De M. rappresenta un tipo di elettore insofferente alle promesse a lungo termine, più incline al do ut des immediato, verificabile entro i confini della propria circoscrizione elettorale: il fedele cattolico che a Dio non si permette di chiedere niente, ma è continuamente affaccendato a mercanteggiare davanti all'altare del Santo del Paese: se mi fai questo favore t'accendo la candela, se mi fai questa grazia ti faccio un regalino... Molto prima di andare al voto, l'Italia era la terra degli ex voto. Una riforma nel senso protestante del termine potrebbe essere un po' prematura.

Non che non ci abbiano già provato. Forse che Berlusconi non si presentava già come Uomo della Provvidenza? Forse che non ostentava i segni del suo successo, da bravo calvinista? Sì, giusto. Però Berlusconi temperava questo americanismo alla Mike Bongiorno con sane dosi di pragmatismo cattolico. Per esempio, l'enfasi sulle opere. Sapete che i cattolici, a differenza dei protestanti, credono nell'importanza delle Opere. Pur essendo gocce nel famoso oceano di malvagità, esse sono l'unica espressione della nostra fede. Questo punto di vista è bene illustrato dalla breve Lettera di San Giacomo (2,14-18):

A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: "Andate in pace, scaldatevi e saziatevi", ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta. Anzi uno piuttosto dirà: "Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede".

Berlusconi ha capito abbastanza presto che gli italiani, più che alla Fede, guardano alle Opere, o meglio: a chi gli chiede di avere Fede, rispondono "mostraci le Opere". Così l'enfasi sul Nuovo Miracolo Italiano si è sempre accompagnata a proposte concretissime: "un milione di posti di lavoro!" "Abolirò l'ICI!", ecc.. Che poi queste promesse non fossero sempre esaudibili, ha un'importanza relativa: diciamo che gli italiani non si lasciano convincere dalle visioni a lungo termine, ma amano essere coglionati con proposte il più possibile concrete. Spero che al PD ne tengano conto, mentre rifiniscono il programma.
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Sient'a me: nun ce sta nient'a fa'

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La tenuta dei cespugli

Io non credo ai sondaggi e non credo a Crespi, ma siccome non so da cosa partire farò finta di credere a un sondaggio di Crespi.
Dove peraltro mancano Ferrara e Mastella (e viene assegnato ai socialisti un incredibile 1,8, quando tutti sanno che Boselli viaggia sottozero).
Malgrado tutto ciò, il sondaggio qualche cosa la dice. Non mi riferisco tanto al fatto che Veltroni+Bertinotti+Radicali batterebbero Berlusconi, anche perché è un semplice effetto ottico: se Veltroni e Bertinotti andassero alle elezioni insieme attirerebbero meno voti, e comunque in quel caso Berlusconi, Destra di Storace e i vari Casini e Tabaccini si ricompatterebbero immediatamente. In questo senso, davvero, la picconata di Veltroni al centrosinistra ha prodotto crepe in tutto il sistema. Tutto molto bello, anche se queste nuove sigle danno un po' l'impressione di una famiglia di cinquantenni che decide di ristrutturare l'appartemento: non potendo più cambiare moglie, marito o suocera, almeno si spostano i mobili. Le facce sono più o meno le stesse, benché ripartite in ambienti diversi. Ma la metafora regge fin qui, perché mentre la tendenza in architettura da vent'anni è quella di unificare gli spazi, sventrando i muri divisori, nel condominio politico italiano è tutto un alzare di muretti, alcuni abbastanza patetici: due bagni su un piano hanno anche un senso, ma cosa ce ne facciamo esattamente di due partitini di centrodestra cattolici (ai quali va aggiunto il partitino degli atei devoti, concepito probabilmente durante un errore nel dosaggio dei farmaci)?

La cosa paradossale è che questa frammentazione arriva dopo aver insistito, per anni, sulla grande voglia di bipolarismo degli italiani. Montando sul predellino Berlusconi è arrivato alle stesse conclusioni dei dirigenti del PD: non solo gli italiani erano pazzi per il bipolarismo, ma non vedevano l'ora di passare a roba anche più forte, il bipartitismo all'americana. Era necessario dunque umiliare i cespugli (Casini, Diliberto) oppure mangiarseli (Fini, Di Pietro). Quest'analisi, secondo me, è fragile perché fondata su un postulato che nessuno si è preso la briga di dimostrare. Il postulato, sul quale poggiano le traballanti fondamenta della terza repubblica, si può formulare coi versi di un grande interprete dello spirito italiano, Alberto Sordi, quando dice: “Mazza che forti 'sti americani aho!”. Poi però, come tutti ricordano, si mangia gli spaghetti.

In altre parole: i giornalisti possono sdilinquirsi finché vogliono paragonando la corsa elettorale americana con la nostrana. In realtà i paragoni non reggono, e in particolare quello tra Obama e Veltroni non rende nemmeno onore a quest'ultimo, che è assai meno messianico e un po' più concreto. La vera differenza sta altrove: negli USA la campagna elettorale dura un anno, nel quale i candidati spendono cifre astronomiche per attirare un elettorato che è per buona parte incerto, e che fino all'ultimo giorno non sa nemmeno se andrà a votare o no. Questo enorme ventre molle in Italia non esiste. Esistono gli incerti, ma non sono tanti come in America, non si lasciano entusiasmare da campagne al 90% “emozionali” come quelle americane (e comunque in due mesi non ci sarebbe il tempo per inventarsele), e infine, anche quando decidono di votare, non si polarizzano automaticamente sui due partiti principali, come avviene negli USA. In Italia c'è una specie di granulosità del sistema partitico, che ha ragioni storiche e geografiche (la terra dei localismi, dei campanili, i guelfi, i ghibellini, ecc. ecc.). Se aggiungi che il sistema elettorale non prevede grossi sbarramenti, il risultato è più o meno quello del sondaggio di Crespi: un incredibile casino. Perché se nemmeno Berlusconi riuscirà ad avere una maggioranza al Senato, cosa succederà? Le larghe intese? Difficile: più probabilmente un accordo post-elettorale a destra con Storace, o al centro con Casini: e se vi sembra improbabile che Berlusconi e Casini facciano la pace dopo le scintille di questi giorni, ripassatevi le scenate isteriche di Fini due mesi fa, quando aveva chiuso per sempre con B.

Non solo, ma la stessa cosa potrebbe succedere a sinistra: dopo due mesi all'insegna dell'“andiamo soli”, PD e Arcobaleno potrebbero il 15 aprile fare due conti e concludere “governiamo insieme!”. È improbabile, ma non impossibile. Insomma, la gran novità di queste elezioni è che le coalizioni si faranno dopo il voto, e non prima. Così ogni candidato potrà fare una campagna più forte, e raschiare più voti dal bacino (comunque esiguo) degli incerti. Da questo punto di vista il programma di Veltroni è veramente entusiasmante: come fai a non votarlo? Basta fingere di non sapere che il PD non avrà mai abbastanza voti per realizzarlo da solo, e che al massimo dovrà annacquarlo con quelli degli altri partiti che si alleeranno con lui. L'enorme accrocco del programma dell'Unione di due anni fa era più onesto, ma assai meno convincente. In fondo un po' di voglia d'America, di grandi speranze, di volti sorridenti che scrutano l'orizzonte, c'è.

Ma c'è anche l'italianissimo forchettone. Non si spiegherebbe altrimenti la proliferazione degli ultimi mesi. Non basta mettere insieme Fini e Berlusconi per catturare l'elettorato di Forza Italia e AN: c'è una percentuale non irrisoria che non si rassegna al bipartitismo, e voterà a destra lo stesso, con o senza Fini (e qui si potrebbe aprire una brevissima discussione sull'inutilità del personaggio Fini). Allo stesso modo c'è una quantità di italiani che non vuole votare Berlusconi, ma il centro: lo sa Tabacci, lo sa Casini, lo sa Mastella. Forse un giorno gli italiani si stancheranno di infrattarsi nei cespugli elettorali, che garantiscono una maggiore identificazione regionale o clientelare, ma quel giorno non sarà domani. Almeno un italiano su cinque continuerà a votare per loro, rendendoli indispensabili a qualsiasi coalizione di governo. Il risultato insomma sarà un ritorno alla cosiddetta Prima Repubblica: il bi-, tri- o quadripartito si costruirà dopo le elezioni. È una prospettiva poco esaltante ma è persino preferibile all'unica concreta alternativa: Berlusconi che vince tutto da solo, tagliando alle ali Casini e Storace. Allora sì che saremmo veramente passati all'America: soltanto un'America populista, senza potenza militare e petrolio da buttare via. Più o meno la Colombia, insomma.
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il coraggio di una faccia

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Una faccia senza confini.
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tutte le aziende al popolo, tutto il popolo all'azienda

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Cara Sinistra italiana,
io e te non siamo sempre andati d'accordo, ma francamente non riesco a sopportare l'ingratitudine e la faccia tosta con la quale il PD ti ha messo alla porta. Dopo tanti sacrifici. Ora però bisogna reagire. So che in realtà molti dei tuoi elettori stanno già festeggiando la sconfitta, masochisti come sono. Ecco, lasciali perdere quelli. E scordati di candidare Bertinotti! Il vecchietto è molto popolare solo tra una parte dei tuoi, e rischia di mandare gli altri in braccio a Veltroni. Vendola sarebbe già cento volte meglio, ma io credo di averne trovato uno anche migliore. Sì, dico proprio lui.


Il Presidente Operaio.

Pensaci bene. Questo è il momento giusto. Sa di dover vincere, sa di avere tutte le carte giuste in mano, eppure è inquieto. Sa che l'avversario bluffa, ma darebbe qualsiasi cosa per fermare quel tremore alle mani. Si è mangiato l'inutile Fini, ma alla fine rischia di averlo solo trasferito i voti postfascisti su Storace. Ha umiliato Casini, ma nel frattempo gli ex casinidi sono fuoriusciti pure loro. Pure la Lega, da anni appollaiata sulla sua spalla, ora è sul chi vive: sembra che aspetti un momento di distrazione per cavargli un occhio... insomma, proprio nel momento in cui sa di dover vincere, è più forte la paura di non farcela. E proprio in quel momento arrivate voi: Toc toc, chi è? La Sinistra Arcobaleno! Oh, l'arcobaleno, finalmente un segno di speranza.

Dite che non vi riceverà? E perché? Ah, già, perché siete comunisti, o almeno post. E quindi vi metterà alla porta, come fece con Giuliano Ferrara, Ferdinando Adornato, Sandro Bondi, Vladimir Putin, devo continuare? Suvvia. Se c'è uno che ha dato e dà retta ai postcomunisti, questi è lui. Da questo punto di vista ha persino precorso i tempi. Garantisco che vi ascolterà con più attenzione e meno preconcetti di Veltroni. Lui ha ampie vedute, la volta scorsa mise Forza Nuova e De Michelis nello stesso calderone, perché non dovrebbe fare un pensierino pure a voi, che portate molti ma molti più voti? I voti non puzzano.

Cosa gli offrirete?
Nulla che non abbia già proposto lui: un Partito del Popolo. Ma del Popolo veramente, nel senso che aveva la parola nella Cina di Mao: via le vecchie consorterie, solo lui, la piazza e un microfono. È tempo di svelarvi il Terzo Segreto di Pulcinella: se c'è qualcosa che ha sempre invidiato alle sinistre, sono quelle belle piazze piene di gente che viene da tutt'Italia mettendo i soldi del viaggio di tasca sua. Con tutta la sua organizzazione e il suo capitale, delle chiassate tanto bene organizzate non è ancora riuscito a combinarle. Bene, questa è appunto la vostra specialità. Senza di voi lui sarà sempre un Peronista fallito. Ma con voi...

Cosa chiederete in cambio?
Siate realisti: chiedete l'impossibile. Ormai sono finiti i tempi grami in cui eravate fidanzati con quel tirchio di Prodi. Ora uscite col Golden Boy, dovete solo chiedere. Se lo conoscete appena un po', sapete con che gioia soddisfa i desideri di chi lo ama. Per cui: pensioni più eque? Certo. Riaggiustare lo scalone? Anzi, aboliamolo. Io mi spingerei più in là: tutti i precari assunti a tempo indeterminato entro il 2009. Si può fare! Vi ricordate il milione di posti di lavoro? È poco, buttiamone sul tavolo almeno un paio, e naturalmente meno tasse per tutti! E i rifiuti, in Germania col Pendolino! E la scala mobile? Si potrebbe riavviare. Parlategliene.

Non abbiate paura. Non è quel liberista che sembra – fosse per lui, non avrebbe liberizzato nemmeno una cabina telefonica. In fondo è un monopolista nato, uno che se fosse nato qualche migliaio di km più a est sarebbe diventato un meraviglioso funzionario del partito comunista jugoslavo o ungherese. È una vita che le sue aziende sguazzano in un mercato privo di concorrenza sfornando prodotti scadenti: pensate solo alla roba che trasmette Canale5. Non è francamente squallida? Canale5 è la cosa più simile alla Trabant che sia mai stata prodotta in Italia. Un imprenditore tanto insofferente della concorrenza quanto poco interessato alla qualità dei suoi prodotti non può essere un vero liberista.

Viceversa, se c'è qualcuno che potrebbe cominciare un processo di ri-nazionalizzazione, quegli è lui. Dovete soltanto fargli capire che, una volta diventato Presidente del Popolo, le espressioni “Stato” e “Mia azienda” diventeranno sinonimi. E da quell'orecchio ci sente, credetemi. A quel punto, proponetegli di nazionalizzare la luce, il gas, l'acqua. Vedrete che non resterà insensibile.
E se ci tenete ancora alla lotta anti-globalizzazione, senz'altro Berlusconi vi lascerà degli spazi che Veltroni non si potrebbe immaginare - tanto più che avrete alleati importanti. Lo avete mai sentito Tremonti, quando parla della Cina o del WTO? Più o meno è sulle stesse posizioni di Caruso, ma non semina piantine a Montecitorio, lui.

Più ci ripenso, e più mi sembra fattibile. L'avete letto Scalfari, domenica? Il patto tra operai e borghesia? Ebbene, se l'Italia dev'essere salvata da un patto così, perché devono essere proprio Veltroni e Montezemolo a farlo? Perché non possono essere Giordano e Berlusconi? Giordano conosce senz'altro meglio gli operai, e Berlusconi i borghesi.

Questo è l'unico vero cambiamento. Superare le divisioni, gli inutili rancori, i processi in prescrizione. Una grande riconciliazione nazionale tra due forze importanti del nostro Paese che hanno capito che il futuro dell'Italia è cosa troppo seria per lasciarla ai veltroncini. E allora, coraggio, ancora un piccolo sforzo. La seconda repubblica sta finendo. O era la terza. Chi se ne frega. Dalle sue ceneri deve nasce qualcosa di veramente nuovo. Vieni avanti, Teopop.
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the Lone Walter

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- In difesa del fratello brontolone.

Io non vorrei diventare quello che parla male di Veltroni ad ogni costo; tuttavia credo che la sua decisione di mandare il PD da solo allo sbaraglio sia sbagliata. Onestamente spero che si tratti di un bluff, e che le prossime ore portino a un accordo di qualche tipo con la sinistra-arcobaleno. Purtroppo non riesco a condividere gli entusiasmi di molti per la svolta solitaria del PD; il coraggio dei suoi dirigenti lo apprezzerei di più se la posta in gioco non fossero altri cinque anni della vita mia e della mia famiglia. Detto questo, quando Veltroni tirerà fuori dal cappello l'arma segreta e roderà a Berlusconi i 10-15 punti che gli servono, io sarò il primo a rallegrarmi di essermi sbagliato. Sono anche disposto ad atti di umiliazione rituale (tagliarmi la barba, baciare il Cragno, guardare Amici di Maria De Filippi). E tuttavia, anche in caso di vittoria finale, continuerò a non capire per quali motivi il PD e la Sinistra non avrebbero potuto andare alle elezioni insieme. Non sto parlando di un'ammucchiata tra 10 partiti con priorità diverse: sto parlando di un'alleanza programmatica tra due forze che hanno già collaborato. Non se lo merita, la Sinistra? Non ha davvero fatto nulla di buono in questi due anni?

Il libro che va per la maggiore tra i delegati Pd, il Vangelo, parla di due figli che un padre manda a lavorare una vigna (Mt 21,28). Il primo dice: “Vado”, e non ci va; il secondo nicchia, si lagna, ma alla fine ci va. Domanda: chi dei due ha veramente compiuto la volontà del padre? Ok, era facile. Un'altra domanda, allora: chi dei due assomiglia di più alla sinistra verde-rifondarola?

Che la sinistra abbia brontolato parecchio, in questi due anni, è un fatto. Invece di ringraziare ogni giorno Dio o il caso per aver concesso la maggioranza a Prodi, i compagni non hanno mai smesso di lamentarsi. Si lagnavano per le pensioni (e alla fine il governo le ha calate), si lagnavano perché restavamo in Afganistan (e ci siamo rimasti). Si lagnavano per la base NATO di Vicenza (il governo ha confermato l'allargamento della base), per il TAV (nessun passo indietro). Per il crollo dei salari dei dipendenti (che crollo era e crollo è rimasto, mentre i manager facevano affari). Per le morti sul lavoro (siamo saldamente i primi in Europa). Per la legge sul conflitto d'interessi (una sciocchezza che non interessa nessuno...) E per tanti altri motivi, troppi motivi, con un solo dettaglio comune: erano motivi seri. Un'enorme guarnigione militare straniera in una città italiana è un problema serio: si può discutere se conti più la realpolitik o la qualità della vita degli abitanti, e sarà una discussione seria. Una guerra in Afganistan non è una sciocchezza. La TAV non è una sciocchezza, la sicurezza sul luogo del lavoro non lo è. Erano argomenti forti, dei quali era giusto discutere, e se il governo fosse caduto durante dibattiti del genere, sarebbe caduto in piedi. Invece è caduto per una melina elettorale, o per le grane giudiziarie della signora Mastella. È franato al centro, questo governo, ricordiamolo sempre. Non è stato il figlio brontolone a buttarlo giù. È stato il figlio modello, quello che dice sempre di sì, pieno di buon senso, latitante nel momento del bisogno.

La polemica contro i compagni brontoloni, prigionieri dei loro ideali, incapaci di venire a patti con la realtà, è un vecchio cavallo di battaglia di questo sito. Una volta (non ricordo dove) l'ho anche scritto: io sono un orfano del 1998, non mi sono più ripreso dallo spettacolo di Bertinotti che affonda il Prodi Uno a causa delle... 35 ore. L'altra pietra di scandalo fu la campagna elettorale del 2001, ai tempi in cui faceva molto fine scrivere al Manifesto forbite letterine in cui si dettagliavano i motivi della propria astensione. Continuo a pensare che l'astensionista di sinistra sia stato uno dei principali responsabili dello sfacelo di questi anni. Il fatto è che credo lo abbia capito anche lui. Mi sembra di poter dire che abbiamo fatto la pace. Lui brontola ancora molto, ma quando c'è da andare nella vigna a salvare la maggioranza, lo fa. Lo ha sempre fatto. Se volessimo per una volta giudicare le persone per le loro azioni, e non per le lagne, ci accorgeremmo che negli ultimi due anni la classe dirigente della sinistra ha dato prova di una compattezza e di un'abnegazione che altrove non si sono viste. E stiamo parlando di partiti che sono radicati tra i pensionati e i dipendenti, che spesso hanno dovuto turarsi il naso e mantenere la fiducia a un governo che continuava a rosicchiare risorse alle loro categorie di riferimento: il minimo che ci si poteva aspettare era che si lagnassero un po': che altro avrebbero dovuto fare? Sorridere ai loro elettori, mentre tradivano il loro mandato elettorale?

Negli ultimi mesi avevano anche cominciato a federarsi: certo, il processo è stato molto più lento di quello del PD, ma era in corso. Veltroni sostiene che è impossibile governare con 14 partiti: ha ragione, ma ormai nessuno gli chiede questo. Un patto PD+Arcobaleno sarebbe già una notevole semplificazione: dopotutto neanche il bipartitismo americano è stato costruito in un giorno.

Invece al PD hanno deciso che corrono da soli (o al limite con Di Pietro, persona non proprio di sinistra ma perbene, che tende tuttavia a imbarcare con sé i peggiori trasformisti. Ce lo siamo scordati De Gregorio?). Salvo ripensamenti, la Sinistra è fuori. Si è mantenuta disciplinata e compatta per due anni, votando quasi sempre contro i suoi immediati interessi: e non è servito a nulla. Non è servito a niente perdere la faccia con la base elettorale pacifista, votando il rifinanziamento alla missione in Afganistan. Non è servito acconsentire all'innalzamento dell'età pensionabile. In sostanza, l'ex fratello brontolone ha scoperto che in politica i sacrifici e la maturità non pagano. (A sinistra; dall'altra parte c'è Berlusconi che, quando vince, porta un bel cesto di doni per tutti, senza scordarsi di nessuno: qualche sgravio fiscale per i monelli leghisti, un bel condono per gli autonomisti siciliani, e a Gianfranco cosa gli do, mah... un'altra fiction sull'Agro Pontino?) Si gettano qui le basi per la prossima generazione di estremisti duri e puri, che chiederanno l'impossibile ben sapendo di non avere nessuna possibilità di ottenere nulla. Tantovale fare gli eroi, no? Almeno si fa colpo sulle ragazze.

Può darsi che Veltroni ritenga di poter vincere meglio senza il peso di questi lagnosi alleati, che tuttavia rappresentano un pezzo di Paese non piccolo: quello che più ha pagato e pagherà la congiuntura economica. Oppure – e in molti lo hanno suggerito – il PD va da solo non per vincere contro Berlusconi, ma per succhiare voti agli ex alleati, col classico ricatto “o voti per me o ti tieni Berlusconi”. È un ricatto a cui probabilmente cederò anch'io. Col risultato di trovarmi, alla fine, non solo Berlusconi al governo, ma Veltroni leader incontrastato di un'opposizione molto sbilanciata al centro. E questo sarebbe il disastro finale, non tanto per me, ma per la classe sociale di cui faccio parte, e che il PD può rappresentare solo fino a un certo punto.

Può darsi che comunque alla fine lo voti, questo Veltroni cavaliere solitario. Non ne sono ancora sicuro. Sono invece certo di una cosa: nei prossimi due mesi mi lagnerò parecchio. Perdonatemi. Sembra proprio che alla fine io sia più di sinistra di quanto non pensassi.
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un Ottimista ben informato

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Unicorni

Vivere in un regime di Campagna Elettorale Permanente non è tanto bello, lo sappiamo. Litigi continui in tv, il Parlamento sempre in bilico... è una vitaccia.
Ma ha i suoi lati positivi: per esempio, ci dà la possibilità di misurare la serietà dei candidati quando si confrontano con i problemi di attualità.

Prendiamo l'emergenza dell'ultima settimana, la crisi dei rifiuti. In un altro Paese i riflettori sarebbero soltanto sul Governo e sulle amministrazioni locali, che dovrebbero difendersi dalle accuse, giustificarsi, recriminare, ecc.. Tutto abbastanza scontato, e anche inutile, visto che Prodi ormai parla con la valigia in mano.

Invece, grazie alla Campagna Elettorale Permanente, abbiamo avuto la possibilità di sapere nel giro di poche ore cosa ne pensano i due candidati, Berlusconi e Veltroni, e cosa intendono fare non appena li eleggeremo (molto presto!) Ognuno ha potuto leggere le loro interviste e guardarli parlare dalle principali tribune tv, ognuno ha potuto confrontare le diverse soluzioni proposte dai due a questo enorme problema che ci angoscia tutti quanti.

E' confortante sapere che, quando esplode un'emergenza vera, sentita dalla gente, i due candidati se ne accorgono subito, smettendo di cincischiare di leggi elettorali ed altri tecnicismi interessanti per pochi. E' una cosa che dà speranza, e restituisce anche un senso di serietà alla competizione elettorale: ora che so cosa vuole seriamente fare Veltroni sui rifiuti, lo posso confrontare con quello che concretamente ha intenzione di fare Berlusconi sui rifiuti. Tutto molto semplice e molto chiaro.

Io non so voi, ma i due paginoni della Repubblica e del Corriere con le mega-interviste a Veltroni e Berlusconi sull'emergenza rifiuti le ho appese al muro della mia stanza, e le sto studiando intensamente da un par di giorni, perché voglio capire davvero chi dei due ha veramente preso le misure al problema. A sinistra ho messo Veltroni, a destra c'è Berlusconi, e in mezzo c'è un poster che ho ricavato da uno scatto su flickr, che mostra un rarissimo esemplare di unicorno albino mentre punta una zebra con evidenti intenzioni sodomite. Lo so, ho dei gusti un po' così.

Come dite? Gli unicorni non esistono?
Ma dai, impossibile, c'ho la foto.
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anche io corsivista

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State arrivando in parecchi, qui, ma non è che ci sia molto di intelligente da dire, per ora.
Facciamo così: metto su il pezzo del 14 aprile, scritto mentre il governo Prodi scalciava ancora in grembo. Rileggerlo col senno del poi fa un certo effetto. Segue dibattito.
Muori giovane, lascia un bel cadavere

Le illusioni sono dolorose, io se posso cerco di farne a meno. Mi sarebbe piaciuto dire e scrivere in questi giorni che il Grande Comunicatore era stato battuto da un nonnetto reggiano (come a dire, il Grande Chiunque). Mi sarebbe piaciuto dire e scrivere che la decennale campagna elettorale permanente era finita: ma non è andata così. Io non credo che Prodi abbia vinto, non credo che governerà per cinque anni; e non dovrebbe nemmeno provarci. Ci sono persino precedenti: nella primavera 1994 Berlusconi formò un governo con una maggioranza in Senato di un solo seggio (e non era un seggio eletto nelle liste del Polo); e nell'autunno del 1994, ai primi capricci di Bossi, Berlusconi tornò a casa. A Prodi succederà lo stesso, prima o poi: gli alleati bizzosi non mancano. Volendo possiamo anche iniziare a scommettere su quando Bertinotti aprirà la crisi (ed è un bene che possa farlo solo Bertinotti e non Capezzone).

Quel che un governo Prodi dovrebbe fare, secondo me, è morir giovane e lasciare un buon ricordo. L'esatto contrario di quello che fece D'Alema nel 1998 proseguendo a oltranza la legislatura. Prodi non può vivacchiare per cinque anni blandendo alleati e pubblica opinione: ma se scontentando qualcuno riesce a darci, in pochi mesi o anni, un'impressione positiva, anche solo una vibrazione, l'idea che si può essere felici anche senza Berlusconi – allora sì, ne sarà valsa la pena, e potremo tornare alle urne con più tranquillità. Viceversa, se Prodi fa un guaio ci siamo giocati anche le rielezioni.

Con questo non voglio dire che Prodi debba tagliarci le tasse, perché non ha senso mettere in commercio una brutta copia di Berlusconi sperando che qualcuno lo preferisca all'originale. Gli elettori che nell'urna pensano all'ICI e al 740 sono il pubblico ideale di B., e c'è un limite oltre al quale non ha senso rincorrerli. Fortunatamente non tutti sono ossessionati dall'idea di pagare una tassa in meno. C'è anche chi guarda alla qualità dei servizi, e non sono necessariamente snob di sinistra. I pendolari, ad esempio. Se Prodi manda a casa quella cricca di sedicenti manager che ha spappolato le già non brillanti Ferrovie di Stato, molte persone ne trarranno un beneficio improvviso e quotidiano. Idem si potrebbe dire per le Poste, o per le scuole (ma la scuola è una macchina complicata, ci mette anni a migliorare, e Prodi tutto questo tempo non ce l'ha). E la televisione – lo so, ci sono cose più importanti, ma lo stralcio immediato della legge Gasparri e la scomposizione del duopolio televisivo potrebbe portare una ventata di novità nelle case di tutti gli italiani: insieme alla dimostrazione che si può fare tv anche meglio di come l'ha fatta B.

Un altro colpo sicuro è il fantasma di tutta la campagna elettorale, e cioè la guerra. Si sa come Berlusconi non ami parlarne. Anzi, credo che un confronto storico delle prime pagine dei quotidiani degli ultimi cinque anni ci dimostrerebbe che Berlusconi e la guerra erano due argomenti repellenti. Come l'acqua e l'olio: quando parliamo di Berlusconi smettiamo di parlare della guerra, e viceversa.
Tutto questo è paradossale, da parte di un Presidente che è stato per lungo tempo Ministro degli Esteri ad interim, e che ha trascinato l'Italia in una guerra contro l'opinione della maggioranza degli italiani. Il ritiro dall'Iraq (e dall'Afganistan) non piacerà agli americani e forse andrà contro alcuni nostri interessi economici (ammesso che gli interessi dell'ENI e delle industrie italiane d'armi siano i nostri). Però è un sistema spiccio per fare la differenza nei confronti degli elettori: se B. ci ha trascinato in una guerra, esponendoci al terrorismo islamico, P. deve essere quello che ci tira fuori in tempi brevissimi. Anche perché tra un poco rischia di cominciare la partita in Iran, ed è una partita molto più grande di noi.

Ai filoamericani vorrei ricordare, rispettosamente, che non è in ballo il destino della democrazia in Medio Oriente. Quello lo stanno difendendo [male] gli angloamericani. Noi stavamo semplicemente pattugliando qualche pozzo: tutt'intorno la Storia si fa con o senza di noi. Ma sul serio, non la trovate imbarazzante, questa nostra partecipazione omeopatica alla grande guerra al Terrore?

Migliorare alcuni servizi, toglierci dal vespaio mediorientale – privilegiare gli interventi che si possono fare rapidamente. Insomma, quello che io chiedo a Prodi è né più né meno che un governo elettorale. Precisamente. Perché siamo ancora in campagna elettorale, non c'è niente da fare. Prodi deve soprattutto piacerci.

E mi rendo conto che non è la persona più adatta a farlo. In effetti, lo avevamo scelto proprio come antidoto alla fascinazione berlusconiana. Dopo cinque anni di allegra anarchia, Prodi doveva ridurci a più miti consigli e riportarci in Europa, come dieci anni fa (lo schema dell'alternanza in fondo è questo: la destra ci fa sognare, la sinistra ci riporta coi piedi per terra, ma dopo un po' ci torna la voglia di sognare e rivoltiamo a destra, ecc. ecc.). Stavolta l'Europa dovrà capirci: siamo un Paese in difficoltà, un Paese in via di deberlusconizzazione. Serviranno anni e sono possibili ricadute, quindi è inutile fare gli schizzinosi coi bilanci. Tanto più che finché B. resta in circolazione, tutta l'Europa è a rischio contagio.

Infine vorrei poter dire che in questa strisciante opera di deberlusconizzazione, Prodi può contare su un alleato prezioso: Berlusconi stesso, che in questi giorni si sta accreditando presso gli italiani come un isterico che non sa perdere. Vorrei poter dire che altri due-tre mesi di questo Berlusconi antipatico in tv dovrebbero risolverci il problema: i perdenti non piacciono a nessuno, i perdenti isterici poi. Ma non ne sono del tutto sicuro. B. ormai è un veterano della politica: sa stare all'opposizione, c'è stato sette anni, anzi gli riesce meglio che governare. E c'è una metà del Paese a cui B. piace esattamente così: arrogante e meschino. E lui deve dare alla gente quel che la gente vuole, è la sua missione.


Il dibattito, dicevo. Beh, senza farla troppo complicata, in questi nove mesi:
* Le tasse non sono calate, (grazie tante).
* Qualche servizio cominciava timidamente a migliorare.
* Ma non certo i treni, anzi lì è aumentato soltanto il prezzo del biglietto.
* Ci siamo ritirati dall'Iraq (l'avrebbe fatto anche Berlusconi, lo sta per fare Blair), ma ci siamo fatti infinite masturbazioni mentali sul nostro ruolo in Afganistan.
* Prodi, essendo economista di formazione, ha messo molta enfasi sul rinsanamento del bilancio - l'eterno incubo italiano, da Ricasoli in poi. Continuo a pensarla come dieci mesi fa: il bilancio non è tutto. L'Europa doveva capire che in Italia c'è una priorità più grave dei bilanci. Si chiama berlusconismo ed è un virus pericoloso. Non glielo abbiamo saputo spiegare e lei non lo ha voluto capire.

La palla a voi
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- non c'è limite al peggio

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Meditazione davanti al bicchiere mezzo vuoto


- Si stava meglio se si stava peggio


Una settimana fa andai a letto stupido. Pensavo: cos'ho fatto di male per nascere qui? E cosa c'è di peggio di perdere le elezioni per un soffio?
Mi sbagliavo, perché ero stupido. Qualcosa di peggio c'è, e ho iniziato ad accorgermene il mattino seguente: vincere le stesse elezioni per un soffio. Ora sto giocando a tennis in salita, e il servizio è mio.

Quello che una settimana fa appariva un incubo, oggi si presenta con le tinte rosee di un sogno. Ci pensate? Martedì scorso Berlusconi proclama la vittoria per 25.000 voti alla camera e –x al Senato. Dal centrosx si leva qualche timida accusa di brogli, ma si smorza subito. Di grande coalizione non parla nessuno, a parte Mastella, ma nessuno lo ascolta.
Dopo il panico iniziale, il centrosx si rende conto di navigare in un mare di opportunità. Berlusconi ha perso voti e popolarità rispetto a 5 anni fa, non potrà certo andare al Quirinale (ci andrà un qualsiasi democristo). Dovrà limitarsi a un aborto di governo con due seggi di scarto al Senato, tra i lazzi della stampa estera e interna. Gli alleati ormai lo odiano, ma non possono più fare senza di lui. Il referendum confermativo è un disastro, la Lega vuole smarcarsi. Lui è nervoso, già prima si sentiva limitato nei suoi poteri dai ministri e dal Parlamento, ora è pure peggio. Al primo Dpef, cola a picco. A questo punto si fa un Dini Due; se Dini nel frattempo è morto (in effetti è da un po' che non ne sento parlare) va bene un qualsiasi democristo: e a settembre si rivota. Esagero? Si vota tra un anno. Berlusconi non ha certo guadagnato popolarità, nel frattempo. Intanto però il centrosx ha avuto il tempo per trovarsi un candidato più giovane, sexy e settentrionale (per ora il più simile all'identikit è Fassino, ma si può fare di meglio).

Bello, no?
Non resta che sperare nella Cassazione.

- Compagni, avanti, il gran Partito
Noi siamo, dei… dei… dei…


In un Paese isterico, un Paese inesistente, dove va di gran moda l'Identità e tutti ne cercano una, tutti atei e devoti a scavare come matti in cerca di radici a cui attaccarsi (ché verrebbe voglia di risotterrarli e Amen); in un posto del genere dove pur di esistere la gente è disposta a ufficiare riti Celtici, ripeto: Celtici; dove milioni di Signori Nessuno si fanno un vanto di essere Liberali, o Cattolici, o Conservatori, o Comunisti, come se un aggettivo con la lettera maiuscola fosse sufficiente a risolvere il problema circa la loro identità; in un Paese del genere dove se non riesci a essere Nessuno, hai pur sempre la scappatoia: puoi essere un AntiNessuno: un Anticomunista, un antiliberale, un anticlericale… in un Paese del genere, dove di programmi non si parla da secoli perché diciamolo, come si fa a parlare di programmi in mezzo a gente che ha paura di Non Esistere? Ha più senso sbandierare drappi colorati; in un Paese così, i due principali partiti dello schieramento progressista decidono di mettersi assieme sotto l'insegna, l'insegna, l'insegna… del nulla.

Comunisti? Noooo.
Cattolici? Ma sì, un po', ma mica tanto, eh. Niente croci, qualcuno si potrebbe spaventare.
Liberali? Certo! Però poco… altrimenti poi qualcuno pensa che vogliamo liberare chissaché.
Progressisti? Ma per forza. Però con molta calma, eh.
L'Ulivo? L'Ulivo è una gran pianta, ma non esageriamo, poi la gente pensa che siamo ancora quelli del '96, e in effetti è così, ma è meglio suggerire che…
L'Unione. Perfetto. Unione di che? Non importa, adesso. Siamo Uniti, quindi Siamo.

Niente identità, che è troppo compromettente.
La Gente, si sa, la Gente, potrebbe sospettare che anche noi esistiamo, che abbiamo delle Idee, degli Ideali, dei Valori, roba troppo impegnativa, non conquisteremo mai gli Indecisi in questo modo, no?
"Già, e come allora?"
Li conquisteremo se riusciamo a non dire nulla di decisivo fino all'ultimo: per esempio, le tasse, chi non vorrebbe pagarle meno? Ma anche i servizi: chi non vorrebbe averli migliori? Sempre così, fino all'ultimo giorno: meno tasse, meglio servizi, meno tasse, meglio servizi, li intercetteremo così, gli indecisi: spostando continuamente la coperta corta di qua e di là.
Questa idea di conquistare gli Indecisi mimetizzandosi tra loro, diventando Indecisi come loro, questa idea è persino affascinante, da tanto è demenziale.
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- anche tu corsivista

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Muori giovane, lascia un bel cadavere

(Ogni tanto va ripetuto: qui non c'è niente di speciale. C'è solo un signore che invece di comprare il giornale, di notte sta alzato e si scrive gli editoriali da solo).

Le illusioni sono dolorose, io se posso cerco di farne a meno. Mi sarebbe piaciuto dire e scrivere in questi giorni che il Grande Comunicatore era stato battuto da un nonnetto reggiano (come a dire, il Grande Chiunque). Mi sarebbe piaciuto dire e scrivere che la decennale campagna elettorale permanente era finita: ma non è andata così. Io non credo che Prodi abbia vinto, non credo che governerà per cinque anni; e non dovrebbe nemmeno provarci. Ci sono persino precedenti: nella primavera 1994 Berlusconi formò un governo con una maggioranza in Senato di un solo seggio (e non era un seggio eletto nelle liste del Polo); e nell'autunno del 1994, ai primi capricci di Bossi, Berlusconi tornò a casa. A Prodi succederà lo stesso, prima o poi: gli alleati bizzosi non mancano. Volendo possiamo anche iniziare a scommettere su quando Bertinotti aprirà la crisi (ed è un bene che possa farlo solo Bertinotti e non Capezzone).

Quel che un governo Prodi dovrebbe fare, secondo me, è morir giovane e lasciare un buon ricordo. L'esatto contrario di quello che fece D'Alema nel 1998 proseguendo a oltranza la legislatura. Prodi non può vivacchiare per cinque anni blandendo alleati e pubblica opinione: ma se scontentando qualcuno riesce a darci, in pochi mesi o anni, un'impressione positiva, anche solo una vibrazione, l'idea che si può essere felici anche senza Berlusconi – allora sì, ne sarà valsa la pena, e potremo tornare alle urne con più tranquillità. Viceversa, se Prodi fa un guaio ci siamo giocati anche le rielezioni.

Con questo non voglio dire che Prodi debba tagliarci le tasse, perché non ha senso mettere in commercio una brutta copia di Berlusconi sperando che qualcuno lo preferisca all'originale. Gli elettori che nell'urna pensano all'ICI e al 740 sono il pubblico ideale di B., e c'è un limite oltre al quale non ha senso rincorrerli. Fortunatamente non tutti sono ossessionati dall'idea di pagare una tassa in meno. C'è anche chi guarda alla qualità dei servizi, e non sono necessariamente snob di sinistra. I pendolari, ad esempio. Se Prodi manda a casa quella cricca di sedicenti manager che ha spappolato le già non brillanti Ferrovie di Stato, molte persone ne trarranno un beneficio improvviso e quotidiano. Idem si potrebbe dire per le Poste, o per le scuole (ma la scuola è una macchina complicata, ci mette anni a migliorare, e Prodi tutto questo tempo non ce l'ha). E la televisione – lo so, ci sono cose più importanti, ma lo stralcio immediato della legge Gasparri e la scomposizione del duopolio televisivo potrebbe portare una ventata di novità nelle case di tutti gli italiani: insieme alla dimostrazione che si può fare tv anche meglio di come l'ha fatta B.

Un altro colpo sicuro è il fantasma di tutta la campagna elettorale, e cioè la guerra. Si sa come Berlusconi non ami parlarne. Anzi, credo che un confronto storico delle prime pagine dei quotidiani degli ultimi cinque anni ci dimostrerebbe che Berlusconi e la guerra erano due argomenti repellenti. Come l'acqua e l'olio: quando parliamo di Berlusconi smettiamo di parlare della guerra, e viceversa.
Tutto questo è paradossale, da parte di un Presidente che è stato per lungo tempo Ministro degli Esteri ad interim, e che ha trascinato l'Italia in una guerra contro l'opinione della maggioranza degli italiani. Il ritiro dall'Iraq (e dall'Afganistan) non piacerà agli americani e forse andrà contro alcuni nostri interessi economici (ammesso che gli interessi dell'ENI e delle industrie italiane d'armi siano i nostri). Però è un sistema spiccio per fare la differenza nei confronti degli elettori: se B. ci ha trascinato in una guerra, esponendoci al terrorismo islamico, P. deve essere quello che ci tira fuori in tempi brevissimi. Anche perché tra un poco rischia di cominciare la partita in Iran, ed è una partita molto più grande di noi.

Ai filoamericani vorrei ricordare, rispettosamente, che non è in ballo il destino della democrazia in Medio Oriente. Quello lo stanno difendendo gli angloamericani. Noi stavamo semplicemente pattugliando qualche pozzo: tutt'intorno la Storia si fa con o senza di noi. Ma sul serio, non la trovate imbarazzante, questa nostra partecipazione omeopatica alla grande guerra al Terrore?

Migliorare alcuni servizi, toglierci dal vespaio mediorientale – privilegiare gli interventi che si possono fare rapidamente. Insomma, quello che io chiedo a Prodi è né più né meno che un governo elettorale. Precisamente. Perché siamo ancora in campagna elettorale, non c'è niente da fare. Prodi deve soprattutto piacerci.

E mi rendo conto che non è la persona più adatta a farlo. In effetti, lo avevamo scelto proprio come antidoto alla fascinazione berlusconiana. Dopo cinque anni di allegra anarchia, Prodi doveva ridurci a più miti consigli e riportarci in Europa, come dieci anni fa (lo schema dell'alternanza in fondo è questo: la destra ci fa sognare, la sinistra ci riporta coi piedi per terra, ma dopo un po' ci torna la voglia di sognare e rivoltiamo a destra, ecc. ecc.). Stavolta l'Europa dovrà capirci: siamo un Paese in difficoltà, un Paese in via di deberlusconizzazione. Serviranno anni e sono possibili ricadute, quindi è inutile fare gli schizzinosi coi bilanci. Tanto più che finché B. resta in circolazione, tutta l'Europa è a rischio contagio.

Infine vorrei poter dire che in questa strisciante opera di deberlusconizzazione, Prodi può contare su un alleato prezioso: Berlusconi stesso, che in questi giorni si sta accreditando presso gli italiani come un isterico che non sa perdere. Vorrei poter dire che altri due-tre mesi di questo Berlusconi antipatico in tv dovrebbero risolverci il problema: i perdenti non piacciono a nessuno, i perdenti isterici poi. Ma non ne sono del tutto sicuro. B. ormai è un veterano della politica: sa stare all'opposizione, c'è stato sette anni, anzi gli riesce meglio che governare. E c'è una metà del Paese a cui B. piace esattamente così: arrogante e meschino. E lui deve dare alla gente quel che la gente vuole, è la sua missione.
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- aguzzate la vista

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Gli identikit e i sondaggi: cos'hanno in comune?

Niente. Sono solo gli argomenti di oggi. A volte nei blog si fa così: si pigliano i due fatti del giorno, li si frulla insieme, e ci si crede intelligenti. Prendete nota, ché capiterà anche a voi.

Gli identikit, come i sondaggi, devono dosare realismo e fantasia. Tradurre sensazioni in dati oggettivi – che poi oggettivi non sono mai. In parte è scienza, ma la premessa è pura magia: dalla foto di un ragazzo, tirar fuori un uomo anziano. Da qualche agguato a un seggio, tirar fuori un risultato nazionale. I disegnatori di identikit, come i rilevatori di sondaggi, si muovono sulla lama sottile tra soggettività e luogo comune. Metà professionisti metà ciarlatani, fanno un mestiere ad alto rischio di errore.
E infatti ultimamente prendono cantonate clamorose. Perdonate se continuo a battere sul tasto, ma un blog serve anche a questo. Gli exit poll sono sondaggi molto costosi e rischiosi, che costano quattrini alla collettività, con l'unico risultato di causare malessere psicologico e anche fisico almeno a una parte della collettività. (Io, per dire, ho avuto un'eruzione cutanea). Gli identikit dovrebbero aiutarci a lottare contro il crimine – ma chi lo avrebbe mai riconosciuto, Provenzano, da quell'identikit? Nemmeno i parenti, andiamo.

Gli errori sono facili da rintracciare, col senno del poi – ma solo col senno del poi? Gli elettori di centrodestra sono più timidi all'uscita del seggio, è cosa nota – ma visto che si sapeva già, perché non sono stati applicati dei correttivi? E il naso delle persone cresce, è una delle poche cose che continua a crescere anche in età avanzata, lo so persino io, com'è possibile che i professionisti della Polizia di Stato (o dei CC) abbiano affibbiato al boss Provenzano quel nasino da ragazzo? Un paio di occhiali, poi, a quell'età è quasi d'obbligo. Tutte facili obiezioni. Perfetto, ecco cosa deve fare un blog: le facili obiezioni. Così poi i professionisti hanno più tempo per fare le obiezioni complesse.

I sondaggi, come gli identikit, hanno un'ultima cosa in comune: convincono. Malgrado i ripetuti fallimenti, riescono sempre a creare un'aura di credibilità intorno a sé. Come le opere d'arte, sono a volte più verosimili del vero. Non ci dicono la verità, ma quello che vorremmo sentirci dire. E allora forse vale la pena di leggerli alla rovescio: l'identikit più visto d'Italia non ci mostrava il volto di Provenzano, ma la nostra idea di Provenzano. Il Provenzano che ci sarebbe piaciuto incontrare e catturare.

Un uomo, per prima cosa. Non un vecchietto col collo grinzoso, gli occhiali da vista, il naso a patata. A dispetto dell'anagrafe, un uomo di mezza età, vigoroso, lo sguardo impercettibilmente malinconico, ma senza pietà. Il disegnatore ha azzeccato gli zigomi, ma ci ha messo sopra uno strato di pelle sottile, come se Provenzano fosse un modello a dieta. Forse è lo Zeitgeist, forse ormai siamo capaci di disegnare soltanto modelli a dieta. I parchi di ogni città d'Italia sono pieni di pensionati dagli zigomi morbidi e gonfi, ma il Provenzano-Ideale ha due spigoli scavati nel legno. Perché non è un pensionato. È un dirigente. E quindi non è un nonno: è un padre.

(In un romanzo di Lucarelli c'è un killer geniale che si camuffa da nonno. Si camuffa così bene che tutti quelli che lo vedono passare, pensano istintivamente ai loro nonni. Provenzano si è travestito nella stessa maniera per tutti questi anni).

Domenica abbiamo dovuto scegliere, come capo di governo per i prossimi cinque anni, tra due candidati sulla soglie della settantina. La cosa è già bizzarra da sé (a settant'anni, io non credo che farò progetti quinquennali, né per me né per il mio Paese). Ma ancor più bizzarro è il fatto che il più anziano dei due, Berlusconi, abbia cercato per tutto il corso della campagna di accreditarsi come più giovane e scattante: via le rughe, pelle tirata sotto gli zigomi, stile arrogante da imprenditore in carriera. Mentre Prodi, vuoi per reazione, vuoi per istinto, si è sforzato assai più del necessario a interpretare il ruolo del nonno, bonario e rassicurante – e la guancia cascante certo non gli difettava.

Io a Prodi voglio bene – ridendo e bofonchiando, è l'unico italiano ad aver battuto Berlusconi, e non una ma due volte. Di misura, d'accordo, ma l'ha battuto – e il fatto che l'abbia battuto un tipo così grigio e qualunque come lui, mi dà un surplus di soddisfazione, "se ce l'ha fatta lui poteva farcela chiunque", è la sconfitta di ogni logica di mercato politico, qualcosa di incomprensibile per qualsiasi esperto di scienze della comunicaz. E poi è un reggiano testaquadra, un prof di Bologna, la sintesi di ciò che l'Emilia ha di più rassicurante. Ma soprattutto Prodi è già un nonno, e il nonno in Italia funziona. Da Pertini in poi, perlomeno. Per carità, io quelli che parlano di ricambio generazionale li capisco, e li stimo. Ciascuno di loro mi sembra una persona intelligente. Ma presa nel suo insieme, la generazione dei quarantenni mi sembra una massa di bambinoni inaffidabili. Ora come ora preferisco puntare sui nonni. Usato sicuro.

Anche Berlusconi anagraficamente è un nonno – ma è quel tipo di nonno che tenta in tutti i modi di restare un padre. E come un padre ti blandisce e ti sbeffeggia, è diventato il Rivale, ti toglie spazio, ti dà del coglione e t'impedisce di crescere, si risposa con una ragazza della tua età – è il Padre da sconfiggere. Con l'aiuto del Nonno, l'insospettabile killer.

Io, se non s'era ancora capito, sono rimasto a Freud: gira che ti gira, noi facciamo politica anche per uccidere papà. L'identikit che ha fatto il giro di mille giornali e telegiornali, non ci diceva molto su Provenzano – in compenso è il ritratto sputato del nostro Papà collettivo: ancora in forma, spietato, triste, il rivale perfetto. Dovevamo scovarlo. Tradirlo. Questo ci chiedeva, l'identikit.
E stamattina a un certo punto il telegiornale lo ha mostrato: il Padre è stato tradito, ora è solo un povero vecchio. E intanto su Internet il Nonno, paziente, vinceva la sua ultima partita. Troppo bello per esser vero. Infatti non lo è. Sono solo simboli: si pigliano i due fatti del giorno, si frullano, e a volte quel che salta fuori è tutto qui: simboli. A cosa servono? A niente, forse. E gli identikit, a cosa servono? E i sondaggi?
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- allacciate le maniche

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Ma chi è che diceva di vivere nell'LSI, il Libero Stato d'Isteria? Io? L'ho detto io? Ma allora avevo ragione, su una cosa almeno.

Il nostro è uno Stato di Incoscienza, un paradosso popolato da 57 milioni di persone a cui è meglio dare sempre ragione, sempre, perché non si sa mai. Questo solo stamattina posso dirvi, e se non siete d'accordo vi cito semplicemente due dati:

* Gli exit poll.
Non ci hanno preso, tante grazie, ma avete notato che non ci prendono mai? Voglio dire, non è fantastico? Una rilevazione statistica che sfida le stesse leggi della probabilità. Si tratta di decidere se ha vinto X o Y, e non ci sono terze opzioni. Se faccio con la monetina testa o croce, ho il 50% di probabilità di azzeccarci. Ma se mi affido agli exit poll, da dieci anni a questa parte, ho lo 0% di probabilità, che sono 50 punti percentuali sotto la monetina. Ciononostante noi, voglio dire la Rai, paghiamo un prestigioso Istituto perché ci mostri degli exit poll a partire dalle 15 del pomeriggio. Perché? Perché siamo matti, non ci sono altre spiegazioni. Faccio presente il Mago Otelma in diretta tv avrebbe maggiori possibilità di azzeccarci. O al limite potrei andare io, in tv, a lanciare la monetina, e Ilvo Diamanti poi commenterebbe il mio lancio di monetina, e vi garantisco che io costo meno del Prestigioso Istituto.
E mi spiace citare una persona così apparentemente seria come Diamanti, ma l'ho sentito io, ieri, io con le mie orecchie, spiegare che un dibattito pomeridiano su dati farlocchi avrebbe dato forma al dibattito politico nazionale vero e proprio: il che in un certo senso è perfino vero: la nostra classe dirigente è formata da isterici che sono diventati tali a furia di compulsare compulsivamente statistiche farlocche e sempre - sempre! - sbagliate.

Ora alla Rai diranno che lo fanno per battere la concorrenza, e la concorrenza dirà che lo fa per battere la Rai, e in ogni caso è quel che il publico vuole: ma il pubblico, se non ci fossero le proiezioni degli exit poll, non guarderebbe la diretta con le proiezioni degli exit poll. E' chiaro che se arrivi nel Paese dei matti col carrozzone e prometti l'Elisir di lunga vita, la gente viene a vederti: ma questo non significa necessariamente che la gente per partito preso ami essere presa in giro. E' un ragionamento folle. Non è più un ragionamento. E' follia e basta.

La cosa fantastica è che lo diranno tutti, si lamenteranno tutti, e tra due-tre anni saranno lì di nuovo a guardare gli exit poll. Perché - non me ne voglia Mantellini - gli statistici hanno un modo fantastico per autopromuoversi, sarà il colore delle cravatte, loro muovono un po' la testa e il matto che è in noi non capisce più nulla, ha detto il signore che l'Ulivo è sopra di cinque punti, wow.

*Gli italiani all'estero
E a voi magari sembra ormai una cosa normale. Ma non lo è! E' follia pura! Follia illiberale, tra l'altro, in un Paese dove a momenti si spacciano per liberali anche gli animali domestici. Lo devo ripetere? Ci sono nel mondo persone d'origine italiana che, senza contribuire al PIL, senza usufruire dei servizi dello Stato, probabilmente senza pagare tasse, possono decidere col loro voto la maggioranza in Parlamento e il Governo. Una cosa folle, che va contro un principio elementare del liberalismo ("Non c'è tassazione senza rappresentazione", e viceversa: lo dicevano i patrioti americani). Una cosa che rende il nostro Paese unico al mondo - come se ce ne fosse il bisogno: soltanto noi italiani regaliamo le decisioni sul nostro futuro a chi vive da generazioni a un oceano di distanza.

Io lo scrissi già tre anni fa, e volentieri qui mi ripeto: molti se ne stanno accorgendo soltanto stamattina. Complimenti. Benvenuti nell'LSI, Libero Stato Isterico. Allacciate le cinture della camicia di forza e buon viaggio. Quando arriveremo non si sa, e a questo punto chi se ne frega. L'importante è stare in giro.
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- scaromantico

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Sto pensando che forse ce la facciamo forse ce la facciamo forse ce la facciamo dai.
Ma se non ce la facciamo?

Io ai sondaggi non credo - ma ai brogli, ai brogli un poco sì.
Questa cosa del voto elettronico in Liguria, Lazio, Sardegna, Puglia… voti registrati su chiavette USB… voi vi fidereste di una chiavetta USB? Io no.
Io vedrò, non mi sbilancio, ma se i risultati sono un po' strani potrei anche prendere il treno e venire ad accamparmi in quella piazza, come si chiama, la Piazza di Monte Citorio. E invito tutti a pensarci seriamente: martedì mattina si prende un treno e via. Si fa picchetto, si denunciano i brogli, si chiede un riconteggio, un rivoto, qualunque cosa. Come l'Ucraina, ma senza bandierine colorate. Oppure sì, perché no, io non ho niente contro le bandierine colorate, prego. Come a Kiev, ma a Roma.
E Roma in aprile ha da esser bella.

I tre giorni che sconvolsero il mondo, a partire da domani

Sto pensando che mi piace questa idea di venir giù in treno martedì a far la rivoluzione a Roma. Che a Roma c'è gente che non vedo dai millenni. Sul serio, a Roma c'ho degli amici che a quest'ora li hanno messi coi Fori, da tanto che sono antichi. Ché già ce li vedo: lì c'è la Basilica di Massenzio, lì l'Arco dell'Imperatore Caio Sempronio, e lì i miei amici che non vedo, appunto, dal duemila avanticristo, e manco li chiamo più, dalla vergogna.
Ma t'immagini se martedì all'improvviso suona il telefono: "Ehi, son proprio io, indovina, sto venendo a Monte Citorio a fare la rivoluzione, esatto, hai sentito? siamo in parecchi, dai vieni pure tu!" Ci faccio persino una bella figura. E poi si sta un po' in piazza, si grida, si schiamazza, ci si informa su cosa abbiamo combinato negli ultimi secoli, e ne avremo di cose da dirci. Altrimenti finisce che non ci vediamo proprio mai più, mai più, la vita è una sola e a volte neanche tutta.
Insomma di motivi per fare una rivoluzione ce ne sono sempre, ma in aprile, a Roma, io fatico a trovare dei motivi per non farla.

Mi dispiace per la mia ragazza, che martedì sarà al lavoro, e ha ordini per tutta la settimana. Mi spiace un sacco. Ma la mia scuola è sede di seggio, io sono congedato fino a tutte le vacanze di Pasqua, e come me tanti studenti, così se m'immagino la rivoluzione d'aprile a Roma, ci vedo molti insegnanti e soprattutto studenti, torme di studenti, e ce li vedo bene gli studenti accampati in Monte Citorio a Roma, che di notte si stringono nel cellophane, come ai tempi di Tienammen – sono carini gli studenti, tutti gli vorranno bene, tutta l'Europa ci vorrà bene se in aprile si fa la rivoluzione a Roma, verranno delegazioni dall'Ucraina e da Parigi, sarebbe una cosa dolcissima.

Bisognerebbe solo stare attenti che nessuno si metta a bruciare le macchine – che tanto lo so come va a finire. Io sono quel tipo di rivoluzionario che finisce sergente nel servizio d'ordine, lo sfigato che di notte andrà di ronda per via che nessuno bruci le macchine. Andrà come Genova, io lo so. A Genova venne Manu Chao per un concerto, e io avevo la maglietta gialla del servizio d'ordine noglobal, una contraddizione in termini. Dovevo impedire alle persone di oltrepassare la linea gialla della corsia ambulanza – adesso ditemi voi come si fa a impedire a dei ragazzini venuti da tutto il mondo per oltrepassare una linea rossa a dirgli che oltrepassare la linea rossa è ok, ma quella gialla non si può – e poi cercavo anche di tenerli lontani dagli scogli, non volevo che si rompessero la testa, è da scemi rompersi la testa il giorno prima della revolución.

Mi dispiace per la mia ragazza, ma se vado a Roma è anche per una questione di responsabilità, i ragazzini non capiscono oggettivamente nulla, cominceranno a bruciare le macchine ancor prima di capire cosa sta succedendo, ci vuole qualche trentenne posato che mantenga un barlume di ragione in mezzo al carnevale, e se proprio devo essere io, io mi sobbarco, sarà come andare in gita scolastica, salvo che si fa la rivoluzione.

Poi se qualche giornalistucolo del cazzo, non sapendo chi inquadrare, inquadra me, io lo so già cosa dire: "rifiutiamo i risultati di queste elezioni, che riteniamo inquinate da brogli elettorali. Facciamo appello al Presidente della Repubblica affinché indica al più presto nuove elezioni sotto l'egida di osservatori stranieri eccetera"
"Ma lei a nome di chi parla?"
"Io parlo al nome del popolo, e lei in nome di chi fa le domande, scusi?"
"Ma è vero che bruciate le macchine?"
"Non è vero, però è fantastico. Vi hanno fottuto le scuole gli ospedali le pensione le tasse il futuro sotto il naso, ma se vi fottono la macchina guai, la macchina è sacra".
"Buona questa, però adesso me la devi ripetere con un'altra parola al posto di fottono, così la possiamo mandare in fascia protetta, ti va?"

Non sarebbe fantastico trovarsi di nuovo tutti lì, con gli amici di Roma e con gli amici di tutta l'Italia, e l'Europa, tutti quegli amici di amici che nemmeno ricordiamo di avere, davanti alle telecamere del cazzo a parlare in nome del popolo? E se piove non ci sarà neanche troppo fango, non c'è terriccio in sul Monte Citorio, se ricordo bene. E se qualche poliziotto viene a romperci la testa, sarà certo un danno, ma non ne sarebbe valsa la pena? Tutti quanti su Monte Citorio per tre giorni, non saprei immaginarmi una primavera più bella e più giusta. Mi spiace solo per la mia ragazza, ma se teniamo duro fino a sabato potrebbe scendere anche lei. Sarà Pasqua e avremo vinto. Campane, campane dappertutto. Quante campane ci sono a Roma? Andremo a suonarle tutte. Ci faremo dare la lista delle parrocchie e convinceremo educatamente ogni parroco di Roma. E il mondo intero starà ad ascoltare e capirà come si fanno le rivoluzioni fatte bene. Una rivoluzione che ce la copieranno a Teheran e a Washington, e in tutte le città dove c'è decisamente bisogno di una rivoluzione. E ancora per millenni gli studenti in gita scolastica si sentiranno dire: sulla vostra destra c'è la famosa Piazza di Monte Citorio, dove scoppiò la famosa rivoluzione che tutti da allora si sognano, la Rivoluzione delle Campane, ding dong, ding, dong

"L'hai sentita la sveglia, o no?"
"Scusa, stavo facendo un sogno".
"Un brutto sogno?"
"Lasciami pensare. No".
"Senti io devo andare, ho un sacco di lavoro e lo sai. La colazione è pronta. Ricordati di andare a votare".
"Votare".
"Così vinciamo e non se ne parla più".
"Vinciamo?"
"Non lo so se vinciamo, come faccio a saperlo? Ma sei sicuro di essere sveglio?"
"Temo di sì".

Sto pensando che forse ce la facciamo, ma se non ce la facciamo? Ma dovremmo farcela, ma se non ce la facciamo?
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- post coitum

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Non-fingere

Salve, proprio io, non te l'aspettavi, eh?
Nel bel mezzo del tuo lavoro squallido.
E sì che sono io, insomma non ti fidi?
Mi hai preso per un comico? Macché
Nessuno sa imitarmi come me.

E dunque eccitami, su, è il tuo mestiere, o no?
Dimmi che vuoi votare solo me.
Non devi fare finta, con me non puoi far finta,
Io me ne accorgo, e poi ti pago bene,
dimmi che vuoi votare solo me.

Non è come tu pensi, io non mi sento solo:
stasera ero a un comizio, la gente mi invocava,
la cena, e poi gli autografi, non riuscivo ad andar via.
(La gente non lo vuole, tu questo lo capisci,
la gente mi ama troppo, la gente non vorrebbe
vedermi mai andar via).
Così si è fatto tardi, il sonno mi è passato,
in tv film di merda, nessun sondaggio fresco
(tu puoi capirlo – essendo nel settore:
c'è un'ora della notte, un'ora sola, e lunga,
in cui anche l'uomo più amato del Paese
non riesce a farsi dire un solo sì).
Ma tu me lo puoi dire – soltanto, non-far-finta.
Non sono uno di quelli, con me non puoi far finta.
Inoltre pago bene, per cui avanti, dillo,
che vuoi votare solamente me.

E no che non mi annoio, io non mi annoio mai.
Lavoro sedici ore al giorno, non lo sai?
E tu?
Lo vedi, solo dieci, lo vedi come va:
per questo io faccio il leader, tu la centralinista.
E in più io sono figlio di un professionista
Mentre tuo padre era operaio, vero?
– ma devi dirla giusta, con me non puoi far finta,
io me ne accorgo subito, e inoltre pago bene,
per questo sai che voterai per me.

Ci pensi a quante cose in comune, tra me e te:
noi arrapiamo il popolo, questo è il nostro mestiere.
E quante cose io potrei insegnarti
sull'essere gentile, disposta e mai sincera,
soprattutto mai sincera – sennò ti vien da ridere,
e non si deve ridere! S'ammoscia se tu ridi.
Sorridere bisogna, a denti stretti, sempre
sorridere e sudare, è questo il mio mestiere
(e il tuo, natuaralmente).
Ma stanotte è diverso.
Stanotte non puoi fingere, ti parlo da collega,
se fingi lo capisco, se fingi non ci riesco.
Ti prego, sii te stessa
E dimmi che vuoi votare solo me.

Ma sì, mi rendo conto
Che il tempo è denaro per entrambi.
Tu sai la tua tariffa al minuto, ma la mia?
Lo sai quanto vi costo al minuto, signorina?
Non puoi saperlo, è un conto che ho fatto solo io
Non lo sa neanche Giulio (del resto lui è una frana
Con la calcolatrice).
Ma quasi quasi, sai? A te io lo direi
mi sembri un tipo ammodo, lo sai che me ne intendo
E inoltre pago bene, perciò mi devi dire
che vuoi votare sempre e solo me.

È solo un mio capriccio, sondaggi io ne ho,
e guardacaso dicono quello che voglio io
(del resto è matematico, più paghi più hai ragione
non devi dirlo a me).
Io sono nel settore da trent'anni, si può dire
che i trucchi del mestiere te li ho inventati io
È un gioco troppo facile: più paghi più hai ragione.
Io forse pago troppo, ma questo non vuol dire
che tu ora possa fingere, io me ne accorgo subito,
perciò ora sii sincera, prova a essere sincera
nel dirmi che tu voterai per me.

Non ridere, non ridere,
non c'è niente da ridere:
è quell'ora della notte,
e io ti pago, sai.

Cerca di rilassarti, sii te stessa,
parlami un po' di te, ce l'hai un ragazzo?
Cosa? Hai una bimba? Fantastico! E si chiama?
Silvia! Ma pensa! Che bel nome! Silvia!
E il padre? Ma perché non vi sposate, voi ragazzi?
Io me lo chiedo sempre, perché non vi sposate?
La famiglia è importante, il mettere su casa,
e io posso anche aiutarvi.
L'assegno famigliare, vi toglierò le tasse,
vi laverò la macchina – se tu sarai sincera
devi essere sincera,
e dire che tu voterai per me.

Non può essere altrimenti,
non sei una cogliona.
Sei una che lavora,
non stai coi comunisti.
Mi sembri un tipo ammodo
Senz'altro intelligente
Bella presenza, immagino
– e io non sbaglio mai.
Perché non vieni su
a Cologno, un giorno o l'altro?
Un talento come te
è sprecato per le hotline.
Tu hai tutto quel che serve per sfondare.
Ti basta essere te stessa
– avanti, sii te stessa –
quando dici che mi vuoi
votare, che tu vuoi
votare solo me.

Adesso
Vuoi votare solo me
Dimmelo
Dimmelo
Non Fini, non Casini
Con Prodi non ci godi
Tu vuoi votare solamente me
Dimmelo
Dimmelo
Ma devi essere sincera
Se non sei sincera non ci riesco
Se non sei te stessa io non posso
E se scoppi a ridere io non…

Clic

Ma cribbio, cos'hanno tutte stanotte? Fanno le preziose, fanno.
Con quel che costano.
Proviamone un'altra, va.
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- ombre nere

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E poi, già, ci sarebbe anche il problema dei fascisti.
Ogni tanto bisognerebbe abbassarsi a dirlo. Che stavolta la Casa delle Libertà ha pescato veramente nel torbido; che il primo risultato della svolta di Fini è un bollino nella scheda elettorale con alcune siglette e fiammelle che non avremmo più pensato di trovarci, roba da volantino di liceo o da curva di stadio: fronte nazionale, forza nuova, sul serio? Se vince Berlusconi questa gente va in parlamento? Ma li faranno entrare, in bomber?

Chi non molla è perduto

Il rischio è di sembrare antipatici, radicalscic, anche un po' fuori dal tempo: i fascisti al governo, capirai. Come se in questi anni non avessimo avuto Buontempo o Storace (per dirne due a caso), e monumenti ai caduti di Salò e proposte di pensione ai reduci repubblichini, e fiction su quant'era brava e tosta Edda Ciano. Per cui insomma, uno o due simbolini con la fiamma in più o in meno che differenza fanno? Ma sul serio, cosa cambierà con una dozzina di deputati di Alternativa Sociale in più in parlamento? Cerchiamo di essere moderni, disinvolti, disinibiti. Fiamme tricolori a parte, cosa c'è di così sconvolgente nel programma di Alessandra Mussolini e compagnia? È il classico memo nazionalista: soldi alle famiglie baluardo di civiltà, soldi agli africani, così restano in Africa a farsi i cazzi loro, soldi un po' a tutti, tanto li stampiamo noi, no? (No. Glielo spiegherà poi Tremonti). Il lancio d'ortaggi al Candidato Luxuria, gesto esecrabile in sé, dà la misura della distanza dallo squadrismo storico, quello che bastonava a sangue. Vien da pensare che in Parlamento c'è già di peggio: che magari un po' di bomber tricolori possono equilibrare quegli altri simpatici in camicia verde, che non sono meno pericolosi.

Cosa c'è che non va, allora. Non lo so. Una sensazione. Non è la Mussolini in tv, non è neanche la celtica allo stadio. Gran parte del fascismo contemporaneo è puro folklore, eppure… quando succedono cose terribili come la morte del bambino Tommaso, quando una nazione compatta finalmente può liberarsi fiera, perfettamente giustificata, al suo Quarto d'Ora d'Odio… ti chiedi se in giro non ci sia più voglia di fascismo di quanta le liste elettorali riescano effettivamente a soddisfare.

A questo punto ti verrebbe voglia di misurarti col fenomeno, ma non è facile. Il fascismo è sfuggente. Contrariamente a una certa mitologia (Boia chi molla, chi si ferma è perduto, se indietreggio uccidetemi, ecc. ecc.), non c'è nulla di più sgusciante di un fascista. Sul serio. Prova a trovarne uno, prova a parlarci. Dalle mie parti, perlomeno, è impossibile. Ci sono, ma non si vedono. Sì che il fascismo serio, squadrista e agrario, lo abbiamo inventato qui: c'è scritto sui libri di Storia, e io mi fido. Eppure passiamo per regione rossa. Rossa? Ma è pieno d'ombre, anche qui. Io di sera ne ho viste. Ma scompaiono al sole.

Il caso che conosco meglio è quello di Forza Nuova a Modena. Oddio, "conosco meglio". In realtà non li conosco affatto, quelli di Forza Nuova a Modena. Perché sgusciano, appunto. Nei cinque anni di vita di questo blog, hanno fatto in tempo ad aprire due sedi in Centro – in entrambi i casi scomodando un bel po' di antifascisti incazzati e di forze dell'ordine. Mica male per un'organizzazione politica – salvo che a nessuno dei due indirizzi, oggi, risulta un'organizzazione di nome Forza Nuova. Al punto da chiedersi: ma esiste o no, Forza Nuova a Modena? E se non esiste, perché ci ha fatto perdere tanto tempo?

Prendi me. Ogni volta che Forza Nuova apriva una sede in Centro, io ho trovato un modo per farmi compatire.
La prima volta, è successo esattamente cinque anni fa. Cinque anni e un giorno. A quel tempo io ci abitavo, in Centro; ma non avevo la residenza. Come a dire che non potevo parcheggiare sotto casa.
Il giorno che ho saputo che Roberto Fiore stava per sbarcare in via Ramazzini a bordo di un Freelander, scortato da sette camionette della polizia, il mio antifascismo militante si è precisato in un grido di sdegno: Cani, porci, e puranche l'ideologo di Forza Nuova possono parcheggiare in Centro, ma io no! Tanto che scrissi alla Gazzetta di Modena. Scrissi che sì, va bene, ideologo finché vuole, ma poteva benissimo parcheggiare sui viali ed entrare in Centro Storico a piedi, come tutti i non residenti; o aveva paura? Di che? Dei cinesi di piazza Pomposa? Del Kebab all'angolo? L'ideologo di Forza Nuova ha paura che lo infilzino col Kebab?

In realtà mentre Fiore posteggiava in via Ramazzini (con gli agenti Digos ad aiutarlo a far manovra, suppongo), la prima esperienza di Forza Nuova a Modena si era già conclusa. Il modenese che in un primo momento aveva invitato Fiore stava già spiegando ai microfoni che non era sua intenzione aprire veramente una sezione FN, bensì fondare un'associazione tutta sua, chiamata Unione Nazionalisti Italiani, che forse esiste ancora (il simbolo sembra un aquilotto malriuscito, più probabilmente un piccione, l'animale totemico del Centro Storico). Ma il giorno dopo la Gazzetta titolava la rubrica della posta:

«Vi infilzeranno coi kebab»
Sotto c'era il mio nome. Non solo, ma per completare la frittata, nella versione Web esso compariva sotto un parere favorevole a FN – e sono certo che qualche cache se ne ricorda ancora. Vorrei poter dire di avere imparato, da allora, certe elementari regole di prudenza, ma è stato un processo lento. Due anni dopo a momenti mi arrestavano. La storia sta qui.

In sostanza fino a un certo punto era tutto secondo programma: un gruppo di forzisti, scortato da un nutrito drappello di forze dell'ordine, aveva inaugurato una nuova sede di FN in via Gallucci, mentre da fuori un bel po' d'antifascisti manifestava e sacramentava. Quando si è trattato di uscire dal centro, sono volate ben più che le parole, e bisogna dire che qualche manganellata da pubblici ufficiali se la sono presa anche i forzisti (ma bisogna anche aggiungere che un signore di Forza Nuova ha inciso con un'asta di bandiera un bel taglio sulla testa di un signore che manifestava contro di lui). Così, quando i neri hanno iniziato a ritirarsi virilmente in direzione Trento-Trieste (dove li aspettava un'ambulanza), noi… sapete come fa il cane col gatto, no? Se scappi, t'inseguo. Ecco, ci siamo messi a inseguirli; solo per sfotterli, mica per altro. In quell'occasione un poliziotto promise di rompermi la testa, siccome ero venuto a riprendere Cragno che continuava a sfidare verbalmente i forzisti che si leccavano le ferite (uno a momenti lo centrava con il ghiaccio degli impacchi).

Tutto qui? no, perché il giorno stesso la Digos promise che avrebbe "visionato i filmati", ma che io sappia l'unico video di tutto l'episodio lo chiesero gentilmente a un tale che da un balcone di Trento-Trieste aveva riconosciuto l'amico Cragno: sicché di tutta la manifestazione in questura probabilmente rimangono solo primi piani di Cragno che insulta i forzisti e di me che vengo a prenderlo; e l'unico sonoro è la voce del cameraman che dice: "Toh! Ma quello è Cragno!"

Da quel giorno in poi, non mi è mai capitato di vedere la sede di Via Gallucci aperta, ma è pur vero che non ci passo spessissimo. Le finestre, già protette da sbarre massicce, erano state coperte del tutto da schermi di acciaio dipinti di nero – faceva una certa impressione. Ci furono atti di vandalismo, una petizione dei commercianti – ma c'è stato anche parecchio silenzio, per un paio d'anni. Finché un mesetto fa, improvvisamente, non passo di lì e la trovo aperta! Finalmente! Salvo che non è più la sede di Forza Nuova in Centro. No. Il nero si è fartto giallo – ora è un negozio di articoli etnici. Indiani. (Ariani?) I fascisti sono sgusciati anche stavolta. Altro che Boia chi molla. Qui chi non molla è perduto.

A questo punto mi attendevo l'annuncio trionfale di una sede di Forza Nuova a Modena – che sarebbe già la terza! Ma per adesso, niente. Chissà, forse dopo il dieci aprile. E immagino che riuscirò a farmi compatire anche stavolta.

Nel frattempo me ne resto coi miei dubbi. Perché sono così difficili da afferrare, 'sti fascisti? Perché sgusciano sempre? Non dovremmo essere noi, a scappare da loro? Non dovremmo essere noi, ad avere paura? E in effetti un po' di paura io ce l'ho. Questo ciclico apparire e scomparire, è molto inquietante. Vien da pensare che il nero salti fuori solo quando serve, ma a chi? E com'è che adesso a Modena non serve più? E quand'è che servirà ancora? Qualcuno ne sa niente? Qualcuno ci capisce qualcosa? C'è qualcosa di serio o sono solo ombre, che scompaiono al sole?
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- prepararsi al peggio e al meglio

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Insomma, a questo punto (io lo dico piano) (anzi, non lo dico proprio) (lo dico sotto forma di ipotesi, di ipotesi lontanamente plausibile) (un'ipotesi accademica, pura speculazione) dobbiamo prepararci all'eventualità, intendo dire la remota eventualità, che Berlusconi perda le elezioni.

Cosa fare dopo B ?


E che sarà mai, uno dice. Ne ha perse altre. Sì, ma stavolta è diverso. L'uomo è anziano e stanco – e sarebbe anziano e stanco persino se il dieci aprile vincesse. Spira una certa tramontana, e secondo me è il caso di prepararsi. Noi siamo maniaci di Berlusconi, è cosa nota. Per noi è il simbolo delle mille cose di questo Paese che non ci sono mai piaciute. In questo è persino troppo comodo – un signore che da solo mette insieme il malaffare della Tangentopoli milanese con la mafia siciliana, la speculazione edilizia, la televisione spazzatura, la politica spazzatura, l'anticomunismo da strapazzo, l'arroganza brianzola: nell'odissea dello schifo italiano di questi ultimi vent'anni non c'è praticamente un solo capitolo che non possa essere ricondotto a lui. Forse la mucillagine sulla riviera adriatica. Ma con un po' d'impegno.

Ebbene, questo comodo simbolo, questo sorriso a 32 perle stampigliato su tutte le cose che non ci piacciono, sta per salutarci, ed è un grosso pezzo della nostra vita che se ne va. È probabile che ci sentiremo più liberi, dopo. Ma è la liberta dei canarini fuori dalla gabbia, non è detto che sopravvivremo. Berlusconi è al governo dal 2001, ma ingombra il dibattito politico almeno dal 1994. Eravamo ancora ragazzini quando abbiamo imparato a dare ogni colpa a lui. Cosa faremo quando non ci sarà più? Sul serio, si accettano consigli.

S'intenda, noi non siamo quelli disperati che per saltare dal carro, in questi giorni, sono pronti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa, comprese le sdrucciolevoli radici cristiane e le tonache di placidi cardinali che mai avrebbero pensato di trovarsi in prima linea nel conflitto di civiltà. Per quelli ormai è ragione di vita o di morte, per noi no; è abbastanza certo che manterremo gli stessi impieghi e le stesse frequentazioni; però siamo quel tipo di persone che non amano trovarsi a corto d'argomenti, e se B dovesse sparire d'un colpo, potrebbe appunto succederci questo: ritrovarci in società senza argomenti. E questo noi non lo vogliamo, vero?

Sgombriamo il campo da certi equivoci. Il fascismo, per esempio. Ogni tanto (anche all'estero) si fa questo paragone, che in realtà non ci dice molto né su Berlusconi né su Mussolini, né sul fascismo, né sull'Italia in cui viviamo oggi. Berlusconi senz'altro non è un antifascista molto convinto. Ma non ha mai pensato di praticare restrizioni alle libertà dei cittadini paragonabili a quelle di Mussolini. Né la situazione gliel'avrebbe consentito – l'Europa del 1994 non era più quella del 1922. Lo dico con una punta di rincrescimento, perché se fosse stato davvero il neoduce che un po' ci aspettavamo, avrei cospirato contro di lui. Il che francamente non è successo – mi sono limitato a lagnarmi su un blog, e lui me l'ha consentito.

D'altro canto il berlusconismo è stato per certi versi qualcosa di più subdolo e strisciante: e se fosse vivo oggi Pasolini affermerebbe senza tema che il ventennio berlusconiano (1986-2006?) ha fatto assai più danni di quello mussoliniano, perché la tetra propaganda fascista non aveva veramente fatto breccia nella coscienza del popolo, nel borgataro e nella contadina, mentre Canale 5… ma Pasolini è morto, e se fosse vivo io probabilmente non sarei d'accordo con lui e passerei il tempo a fargli il verso, quindi lasciamo perdere.

La verità è che il paragone tra Benito e Silvio è molto abusato perché comporta un notevole risparmio d'energia mentale. Soprattutto all'estero. Quando al Guardian parlano di un ritorno al fascismo, non fanno che interpretare male i sintomi, attribuendoci la stessa malattia di cui ci hanno già visto soffrire. Punti rossi, quindi è varicella. E se fosse morbillo?
C'è un'altra possibilità. Nella coscienza politica degli italiani, di quasi tutti gli italiani, Mussolini rappresenta il polo negativo. Ma all'estero, quando si cita Mussolini, non si ha tanto in mente il traditore ex-socialista, il delitto Matteotti, le leggi razziali, Salò… quanto piuttosto il massimo esempio di moderno tiranno-buffo, tiranno wannabe che si sgola per trascinare all'Impero un popolo di guitti scettici. È questo, dunque? Berlusconi sarebbe il successore di Mussolini in quanto clown?

Oggi non c'è dubbio che Berlusconi sia un clown – e anche come clown, piuttosto malriuscito. Da anni le sue clownerie ingombrano la scena politica italiana, abbassando il livello del dibattito, impedendoci di parlare di altro che non sia una pelata e un nasone rosso. Ma non è sempre stato così.
Nel 1994, quando abbiamo iniziato a preoccuparci seriamente di lui, l'aspetto clownesco era l'ultima voce in lista. A quel tempo eravamo tutti sinceramente spaventati di quello che avrebbe potuto fare un uomo in possesso di tre televisioni e un polo editoriale-pubblicitario, se si fosse conquistato la maggioranza in Parlamento. In effetti non sembravano esserci limiti al suo potere. Avrebbe potuto completare la conquista dei media italiani e sopprimere ogni voce di dissenso. E non era nemmeno inverosimile che un imprenditore di successo riuscisse a dare una scrollata a un sistema di potere incancrenito, e a conquistarsi coi fatti un consenso superiore a quel famoso 51% degli italiani.

Nei fatti, in cinque anni di governo si è 'limitato' a far votare innumerevoli leggi a suo favore, Costituzione inclusa. Ma non è andato oltre, non ci ha costretti ad amarlo con la forza.
Perché? Ci sono tante spiegazioni. Alcune ce le ha fornite lui stesso: gli alleati rissosi, la campagna d'odio della sinistra, il buco dell'Ulivo, l'Euro a 1936 lire, l'undici settembre… sì, sì, d'accordo.
E se B, più semplicemente, fosse un inetto? Come imprenditore ha avuto qualche buona idea (e qualche Santo in paradiso), ma come politico è stato incapace di mettere a frutto l'incredibile credito politico che milioni di italiani (dagli operai a Confindustria) gli hanno aperto nel 1994 (e qui il paragone con Benito Mussolini, giornalista post-socialista abbandonato dagli ex compagni, che in pochi anni si fa gioco di Giolitti e del Re, è davvero impietoso). Nella sua megalomania, si è sempre aspettato che gli italiani dovessero innamorarsi di lui spontaneamente. È un vecchio patetico playboy, che sotto il cerone si crede ancora, in qualche modo, irresistibile.

Ma è facile dirlo col senno del poi. Nel 1994 non potevamo saperlo. Eravamo partiti a lottare contro un tiranno moderno, efficiente e seducente; e ci siamo trovati di fronte, strada facendo, un clown che infila una serie prodigiosa di gaffes e orrende freddure. Dopo un'adolescenza abbastanza spensierata eravamo finalmente pronti alla tragedia, e abbiamo impiegato degli anni a capire che era una farsa, a nostre spese. Il nostro disagio non è poi così dissimile da quello di tanti berlusconiani, che dieci anni fa salirono sul carro pensando di appoggiare uno statista liberista, e oggi devono ridursi a dimostrare la genialità dell'odierna strategia comunicativa del Cavaliere. Partiti per fare i maître à penser, si ritrovano oggi a ridacchiare a comando sulle quinte del Drive In.

Da cui l'equivoco fondamentale, nel quale ci troviamo tutti invischiati: cosa non ci piace veramente in Berlusconi? Il caimano o il clown? Il fatto che abbia concentrato su di sé tutto il potere, o il fatto che non abbia saputo che farsene? Guardiamoci in faccia, compagni di trincea: abbiamo lottato contro un tiranno ridicolo perché era un tiranno o perché era ridicolo? Uno statista democratico altrettanto ridicolo ci andrebbe bene? O non preferiremmo un altro tiranno, ma un po' più serio?

Insomma, dopo B. una possibilità potrebbe essere rifarlo. Ma migliore. Più serio. Niente barzellette. O almeno divertenti. In Italia del resto gli autori non mancano. Siamo un popolo di allenatori, opinionisti, spindoctors. Forse è meglio mettersi sul mercato, si aprono mesi interessanti, le ragazze tirano fuori le camicette, e questa tramontana… è un bel momento, proviamo a godercelo. Ci sentiamo.
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Vota (per) Natascia

Caro astensionista di sinistra
Come ben sai, ti scrivo tutti gli anni (2001, 2002, 2003, 2004, 2025)– questo è il sesto, e spero che sia l'ultimo.
Direi che ormai ci conosciamo. Tu sei un uomo/donna che non cede ai compromessi, in cabina elettorale. Magari neanche altrove.
Probabilmente sei quel tipo di persona che se il boss ti chiede di restare un'altra mezz'ora al lavoro (che poi diventa un'ora), ti licenzi seduta stante. Io non sono come te. Io vivo nel compromesso.
Probabilmente sei quel tipo di persona che se il compagno/a vuole vedere il grande fratello invece di un film o qualsiasi altra cosa, fai le valigie. Io non sono come te. Un po' t'invidio, va detta.

In ogni caso ti rispetto. Se dopo cinque anni di Berlusconi al governo – se dopo Genova, la Cirami, l'articolo 18, le speculazioni sul caso Biagi, gli insulti al parlamento europeo, la Bossi-Fini, la depenalizzazione di falso in bilancio, i condoni, i cantieri finti, gli assegni per chi manda i figli a scuola dai preti, le chiacchiere su Mussolini che mandava gli antifascisti a prendere il sole, la legge Gasparri, il ministro Martino che rassicura le mamme non andremo mai in Iraq e poi ci siamo andati, la speculazione sui morti di Nassiryia, la gente che è morta per opzionare un po' di petrolio, i CPT appaltati ai privati, la legge sulla fecondazione assistita, e poi basta, non ce la faccio a fare il conto, in cinque anni ho perso di vista tante cose, il cielo a volte mi è sembrato grigio anche d'estate – se dopo cinque anni di tutto questo, tu non hai ancora trovato abbastanza argomenti per votare contro Berlusconi, potrò convincerti adesso io? Non credo. Quindi non ci provo nemmeno.

Hai capito? Non intendo convincerti.
Voglio solo che tu vada a votare.
Non per te. Ma per qualcun altro che vorrebbe votare, che meriterebbe di votare, e non può farlo. Perché in Italia c'è un apartheid, e se ne parla meno di quanto si dovrebbe.
Perché nel mondo ci sono centinaia di migliaia di persone che non vivono in Italia, non lavorano in Italia, non pagano le tasse, ma hanno il diritto di decidere se ci governerà Berlusconi o Prodi – e al contrario, ci sono milioni di persone che si danno da fare in Italia per il PIL italiano, che mandano i figli nelle scuole italiane a imparare l'italiano, che pagano le tasse (quando possono) all'erario italiano, ma non hanno il diritto di decidere proprio niente.
Per me questa è una grande vergogna. Io forse sotto sotto sono un liberale, orfano della Rivoluzione Americana, che nacque sotto un principio pragmatico e tuttora validissimo: No taxation without representation: gli inglesi non possono tassarci senza darci il diritto alla rappresentanza.

Ma per te, astensionista di sinistra? Tu che insegui, senza compromessi, il sogno di un mondo dove tutti abbiano immediatamente pari diritti – davvero puoi resistere ancora un minuto in un Paese che fa votare i cosiddetti "italiani all'estero" e non fa votare le persone che da tutto il mondo sono venute a vivere qui, proprio qui, in mezzo a noi, che lavorano con noi e per noi, pagano le tasse che paghiamo noi e usano i servizi che usiamo noi? E allora basta, scusa. O te ne vai immediatamente, oppure ci aiuti a cambiare le cose subito, senza compromessi. Se il nove aprile non hai intenzione di votare per te, vota per un qualunque straniero che non ne ha il diritto – e che dovrebbe averlo. Aderisci alla campagna Adotta il voto di un immigrato, lanciata da Salamelik.

Non ti sto dicendo per chi votare, attento. Non devi votare per il mio candidato, ma per il suo. Non lo sai? Chiediglielo. Esci in strada e domanda. Secondo me non devi andare molto lontano per trovare uno straniero al lavoro. Guarda, senza neanche uscire dal portone – sul pianerottolo c'è Natascia che dà lo straccio. Ha due figli che contribuiscono a riportare in attivo il bilancio demografico del Paese. Non vuoi votare per te? E vota per Natascia, che dovrebbe averne il diritto, e forse ne ha anche più bisogno.
Che c'è, ti vergogni a chiedere? E allora torna su internet e studiati i programmi dei due schieramenti. Entrambi fanno schifo? Forse, ma ce n'è uno che rispetta Natascia in quanto forza lavoro. E ce n'è uno che considera Natascia potenzialmente pericolosa per la salute pubblica del Paese. Una terza possibilità non c'è.

"Ma lo vedi, si tratta sempre di un compromesso".
Sì, certo, come al solito. Ma posso assicurarti che questo compromesso non intaccherà la tua integrità morale, che è e rimane inviolabile. Non è il tuo compromesso. È quello di Natascia.
Se lei potesse votare per evitarsi altre umilianti ronde notturne intorno alle poste, non lo farebbe? Se lei potesse votare per mettersi in regola, non lo farebbe? Se lei potesse votare per essere riconosciuta come una cittadina nel Paese in cui lavora, non lo farebbe?
E allora fallo tu. E poi basta. Io sono un po' stanco di queste orazioni. Fuori è ancora grigio, ma quando arriva questa primavera? Facciamo che arriva per tutti il dieci aprile? Dipendesse da Natascia. Ma dipende da noi. Solo da noi. Ciao.
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- indecisi d'Italia, 1.

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Da notare quella che è una scelta quasi sicuramente dettata dallo staff di comunicazione di Berlusconi, cioè quella di scrivere e prendere appunti continuamente, spesso disegnando delle figure geometriche e racchiudendo in cerchi le parole precedentemente segnate, come per trasmettere compiutezza e congruenza con parole che vogliono chiarire, mettere nero su bianco i risultati raggiunti dal governo.

Spindoctor for a day

Io non so se i sondaggisti se ne rendano conto, ma esiste una discreta percentuale di italiani che agli sconosciuti non risponde; o se risponde, tutto dice fuorché la verità. Specie a quelli che ti chiamano per telefono.

Fa parte della nostra cultura. Io, per dire, se stasera mi crepasse all'improvviso lo scarico del water, e una pozza d'acqua fetida cominciasse a imbevere i tappetini, mentre la mia ragazza in preda al panico comincia a chiedersi ad alta voce perché ha scelto me invece di quel compagno di banco timido figlio dell'idraulico che adesso è sei mesi all'anno a San Domingo – se in questo preciso frangente squillasse il telefono, e una seducente voce femminile si offrisse di venire, domani, stasera, senza impegno, a cambiarmi le tubature del bagno, e a farmi provare un nuovo spray antiossidante-deodorante gratis, senza impegno, io risponderei grazie, no, non ho bisogno di niente. Perché sono stato educato così, non posso rinnegare la mia cultura.

Dico questo perché negli ultimi dieci giorni si è fatta strada in me la sensazione, dapprima strisciante, poi sempre più forte e insopprimibile, che tutto questo sia soprattutto colpa mia. Volevo aspettare il dieci aprile, per dirlo, ma non ce la faccio più; all'inizio poteva essere divertente, ma ormai provo soltanto una gran pena. Eppure mi sembrava di fare la cosa giusta, quando più o meno 15 giorni fa a uno squillo risposi...

"Pronto".
"Salve, sono della ********, chiamo per un sondaggio…"
"Non compro niente".
"Non le vendo niente, è un sondaggio elettorale, vorrei sapere se…"
"Non voto per nessuno".
"Prego?"
"Non compro niente, non voto per nessuno, non m'interessa la sua offerta, non voglio cambiare gestore telefonico, i deumidificatori per ambiente mi fanno ribrezzo, e inoltre…"
"Ho capito bene, lei ha detto che non voterà per nessuno, è un astensionista, dunque? Un astensionista convinto?"
"No".
"Quindi è un indeciso? Possiamo dire che lei non ha ancora deciso per chi votare il nove aprile?"
"Non rispondo".
"Attenda in linea. Solo un istante. Ehi, ehi, ragazzi!"
"Eh?"
"Ehi, ragazzi, l'ho trovato! Centronord, trentenne, indeciso! È mio! Bingo!"
"Scusi, non la seguo"
"No, no, mi scusi lei, è che con i miei colleghi, qui, stiamo facendo una specie di gioco… il primo che trovava un indeciso-trentenne-centronord vinceva venti euro".
"Siamo così rari?"
"Rari? I sessantenni abruzzesi leghisti, quelli sono rari. Li danno a centocinquanta".
"E qualcuno li ha…"
"Ma no, nessuno beccherà mai un sessantenne abruzzese leghista, è un'astrazione matematica. E anche un indeciso come lei è già piuttosto prezioso. Ma mi perdoni, come fa?"
"Come faccio cosa?"
"Ad essere ancora indeciso. Voglio dire, è trentenne, è nel centronord, ha accesso a tv, giornali… persino internet, sa cos'è internet?"
"Vagamente".
"Insomma, ha tutti i mezzi per farsi un'opinione. I candidati sono gli stessi da dieci anni".
"Effettivamente…"
"Che cosa le manca ancora per capire, cosa vorrebbe da loro?"
"Eh, guardi, non lo so…"
"Mettiamo che io fossi un telefonista che chiama per conto di uno dei due candidati".
"Sì".
"Mettiamo che per una serie di algoritmi statistici che adesso non le posso spiegare, l'indecisione di un trentenne centronord risultasse più importante, che ne so, di quella di una casalinga centro-ovest".
"Sul serio?"
"No, non sul serio, è solo un'ipotesi. Insomma, secondo lei cosa dovrebbe fare, questo candidato per il quale io ipoteticamente lavoro, per convincerla a votare per lei? Se lei fosse lo spindoctor, ha presente cos'è lo spindoctor, no?"
"Certo che ho presente, sono un trentenne centronord".
"Ecco, faccia finta di essere anche uno spindoctor. Ci dica cosa vorrebbe".
"Beh, io vorrei… vorrei… meno promesse chiare e più…"
"Sì?"
"Ma sta prendendo appunti?"
"Certo".
"Allora, meno promesse chiare e più chiacchiere, chiacchiere televisive, ha presente? Punterei meno sui concetti e più sulla funzione fàtica, salve, sono il Grande Candidato, la prego, mi dia del lei, non m'interrompa, mi faccia finire, non mi faccia domande inutili, mi lasci parlare, se non mi dà spazio me ne vado, eccetera. Non so se mi sto spiegando bene".
"Vada avanti".
"Insomma io privilegerei un approccio… come dire… un approccio un po' paranoico. Cioè giocherei molto sull'idea che tutti ce l'hanno con me, m'impediscono di esprimermi, è una congiura nei miei confronti… ecco, mi piacerebbe sentire un candidato in tv che insiste su questo aspetto: c'è una congiura contro di me".
"Una congiura di chi, scusi?"
"Ma non so, magistratura, partiti, industriali, giornalisti… in pratica tutti quelli che osano interrompermi se parlo. Chi non è con me, è contro di me. E poi darei a vedere che sono molto nervoso".
"Sul serio?"
"Sì, per esempio. Mettiamo che si fa un dibattito al vertice, adesso non lo so, non ho seguito molto la campagna fin qui, sa, sono un indeciso. Però mettiamo che si fa una specie di dibattito in tv con i due candidati. Ecco, in questo caso a me piacerebbe vedere un candidato nervoso, che non guarda in camera, che quando non parlano di lui si distrae, fa dei disegnini con la penna… tutte cose che in apparenza sembrano controproducenti, ma in realtà…"
"In realtà?"
"Fanno risaltare la sua grande umanità, e a quel punto io che sono un indeciso guardandolo direi ecco! anche lui è distratto, nervoso, un po' indeciso come me!".
"Comincio a capire. Un meccanismo di identificazione".
"Perfetto, ecco, non mi veniva la parola, identificazione, complimenti".
"Quindi, riepilogando: per conquistarla un candidato dovrebbe apparire: paranoico, distratto, nervoso, …"
"Molto nervoso, io insisterei molto sul nervosismo, noi indecisi siamo molto sensibili al nervosismo. Anzi, vuole sapere qualcosa che ci fa impazzire? L'arroganza".
"In che senso?"
"Nel senso che, mah poniamo che questo candidato vada a un raduno, non so, di commercianti, o industriali… allora, in questi casi la cosa migliore da fare è alzarsi in piedi e arringare la folla in modo maschio, ha presente: voi non capite niente, eravate delle merde e io vi ho salvato, dovete tirarvi su le maniche, venire meno ai convegni e stare più in casa a lavorare!"
"Ma è sicuro?"
"E se il moderatore si lamenta, gli dico taci idiota, non guardare l'orologio, chi se ne frega dell'orologio, la gente è qui perché vuole sentirmi! E se dalle prime file qualche pezzo grosso si azzarda a sorridere, lo chiamo per nome e per cognome e lo accuso di congiurare alle mie spalle con le schegge impazzite della magistratura, farabutto, mi dia del lei! Questo deve fare, un candidato".
"Per convincerla".
"Per convincermi".
"Senta, la ringrazio, devo dire che parlare con lei è stato davvero illuminante".
"Ma si figuri".
"Cioè, chi l'avrebbe detto? Agli indecisi piace lo stile paranoico. È proprio vero, in questo mestiere non si finisce mai d'imparare".
"Lei da quand'è che fa il suo mestiere?"
"Da tre giorni, sono un CoPro a mezza giornata. Sa, di mattina studio".
"Scienze della comunicazione".
"Come ha fatto a capirlo?"
"Ho tirato a indovinare, siete la maggioranza"
"Lei è un mito, davvero. È stato un vero piacere parlare con lei, devo dire che mi ha insegnato molto".
"E poi le ho anche fatto vincere venti euro"
"Eh già. Ora purtroppo la devo lasciare, sa, devo ancora trovare una quarantenne calabrese imprenditrice".
"Ah, mica facile".
"Eh, no".
"Senta un po'… questa conversazione è registrata?"
"Ma cosa sta insinuando?"
"No, no, niente, è che… se nessuno ci sente, io un'imprenditrice calabrese quarantenne in effetti la conosco, pensi un po' che coincidenza…"
"Davvero farebbe questo per me?"
"Ha carta e penna? Tre-quattro-sette-[…………………]. Però non chiami subito, lei a quest'ora di solito riceve i… i… fornitori. Aspetti una mezz'ora, le dispiace?"
"Ma certo. Io non so davvero come ringraziarla per…"
"Ma figurati, se non ci aiutiamo tra noi… A risentirci, allora".
"A risentirci".
Clic.

Tre-quattro-sette-[……………………]
"Agata, ciao, come va? Mamma e papà tutto bene? Senti, non ho molto tempo".
"…"
"No, non è uno dei miei soliti scherzi. Qui se mi aiuti salviamo l'Italia, fidati".
"…"
"Senti, tra venti minuti ti chiamerà un pivello di scienze della comunicazione, ok? No, non vuole venderti niente. Tu per lui sei un'imprenditrice quarantenne di Reggio Calabria. Mi raccomando, la C aspirata".
Quelli di oggi è il Berlusconi che piace a noi: quello che parla al cuore e che entusiasma il pubblico. Non doveva andare al meeting di Confindustria, perchè malato, ma alla fine non ha resistito: ed eccolo lì, in mezzo ai suoi colleghi, fiero del suo passato e fiero del suo presente. Eccolo lì mentre si alza, di scatto, incurante del dolore alla schiena, per parlare agli imprenditori. Ne esce un discorso a braccio di una efficacia strepitosa.
Ci sono tre tipi di bugie: bugie, dannate bugie e statistiche (Benjamin Disraeli)
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Chiedo un piccolo sforzo agli uomini di buona volonta e con cinque minuti da perdere: leggete (pardon, rileggete) questo articolo, on line ieri su la Repubblica.
Fatto?

E ora la domanda: di cosa sta parlando Massimo Giannini?
Del referendum del 15 giugno, ovvio.
O no?

La consultazione permanente

Il 15 giugno gli italiani potranno votare per estendere le tutele previste dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori alle aziende con meno di 15 dipendenti. Questo Giannini lo dice chiaramente (e succintamente) nelle prime tre righe dell’articolo, dandoci subito anche il suo parere sulla questione:

Il referendum sull'articolo 18 è una miccia innescata nel motore dell'economia italiana. Se al voto del 15 giugno vincessero i "sì", la miccia esploderebbe: le tutele contro i licenziamenti senza giusta causa previste dallo Statuto dei lavoratori del 1970 verrebbero estese alle aziende con meno di 15 dipendenti, la macchina della micro-industria nazionale si ingolferebbe e il mercato del lavoro finirebbe paralizzato.

Si tratta di un’affermazione discutibile, ma io non ho intenzione di discuterla adesso qui. Volevo solo far notare una cosa: l’articolo è piuttosto lungo (e interessante). Eppure, da qui in poi, non parlerà più di statuto dei lavoratori e piccole aziende. Su 9000 battute, la discussione sul merito del referendum ne occupa 300, pari al 3 per cento dell’articolo. E il restante 97% di cosa parla?
Di politica, naturalmente. Politica italiana. Giannini ci informa così che il referendum sull’articolo 18 in realtà è “una contesa per l'egemonia culturale, una battaglia per la leadership politica”, un referendum sulle carriere politiche di Bertinotti, Rutelli, Cofferati e Fassino. Ha il merito di ricostruire il garbuglio di motivazioni che porteranno la sinistra italiani a lacerarsi per l’ennesima volta: un garbuglio nel quale noi lettori, distratti negli ultimi mesi da guerre ed epidemie, ci orientavamo a fatica e con scarsa convinzione.
Dunque il 15 giugno si va a votare sì per rafforzare Bertinotti (e Berlusconi festeggerà). O per eleggere Cofferati segretario dei DS (e Berlusconi non saprà se festeggiare o no). Si va a votare no per riconfermare Rutelli leader dell’Ulivo.
E poi, certo, si andrà a votare anche per rendere più difficile il licenziamento nelle piccole aziende. Ma questo, alla fine, sembra essere soltanto un effetto collaterale. Quello che interessa davvero al cronista (e al lettore, e al politico) è la lotta per il potere, nuda e cruda. Giannini descrive le forze in campo, i generali, le tattiche e la logistica. Ma non ci spiega perché si combatte. È un dato scontato, o poco interessante, o interessante al 3%. Quello che interessa veramente è, per citare il sottotitolo di un celebrato giornalista italiano “chi vincerà lo scontro finale”.

Questa è la politica italiana, a leggerla sui giornali (piccoli e grandi). Ma non si può dare la colpa ai giornalisti, o perlomeno, non tutta. È colpa anche dei lettori, che analisi come questa se le bevono senza nulla eccepire, e si appassionano più alle facce dei leader che ai disegni di legge. È colpa soprattutto dei politici, che non fanno mistero di utilizzare anche i referendum come sondaggi di popolarità. È colpa di tutti noi italiani, orfani del proporzionale e delle elezioni anticipate, che non riusciamo a rassegnarci all’idea che un governo o una legislatura possano durare cinque anni. Perciò abbiamo trasformato qualsiasi consultazione (referendum, elezioni europee, regionali, financo comunali) in un test permanente sulla popolarità dei nostri leader politici.

La cosa, entro certi limiti, è comprensibile, e succede in tutte le democrazie moderne. Ma in Italia, dal 1994 in poi, l’ansia da prestazione dei nostri leader è diventata parossistica. Il punto di non ritorno fu probabilmente raggiunto quando nel 2000 D’Alema si dimise da Presidente del Consiglio perché aveva perso… le elezioni amministrative. Gli italiani credevano di dover votare per rinnovare i consigli comunali: in realtà stavano esprimendo il loro parere sul governo di centrosinistra.
Allo stesso modo, il 15 giugno del 2003, noi ci illudiamo di dover votare su una questione di diritto del lavoro (forse nemmeno così cruciale, se mi passate l’opinione). E invece stiamo partecipando all’ennesimo sondaggio sulla popolarità del governo e dell’opposizione.

Colpevoli di questa degenerazione della democrazia in un regime di sondaggio permanente, i politici ne sono anche le vittime principali. Soprattutto a sinistra, dove l’ansia di conquistare consenso è più forte, e ottunde la capacità di progettare strategie a lungo termine. Segno eclatante di questa miopia sono le disperate parole di Fassino, al termine dell’articolo. “Se c'è il quorum e vince il sì, io perdo tutto", dice. Non sono parole da leader politico, sono parole da giocatore d’azzardo, e anche da giocatore dei meno brillanti, di quelli scoppiati che non tengono più dietro all’emorragia di fiches. Verrebbe voglia di replicargli che non è vero, che non sta scritto da nessuna parte “Votate sì contro Fassino”, che io non penserò a Fassino nel segreto dell’urna, bensì ai dipendenti delle piccole aziende. Ma ho il sospetto che sarebbe inutile.

Di più. Ho il sospetto che quei 14 dipendenti, in questa storia, c’entrino veramente poco. Che siano un terreno di scontro come un altro, il casus belli che veniva più comodo al momento, il corridoio di Danzica della situazione. E che da questa guerriglia permanente, che il 15 giugno passerà per caso dalle loro parti, nemmeno loro abbiano molto da guadagnare.
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Ritorno all'alba
Ieri sera eravamo ancora persi nelle circonvallazioni di Barcellona, litigando a ogni svincolo, e stamattina siamo qui: stanchi, puzzolenti, molto simpatici. Un soggiorno in Catalogna, un breve viaggio nel tempo, ai giorni beati e ignoranti delle gite scolastiche. Complice il clima: nuvole grigie, grevi e sensuali, ci hanno accompagnato per tutto il viaggio, regalandoci a tratti quei violenti acquazzoni così caratteristici delle gite liceali. (Gli stessi barcellonesi rabbrividivano increduli. Mai un primo maggio così freddo).
Bella Barcellona. Bravo Gaudì. Buono pasteggiare a paella tutti i giorni. Eppure qualcosa ci mancava. La campagna elettorale, per esempio, con quel crescendo ormai quotidiano di colpi di scena. Per dirla breve, chissà quante cazzate di Berlusconi in presa diretta ci stavamo perdendo. Cose che poi a raccontarle in differita perdono sapore, come scoprire i risultati delle partite soltanto il giovedì.
E dire che sarebbe bastato sbirciare in qualche edicola (sono aperte 24 ore), per trovare non dico la Repubblica, ma El Pais o El Mundo, gettare fango sul nobile candidato. E questa definizione dell'"internazionale della spazzatura", immaginosa davvero… ("Compagni dai campi e dai cassonetti / Spalate la merda e insozzate il sistema", etc.).
Poi, il ritorno in Italia. Non tutto d'un colpo, come in aereo e anche in treno, ma gradatamente, in autostrada. L'Italia autostradale si afferma per gradi – comincia a manifestarsi verso Marsiglia. Gli autogrill diventano via via più sporchi e più umani, il caffè si restringe sempre più, le distanze di sicurezza si accorciano, le corsie si stringono, la velocità aumenta. Ma l'Italia vera esplode a Piacenza, quando ti immetti sulla A1, che alle cinque del mattino è più trafficata del tratto Barcellona-Montpellier al tramonto. E vai, tra due file di tir, dritto verso l'alba.
Giunti a casa, una gradita sorpresa. In un anonimo cellophane indirizzato a Elisa, un regalo per tutti noi. Una Storia Italiana.
Ma allora ci siamo anche noi, nel target del Cavaliere! Io non ci contavo più. In fin dei conti non mi sentivo interpellato da nessuno dei suoi slogan. "Un buon lavoro anche per te"? Grazie, ora meglio di no. "Pensioni più giuste"? Sì, quelle che ci toccherà pagare ai nostri genitori. "Città più sicure"? Così magari ci aumentano l'affitto. Berlusconi aveva un pensiero per tutti, ma per noi no. Girava voce che "Una Storia Italiana" sarebbe stato distribuito a tutte le famiglie. Per l'appunto, noi non siamo una famiglia. Siamo tre simpatici ragazzi tra i venti e i trenta che indugiano ancora nei locali studenteschi e nelle gite scolastiche. Gente marginale, comunque. E invece no! Anche noi siamo elettorato da convincere! Grande! E dire che abbiamo rischiato di fissare la gita intorno al 13 maggio…
La Storia non l'ho ancora potuta guardare. Elisa ci si è praticamente addormentata sopra, e io intanto dovevo farmi una doccia e presentarmi al lavoro. Spero che sarà molto divertente. Questi giorni sono stati molto divertenti. Speriamo duri il tempo. Questa nuvolaglia grigia… mi porta bene.
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1) il postino suona alla vostra porta e individuate subito il contenuto della busta: non accettate il plico, rimandatelo al mittente lasciandolo nelle mani del portalettere; 2) trovate la busta nella cassetta delle lettere. Infilate il libro in un'altra busta, scrivendoci sopra il nome e l'indirizzo del destinatario: Silvio Berlusconi, Villa San Martino, 20043 Arcore (Mi). (Da "Il manifesto" del 17 aprile)

Non aprite quel libro?
Io questa campagna per restituire al mittente il libro di Berlusconi non la capisco. Non capisco dove sta la strafottenza. Come se B. fosse un comune mortale che al mattino si alza, guarda la cassetta della posta, toh! Mi sono tornate indietro centomila autobiografie. Lui ha tutto lo spazio che vuole, e intanto ha già fatto mandare al macero la copertina perché non gli piaceva. Cinque milioni di copertine. E che sarà mai? Se nella casa di (quasi) ogni italiano ci sono le sue Pagine Utili, ci può stare anche il suo libro illustrato.
"Non accettate il plico", "Infilate il libro in un'altra busta"… È una reazione che mi fa pensare. Ma proprio non posso dargli un'occhiata, prima? Da quel che si è capito dovrebbe essere divertente. No? Qualcuno forse teme di diventare berlusconiano soltanto sfogliandolo? Dopo che per anni è rimasto esposto tutte le sere al triplice bombardamento televisivo mediaset?
È una bella rivincita per il medium libro, a pensarci. Finora Berlusconi sembrava non averne mai avuto bisogno. Il suo successo era legato allo sviluppo di una tv commerciale di livello culturale medio-basso. Nel suo mondo i libri esistono, sì, ma come soprammobile chic (vedi il collezionismo del pupillo Dell'Utri). È vero, a un certo punto si è trovato in mano la Mondadori, ma così, per pura attrazione spontanea di capitali, e in fondo non è stato un grande affare, né per lui, né per la Mondadori (che probabilmente è una piccola voce in rosso nel roboante coro dei suoi bilanci).
La prima volta che ha provato a far politica con un libro è stato il grande lancio del Libro nero del comunismo al congresso di Forza Italia. E adesso ci riprova. Ma è consolante pensare che il grande vecchio di tutte le televisioni italiane, il diabolico persuasore occulto, l'autentico Grande Fratello… sia costretto, per spostare una miseria come il tre per cento dei voti, a ricorrere a un mezzo così terra-terra come la spedizione postale di un libro illustrato. Nell'era dei satelliti, di internet, di tutto il resto.
Fa quasi tenerezza… ma, soprattutto, fa' pensare. Non dev'essere così sicuro di vincere, se è costretto a ricorrere a una misura così straordinaria, un vero sconfinamento in un campo non suo. Spia del suo nervosismo è l'insoddisfazione per il risultato: prima la copertina da buttare, poi gli errori ("non l'ho scritto io, tanto è vero che è pieno di errori. Hanno pure sbagliato l'età dei miei figli!").
E allora: Lasciamo perdere questa idea di restituire il libro. Se proprio non ci va di tenerlo in casa ricicliamolo, come consiglia l'ARCI. (In verità, se mi arrivasse una copia la conserverei per i miei nipotini. Ma purtroppo, non essendo un "nucleo famigliare", la propaganda elettorale non mi tiene in considerazione in nessun modo).
Il modo migliore di rispondere per le rime a Berlusconi rimane sempre lo stesso: votare contro di lui. Cioè votare centrosinistra. Così che tutti questi miliardi risultino spesi invano. Penso sia l'unico modo di dargli un dispiacere - se è questo che ci preme veramente.
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Piccolo Scoop

Non sto scherzando, mezz'ora fa alla mia sinistra c'era Elio Veltri che dettava a una collega la seguente:

c.a. On.Silvio Berlusconi / Roma

Gentile Presidente,

nella trasmissione di Vespa Lei ha polemizzato con noi definendo "L'odore dei soldi" una sorta di pattumiera di documenti riciclati riguardanti procedimenti penali conclusi con assoluzioni o archiviati.
Lei sa che non è vero e ha mentito senza possibilità di essere contraddetto perché in televisione o monologa o trova giornalisti come Vespa non troppo avvezzi a porre domande vere. Che Lei, come ha detto più volte Indro Montanelli, sia abituato a mentire, anche a sé stesso, tanto da credere nelle cose che dice, non ci meraviglia più di tanto. Si sorprende invece che Lei, leader del Polo, aspirante Presidente del Consiglio, l'uomo più potente e più ricco d'Italia che vuole governare come Napoleone, in una trasmissione televisiva del servizio pubblico attacchi, senza alcun contraddittorio, gli autori di un libro che la riguarda, che sono persone normali, senza scorta, viaggiano con i mezzi pubblici e considerano un dovere informare i cittadini sulle questioni che la riguardano.
Comportandosi così, Egregio Presidente, Lei perde il senso delle proporzioni e dimentica che qualche volta anche "le formiche si incazzano". Proclama a destra e a manca di volere cambiare il Paese da liberale doc e poi non sopporta nemmeno che i suoi comportamenti vengano messi in mora. Lei pensa davvero che abbiamo fabbricato documenti e inventato fatti, circostanze, frequentazioni, abusi e illeciti che La riguardano? Se così è, chiarisca e risponda alle domande contenute nel libro. Ma ci indichi anche un solo leader politico di una grande democrazia che si comporta come lei, perché noi per quanto ci siamo sforzati non lo abbiamo individuato. Anzi, in un qualsiasi paese democratico, chiunque avesse un curriculum giudiziario come il Suo sarebbe da tempo fuori dalla politica.
Poiché noi abbiamo a cuore il futuro del Paese, anche perché vogliamo viverci e sappiamo bene che se Lei vince le elezioni, cosa che non ci auguriamo, diventa anche il nostro capo di Governo, La invitiamo a chiarire nel Suo interesse e in quello del nostro Paese.
L'occasione può essere la Presentazione del libro a Roma, giorno 13, alla quale parteciperanno Sabina Guzzanti, Curzio Maltese e Paolo Flores D'Arcais. Come vede, saremo tra amici: potremmo evitare alla Guzzanti di imitarla perché con Lei presente possiamo contare sull'originale. Se poi quel giorno non avesse tempo, ci comunichi un'altra data in modo da poter ripetere la presentazione a Roma o altrove con la Sua presenza.

Molti cordiali saluti da Elio Veltri e Marco Travaglio


(Non sono giornalista, e allora?)
Proprio oggi che dicevo: niente politica... per par condicio riporto qualche altra perla dal muro di votaberlusconi.it (non riesco più a farne a meno):

Lezione di storia con coro da stadio
Prima gli Etruschi e i Romani, poi lo splendore Medioevale dei Medici e dei Visconti. La nazione Italia non puo´ essere gestita dai Katto-Komunisti! FORZA SILVIO, distruggili!!!!!!

Il sogno del distributore
Sono un giovane di 31 anni lavoro nella grande distribuzione,ma non c´e´ cosa piu´ bella disrtibuire il Programma di Silvio. Forza Silvio il mercato della grande distribuzione e´ con Te.

Ancora oppressione comunista
ora per avere un sito internet bisogna registrarsi al tribunale. Silvio salvaci tu dall´oppressione comunista. Mandiamoli tutti a casa

C'è spazio anche per i dissidenti
VIVA ZACCHERONI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Chi va dicendo in giro
Che non amo il mio lavoro
Non sa con quanto impegno
Mi dedico a…


Novità non in libreria

Passavo l'altro giorno non in una libreria ma all'ipermercato, e ho notato che Mondadori sta rimetendo in commercio 1984 con una fascetta molto trendy: "LA VERA STORIA DEL GRANDE FRATELLO".
Qualche acquirente ci resterà male.

Trendy per trendy, non posso fare a meno di segnalare il forum dell'Espresso on line: Isabella Santacroce risponde ai lettori. Roba per palati forti. Mm. La Santacroce è più di un caso letterario, è proprio un caso umano. Questo e-pistolario collettivo ne è la conferma. (No, basta, non voglio fare il solito acido… è una trappola… aiuto).

Beh, e lo sapete chi è l'editore di Luttazzi? Mondadori!
Il signore ha del fegato.

Spopola L'odore dei soldi, tutti lo comprano, (230.000 copie), se è esaurito lo chiedono lo stesso, le librerie lo ordinano, ma poi non è detto che quando arriverà avranno ancora voglia di acquistarlo, e si porrà il problema di smaltire tutte queste rese de L'odore dei soldi. Sospetto che diventerà il più tipico oggetto da bancarella triste – sempre se Berlusconi non va al governo e li manda tutti al macero per decreto.

Anzi Berlusconi, o chi per lui, forse sta già adoperandosi per ritirare tutta questa pubblicistica non ossequiosa. La voce del "misterioso acquirente", che si presenta in edicola e compra la partita in blocco (era successo per esempio a Fiumicino dopo l'intervista a Travaglio), è girata anche all'uscita dell'ultimo numero di "Diario" (la bella rivista di Enrico Deaglio), un numero tutto dedicato a chi? A Berlusconi.
Ecco come potrebbe funzionare la censura forzista. Berlusconi non è mica un fascista. Non vuole manganellare nessuno, ma è convinto di poter comprare qualsiasi cosa. Se un giornalista getta fango su di lui, mica lo minaccia. Mica gli fa fare la fine di Pecorelli. No, lui compra tutto, giornalista e giornali.
A questo punto, se avessi una rivista qualsiasi, anche di taglio e cucito, dedicherei il prossimo numero a Berlusconi. Qualche centinaio di copie in più le farei senz'altro. Magari riceveri anche un'offerta per cedere una quota a Mondadori. Perché, perché non ho più una rivista? Dopo averne avute tante? Che rabbia. Che sfiga.

Se però non volete aspettare il giorno in cui lo troverete su una bancarella a un prezzo risibile, c'è un altro modo di leggere un po' dell'odore dei soldi senza pagare. Wordtheque, il sito più fico d'Italia, ha chiesto e ottenuto di poterne ospitare ampi stralci. Li potete scaricare gratis, in txt o pdf, a questo link.

E poi non dite che non amo il mio lavoro.
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Dacci oggi la nostra Italia

Siamo tutti qui, siamo italiani, e cominciamo a prendere gusto alla campagna elettorale televisiva. Ci divertiamo un mondo quando Corrado Guzzanti fa Rutelli, quando Sabina Guzzanti fa Berlusconi, quando Paolo Guzzanti con la sua bella faccia sostiene che Dell'Utri e Mangano commerciassero veramente cavalli negli alberghi. Luttazzi poi, più di un comico, è un eroe (qualcosa di eroico c'è nel voler a tutti i costi stroncarsi una carriera televisiva). Anche Biagi, un eroe. Montanelli, un compagno.
Siamo tutti qui, siamo tutti d'accordo, ordiniamo centinaia di migliaia di copie del libro di Travaglio (200.000 copie vendute, pare) per informarci meglio su quello che avevamo già sentito dire, o che comunque diamo per scontato: Berlusconi sarebbe un ladro.
Siamo in tanti e facciamo un po' fatica a immaginare che da qualche parte, o addirittura in mezzo a noi, viva un'altra specie d'italiani, per i quali Berlusconi è un capace uomo politico degno di vincere le elezioni, se non proprio l'unto del Signore, il Messia che salverà l'Italia dal regime dei comunisti.

Per incontrare questi italiani occulti, che pure esisterebbero (e magari sono anche più di noi) si può arrischiare una visita al sito www.votaberlusconi.it, e precisamente al "Muro", dove ogni visitatore può lasciare "il graffito che non imbratta". Ho voluto organizzare questi graffiti in una piccola antologia tematica.

Conto il regime comunista
[L'Italia è in mano dei comunisti, forse da cinque anni, forse da cinque. È l'ultimo baluardo del socialismo reale. Non ce n'eravamo accorti? Per fortuna i comunisti sono stupidi e taccagni:]

Italia, unico paese comunista rimasto. Berlusconi, l´unico che può ancora salvarci

un accorato appello per tutto il Polo delle Libertà:battetevi duramente contro il regime comunista e mandateli tutti a casa, non ne posso piu!!

A Mosca ho visto vendere le lampadine fulminate- le comperavano per sostituire quelle buone negli uffici e portarsele a casa- capito!!??!!
[capito cosa?]

I comunisti sono allo sbando, stanno giocando a nostro favore, perchè gli italiano non sono stupidi come credono i comunisti. Forza Italia, Forza Berlusconi, Forza Romagna!!!

La sinistra sta rovinando i giovani, per fortuna Silvio che ora le cose cambieranno... anche noi finalmente torneremo a poter sognare! Luciano 20anni.

RICORDATE CHE SE VINCE LA SINISTRA SIAMO VERAMENTE COTTI! I GULAG, I STALIN, I BERIA, IL MURO DI BERLINO. I COSSUTTA ECC. SONO PERSONE CHE NON CI RICORDANO NIENTE DI STORIA?

Abbiamo solo due possibilità: o Berlusconi al governo o emigrare. In questa Italia comunista non si può più vivere!



Silvio-Cristo
[Il greco chrystòs significa proprio "unto": definendosi "unto del Signore", Berlusconi si paragonava a Cristo. Blasfemo? Surreale? Questi messaggi fanno luce su una vera e propria attesa messianica degli italiani: Berlusconi è davvero l'Eletto, l'unico che può salvare il suo popolo].

finalmente dopo 50 anni abbiamo la fortuna di avere l´ uomo giusto che ci possa salvare da una crisi perenne non facciamocela sfuggire!!!!!!

IL 13 MAGGIO VEDREMO LA LUCE, QUELLA LUCE CHE FINALMENTE RAGGIUNGERA´ ANCHE NOI QUAGGIU´. GRAZIE DI ESISTERE PRESIDENTE

Silvio,regalaci una qualità di vita migliore,per noi e per i nostri figli. Attento allo straniero che vuole l´Italia. Auguri e felicità ps. titni d´occhio il tuo sottobosco politico, ciao.

Silvio ti do del tuo perche´ ormai sei quasi di famiglia volevo dirti che devi aiutare questo paese ad emergere e che solo te puoi farlo
[che lapsus fenomenale quel ti do del tuo!]

Caro Berlusconi,l´onnipotenza dell´Amore che e´ presente nel tuo cuore ti dira´ sempre come agire.NON TEMERE. L.Gaspari

Silvio:ricostruisci la nostra bellissima Italia!

Forza Silvio senza di te l´Italia diventerà un paese del III mondo... Siamo tutti con te! NON MOLLARE.......
CIAO SILVIO! SEI TUTTI NOI! SALVACI DAL REGIME!!!! VINCI PER NOI!!!!!! NON DIMENTICARTI DEL SUD!!!!!!!

Silvio l´Italia ha bisogno di te dacci una vera democrazia e una patria libera e prospera

ZioSilvio grazie di essere entrato in politica perchè solo tu puoi cambiare il nostro bel paese! Formigoni sei troppo BONO!



Fa tutto lui
[Si alza presto, comincia presto, cambia i codici, manda a casa gli incompetenti, salva il sud, salva l'economia, ha un potere taumaturgico persino sulle squadre di calcio non sue].

Presidente cerchi di far capire che Lei concretamente governerà e soprattutto lo farà cominciando dalle 7 di mattina

FORZA CAGLIARI..FORZA ITALIA.. Silvio vincera´ le elezioni e noi torneremo in SERIE A!!!

Voglio lavorare qui al Sud e so di poterlo fare solo se qualcuno come Berlusconi me lo permette!! Chi crede nella verità vota Berlusconi!!!!!!!!!!!

SILVIONE, AIUTAMI A DIVENTARE CONSIGLIERE DI QUARTIERE.............FORZA ITALIA, PER LA GENTE, TRA LA GENTE !

Potresti aspettare che mi laurei(se ce la faro´) per cambiare tutti i codici?.Anche tu,Silvio hai studiato a giurisprudenza,capiscimi:Sai che casino?

Il VERO conflitto di interessi di Berlusconi sarebbe quello di vivere e lavorare in una Italia NON realizzando a pieno i sui programmi.

Forza Silvio! Fai di tutta l´Italia un´unica grande casa dove noi saremo tutti fratelli, i fratelli d´italia!

Silvio vinci per questo povero paese martire, dai una speranza al nostro futuro!

Silvio vinci per far si che nono vedremo più: Santoroluttazzimontanellirutelli........DAI!!!!!

berlusconi vai avanti ricordati del sud speriamo in te gli altri ci hanno presi sempre per i fondelli.

silvio, quando andrai al governo licenzia tutti quei comunisti che sono in rai e che paghiamo noi cittadini con il canone : chi paga ha il diritto di decidere

Silvio, tieni duro! L´Italia ha bisogno di voltare pagina. Salva la nostra scuola dalle balorde riforme dei kattocomunisti!!!

Onorevole, faccia entrare più donne in politica....Stefania



Flagrante paranoia

La PSICHIATRIA drogherà i nostri figli con il "Ritalin" per creare un governo TOTALITARIO. VIVA LA LIBERTA´

Se vi piace vivere con chi vi ordina di scioperare e vi sbarra la strada allora votate Rutelli è il solo che fa per Voi.



E così via.
Però non bisogna demoralizzarsi. Questi italiani occulti, tartassati dal regime comunista, sembrano molto sprovveduti. Forse il tredici maggio non troveranno la strada per il seggio. Passeranno col rosso e andranno sotto la macchina di un comunista. O sbaglieranno a mettere la croce sulla scheda. O andranno a vedere il Cagliari in serie B.
E poi, non si sa bene quanti siano. Ai sondaggi, chi ci crede? La campagna non sarebbe così rovente se l'esito non fosse ancora incerto.
In fondo può darsi benissimo che i messaggi se li faccia scrivere lui. Corrispondono benissimo all'idea che ha degli italiani: terrorizzati dal comunismo, fedeli al sogno dell'uomo forte che libera l'Italia dal male, un po' stupidi. Un'idea che non dovrebbe corrispondere al vero. Mah. Vediamo chi si sbaglia.
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Faccia da moderato
Sarà per come mi vesto, o magari proprio per la faccia che porto, fatto sta che passo per moderato, e alla mia età non è un bel vivere.
Certe sere che la stanchezza, l'alcool forse, allentano i freni alla dialettica, sento che mi si rinfacciano cose tremende. Qualche settimana fa sono stato accusato di avere ripetutamente bombardato Belgrado. I proiettili all'uranio, li ho sparati tutti io. Ho anche venduto la scuola ai privati. Cioè ai cattolici. Cioè a me stesso, perché è questo che sono alla fine: un cattolico, e pure moderato.
Io non posso obiettare granché. Una volta tra moderati ci si difendeva dicendo: abbiamo eseguito gli ordini, ma io non ho ricevuto nessun ordine. Forse avrei dovuto ribellarmi contro questo intollerabile regime moderato, come hanno fatto in molti, e come immagino che molti vorranno fare il 13 maggio.
E invece no. Sangue moderato, voterò Rutelli e spero pure che vinca, e se perderà soffrirò molto.

Secondo me l'espressione 'centrosinistra' è un po' fuorviante. Non ci sono mai stati i numeri per un governo di centrosinistra in Italia. Dipendesse da me, certamente vorrei un governo di centrosinistra, ma che dico, di sinistra avanzata. Vorrei anche un mondo più giusto, più libero, più pulito. Sì. Comunque non ci sono mai stati i numeri per un governo di centrosinistra in Italia. Questa è la mia moderata opinione.
Quando nel '95-'96 nacque l'Ulivo, fu chiaro sin da subito che non si trattava del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo, bensì di un raggruppamento civile di partiti e gruppi, con storie e punti di vista anche molto diversi, scesi a patti contro i nemici comuni: il separatista e xenofobo Bossi, il postfascista Fini, il ladro Berlusconi. Non è mai stato il centrosinistra contro il centrodestra, ma piuttosto la società civile contro la società non civile, e la civiltà ha vinto. Di misura, d'accordo. Però ha vinto.
In quella società civile c'era l'antico PDS, i Verdi e (in una posizione defilata, "mi si nota di più se non vengo"), Rifondazione Comunista. Ma c'era anche il partito di Lamberto Dini, ex ministro del tesoro di Berlusconi, contro la cui riforma pensionistica la sinistra aveva scatenato la più memorabile manifestazione degli anni '90. C'era il Partito Popolare che era in perfetta continuità storica con la corrente della sinistra DC. A un certo punto c'è stato anche Antonio Di Pietro. Infine, il candidato dell'Ulivo era Romano Prodi, un ex boiardo di Stato, che non aveva mai tirato nessuna molotov, neanche nella beata giovinezza. Tutti noi sapevamo questo. E tuttavia abbiamo votato per l'Ulivo. Per mandare a casa il separatista e xenofobo Bossi, il postfascista Fini, il ladro Berlusconi.
Poi – finché è durata – è stata una gradita sorpresa. Fino all'autunno del '98 abbiamo avuto un governo più "di sinistra" di quanto avremmo potuto ragionevolmente aspettarci. La famosa scuola pubblica non è stata svenduta in quegli anni, per intenderci. Ma poi Rifondazione ha chiesto la crisi. E nessuno ha ancora capito il perché. Forse pensava che con D'Alema avrebbe avuto un interlocutore "di sinistra". È stato un tragico errore.
Da lì in poi, se vogliamo rinfrescarci la memoria, i governi si sono tenuti in piedi con personaggi come Cossiga e Mastella. Rifondazione si è spaccata. I popolari si sono spaccati. I ministri riformisti di Prodi sono stati allontanati. E c'è stato anche il caso del Kossovo, in cui l'Italia, in quanto membro della NATO, si è ritrovata invischiata in un'operazione militare assai discutibile. D'altro canto l'unica formazione politica che metteva in discussione l'alleanza con la Nato, Rifondazione, aveva già scelto da tempo la propria emarginazione politica.
Le cose sono andate così, e forse alla fine Rutelli non è il candidato più simpatico del mondo. Ma nel 2001 rischiano di andare al potere: il separatista e xenofobo Bossi, il postfascista Fini, il ladro Berlusconi (e il mafioso Formigoni), per cui a me la scelta sembra scontata.
Qualcuno la penserà diversamente. Penserà che nel '96 avevamo votato un governo "di sinistra", che però ha tradito "la sinistra" perché non ha fatto cose abbastanza di "sinistra", perciò Rifondazione, che è la vera "sinistra", giustamente si è dissociata, e quel che conta, ora, è iniziare una vera discussione "a sinistra", perché in lontano futuro possa esserci in Italia una "sinistra" degna di questo nome.
Io, sarà per la faccia da moderato che mi trovo, ma non credo sia necessario sacrificare la società civile e consegnare l'Italia a Berlusconi per trovare significato alla parola "sinistra". Ci stiamo per giocare qualcosa di più di una parola, di una cultura, di un'identità. E poi forse la parole, le culture, le identità… non sono così importanti.
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